L’olfatto
Se dovessi dire un senso sarebbe proprio quello. È con quello che sento il vino, è con quello che dovrebbe essere esperito il vino. Ad occhi chiusi, spalancando l’emisfero destro, per una volta infischiandosene (ovviamente dopo averli studiati insanamente e disperatamente assimilati) di terreni, esposizioni e microclimi. Ascoltando (che è una sinestesia, siamo tutti d’accordo) quello che il vino ha da sussurrare, perché se il vino dice qualcosa lo sussurra sottovoce. Il vino va bevuto con lentezza, accuratezza e in silenzio, centellinandolo anche in mezzo ad una folla schiamazzante, come se foste solo tu e lui. Nessun altro al mondo.
- Fioriture in vigna.
È il doveroso gesto di rispetto che si deve a chi ha impilato fatica, competenze, creatività ed abilità per confezionare quel piccolo prodigio liquido che ci permette, chi più chi meno, di attivare il terzo occhio e staccarsi dal qui e ora, esito inestimabile. Sono note, battute, misure, voci e silenzi, da riempire con la propria percezione. È tutto lì, sullo spartito, è proprio quello il momento in cui il rapporto con il vino raggiunge il suo scopo facendosi simbiotico, proprio quando scegli di abbattere ogni resistenza, farti invadere e trasformando tutto in un’osmosi.
- Vista dalla cantina.
A volte, invece, non è solo un vino ma un territorio intero che ti travolge, invadendoti, prima che con i sensi della precisione, la vista, l’udito, il tatto, con quelli percettivi, il naso, la pancia e poi, in fondo in fondo, il gusto. Ancora sinestesie, ovviamente, e siamo daccapo. Eppure lo confesso, deve essere una reazione ancestrale ma è esattamente quello che mi succede ogni volta che raggiungo la Franciacorta. Un peccato chiamarla così, lo penso tutte le volte, è quasi svilire quello straordinario quadrilatero a sud del Lago d’Iseo compreso tra i fiumi Oglio e Mella.
La Franciacorta è, da ogni punto di vista la si guardi, un miracolo. Geologicamente si tratta di un cosiddetto anfiteatro morenico, all’esterno del quale si sviluppa una piana di depositi fluvioglaciali e fluviali. Un complesso calcareo-marnoso, in breve, capace di conferire alle uve coltivate in questa zona del mondo caratteristiche se non uniche decisamente peculiari.
Io sono del parere, e non credo di essere l’unico, che la Franciacorta attuale sia una manifestazione embrionale di un fenomeno più ampio, di cui ancora ci sfuggono le coordinate, destinato a mio avviso a segnare, ancora più profondamente di ora, la storia della vinificazione italiana. Non per forza di cose sugli spumantizzati.
- Mario Falcetti in vigna.
Uno dei pochi vignaioli che a mio avviso hanno metabolizzato il potenziale del territorio è Mario Falcetti, uno di quegli straordinari personaggi del mondo vinicolo che se non ci fosse bisognerebbe inventarlo. Conversare con lui è un viaggio immersivo, permette di capire quanto di poco casuale ci sia nella recente, vertiginosa crescita qualitativa del movimento vitivinicolo italiano. Parlandoci, mi ritorna in mente uno dei punti più alti del controverso capolavoro di Cameron Crowe, Elizabethtown. Verso la fine, riassumendo la catena di eventi che hanno portato il protagonista Drew Baylor (interpretato da Orlando Bloom), attraverso le armi dell’elaborazione del lutto, a ritrovare la bussola di sé stesso, Cameron fa dire ad Orlando/Drew:
nessun vero fiasco è mai derivato dalla mera ricerca del minimo indispensabile. Il motto delle Forze Speciali dell’Aeronautica Britannica è “chi osa, vince”.
Bum! Mario è esattamente questo, uno dei pochi agronomi-vignaioli che (tra Contadi Castaldi, da dove proveniva, e Quadra, dov’è adesso) si possono permettere di realizzare “bollicine da meditazione” (mi perdonerà se uso la locuzione) capaci di aprire uno spiraglio vivido sul futuro.
Del resto tutto l’ambizioso progetto di Quadra è sintetizzabile in questo.
- Cristina Ghezzi (Presidente), Mario Falcetti (Direttore) e Ugo Ghezzi in vigna.
Una cantina dai numeri contenuti, siamo intorno alle 150.000 bottiglie prodotte, ma frutto dell’intraprendenza e della vision di Ugo Ghezzi, imprenditore nel settore delle energie rinnovabili che nel 2003, coinvolgendo i figli Cristina e Marco, decide di acquistare una piccola cantina che ristruttura completamente.
- Ugo Ghezzi in vigna.
Il progetto viticolo della famiglia Ghezzi in realtà vede la luce almeno un decennio prima, già all’inizio degli anni ’90, con l’impianto dei primi vigneti di Chardonnay e Pinot Nero in località Marzaghette di Adro. Tra il 1999 e il 2004 ulteriori investimenti, saggiamente dislocati in 5, eterogenee, collocazioni, conducono la proprietà agli attuali 20 ettari. Le vigne si distendono da S. Eusebio, a Cologne, storica sede aziendale, fino alle più recenti acquisizioni di Provaglio d’Iseo, luogo d’elezione del Pinot Nero. Nel 2008 arriva, in veste di Direttore della Cantina, Mario Falcetti, il quale, condividendo la sua visione con quella della proprietà, incardina il lavoro sì sulla competenza e la cura maniacale dedicata alla campagna e ovviamente alla cantina, ma soprattutto sull’estirpare paradigmi. Una sperimentazione tutt’altro che pura e sterile.
- Sala di remuage.
Anche nei progetti più recenti ed ambiziosi, che conservano la verve antidogmatica degli esordi, c’è un substrato comune, ovverosia il ruolo della bollicina nel movimento vitivinicolo odierno. Ci si bilancia con grande attenzione, ma senza paura dell’impopolarità, tra l’alzare continuamente l’asticella qualitativa, a livello di assemblaggi ed affinamenti, e l’ambizione di creare prodotti non soltanto partecipativi, ma che accompagnino, come si trattasse di supporti didattici, nel processo di generale affinamento del gusto.
- Particolare della table de remuage.
Nella bellissima mattinata trascorsa insieme, Mario (che è uno degli allievi più rinomati del glorioso Istituto Agrario di San Michele all’Adige, oggi Fondazione Edmund Mach) mi ha illustrato con grande chiarezza come si sta muovendo la sua ricerca. Tramite gli assaggi. Come capita nei casi migliori quelli più entusiasmanti (alcuni incredibili) sono quelli ‘di botte’, in questo caso a dire il vero di table de remuage, ma Mario, legittimamente, ha invocato il rapporto privilegiato cronista-enologo facendosi promettere che non ne avrei scritto, e così (non) farò, accontentandomi del privilegio concesso ed attendendo i manufatti alla loro immissione sul mercato.
Sperimentazione, insomma, questo il cardine, nel senso di presentare al pubblico un ‘racconto liquido-alcolico’ (nelle esatte parole di Mario, che tra l’altro ha nel curriculum più un centinaio di pubblicazioni, scientifiche e non) che implichi pulizia assoluta della fattura e raffinatezza delle lavorazioni, ma anche grandi ambizioni nelle letture, come dimostra la verve inedita (tra gli altri) dell’Eretiq, che è Franciacorta privato della sua architrave, ovverosia lo Chardonnay, quindi un Pinot Bianco/Pinot Nero magistrale per sapidità e spunto/allungo in bocca, con insospettabili (ma forse nemmeno troppo, date le cure destinate al Pinot Bianco) sfumature di rabarbaro e liquirizia in chiusura. Per dire quanto di inesplorato e affascinante ci può essere in un territorio magnifico per vocazione e prospettive, e di come paradigmi, barriere e confini nel mondo vitivinicolo contino davvero poco, se si ha il coraggio di osare.
- La zona di fermentazione.
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