Un cerimoniale codificato da secoli
Una celebrazione in pompa magna che, con un corteo di 280 persone e un carro militare scortato da 100 marinai, prevede la presenza di 10.000 soldati, tutti schierati, e una particolarissima bara, in quercia e piombo.
E poi, chiaramente, i simboli
L’Imperial State Crown forgiata in oro, con incastonati tre gioielli leggendari: il Cullinan II, una delle nove pietre ricavate dal più grande diamante grezzo del mondo, il “Rubino del Principe Nero” e lo Zaffiro di Sant’Edoardo, inserito nell’anello d’incoronazione di Edoardo il Confessore nel 1042. Ultime ma non ultime, sette perle, appartenute a Caterina De’ Medici.
Quindi lo scettro, lungo circa un metro, decorato con simboli smaltati risalenti al 1820 che raffigurano una rosa, un cardo e un trifoglio, rappresentanti ognuno una porzione di Regno: Inghilterra, Scozia e Irlanda. Qui si trova anche il Cullinan I, aggiunto nel 1910: 530 carati ne fanno una delle pietre preziose più grandi al mondo.
A chiudere la trinità, il Sovereign’s Orb: il globo che rappresenta il ruolo di difensore della fede che il monarca britannico riveste in qualità di capo della Chiesa d’Inghilterra: 16.5 centimetri di diametro con due bande di perle e gemme disposte una orizzontalmente e l’altra verticalmente e, sulla punta, un’ametista sormontata da una croce. Realizzato nel 1661, fa parte del rito di incoronazione: l’arcivescovo di Canterbury la consegna al monarca, che poi la impugna, insieme allo scettro.
Ebbene, questo della Regina Elisabetta è stato il funerale di Stato per antonomasia
Il primo funerale di Stato dopo quello di Winston Churchill, cui pure lei era legatissima.
Perché Elisabetta II è stata molte cose, ma in pochi rammentano che con lei muore l’ultima Regina
Già pronti, in linea di successione, tre Re, tutti maschi: Carlo, che lo diventa a 70 anni; William, forse, intorno ai 60; e quindi George. Lei, invece, è diventata regina a 26 anni e ha regnato indisturbata, senza macchia e senza nemmeno l’ombra di una gaffe, per 70 anni e 214 giorni, segnando il regno più longevo della storia britannica.
150 milioni di persone nel mondo sono state suoi sudditi, e in 4 miliardi, oltre alla sottoscritta, hanno seguito il suo funerale alla televisione
Presenti, 500 capi di stato tra cui l’imperatore del Giappone Naruhito e l’imperatrice consorte Masako. Ma come sempre avviene ai funerali, più o meno importanti che siano, alla lista dei presenti è soprattutto quella degli assenti a fare scalpore e restituire una fotografia, volente o nolente, dello stato dell’arte delle relazioni.
Ebbene qui si tratta di relazioni internazionali, di geopolitica pura, e dunque non stupisce che tra i grandi assenti ci fosse proprio la Russia.
Un’assenza esiziale per la monarchia, che da tempo immemore rappresenta il canone, la regola, l’etichetta, il codice: la fissità, insomma, a fronteggiare l’entropia.
Più di un milione di persone fisicamente presenti e nemmeno una che si sia mostrata indisciplinata. No. Tutti lì, mesti, ciascuno nel proprio lutto, “to pay the debt“, come direbbero loro, e in una maniera che restituisce il senso e finanche il gusto della comune radice etimologica tra “dovere” e “devozione”. In un legame indissolubile.
Che la monarchia si nutra di codici, di tempi, di modi e di luoghi minuziosamente codificati è, del resto, ormai un fatto acclarato. Il motivo, invece, appare meno lapalissiano ancorché particolarmente interessante da un punto di vista sociologico e, in un certo senso, anche cosmologico: essa ha, difatti, il compito di arginare il libero arbitrio e, con esso, il caso, tanto che la sua forza va rafforzandosi oggi, ovvero “in un mondo sempre più complesso, in cui tutti abbiamo bisogno di certezze.”
Perché la monarchia è certezza
Il suo cerimoniale affascina e irretisce l’uomo comune che, tramite essa, può assaporare la sensazione, confortante e conturbante al contempo, della sicurezza; finanche della totipotenza.
Immanente e trascendente, temporale e secolare, questo potere è previsto e costantemente inscenato sin dal primo vagito monarchico e soprattutto in Gran Bretagna dove il re – o la regina – coincide non solo col sovrano di un regno ma anche col capo della chiesa e dell’esercito.
Un’investitura totale, insomma, che pare imporre anche una certa longevità ai suoi regnanti cui è richiesto di essere, se non immortali, almeno imperscrutabili: e dunque mai, in definitiva, troppo umani.
...segui Leila.
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