Delicatessen

Bottarga di barracuda

Inizio estate, qualche amico a cena. Per primo piatto spaghetti alla bottarga che eseguo secondo una procedura, sarebbe esagerato definirla ricetta, di una semplicità assoluta, ma il risultato non è da meno di quello delle preparazioni canoniche. La “procedura” non è nata per caso o per pura speculazione cucinaria, ma per soddisfare la richiesta di una donna.
Per contestualizzarla devo compiere un passo indietro nel tempo. Vivevo in una cittadina caraibica frequentata dal turismo internazionale, con una spiaggia libera lunga chilometri e una più piccola attrezzata, riservata ai clienti degli hotel. Abitavo in un appartamento al primo piano di una palazzina di recente costruzione, costituito da un’ampia sala divisa a metà da un divano che delimitava la zona pranzo dal soggiorno. La zona pranzo comunicava con una piccola cucina e con la spaziosa camera da letto matrimoniale, mentre dal soggiorno si accedeva al terrazzo vista mare arredato con due sdraio e un tavolo con sedie. Per quanto mi piacesse cucinare, pranzavo spesso in un piccolo ristorante di cui apprezzavo la cucina di mare semplice, immediata. Il proprietario, Dino, era figlio di italiani. Il ristorante era rifornito quasi quotidianamente da un pescatore. Un giorno lo vidi arrivare e poco dopo Dino, considerato che ero ormai un habitué, con espressione quasi d’orgoglio mi invitò in cucina a constatare la freschezza del suo pesce. Lo chef stava già sfilettando un grosso esemplare e, vedendone i filetti quasi cilindrici, proposi a Dino di passarne uno nel congelatore. E lui, pur con una certa diffidenza, acconsentì. La sera, poco prima dell’apertura, affettai il filetto perfettamente rassodato con l’affettatrice elettrica, giusto qualche fettina per un assaggio che condii con poco sale, uno spruzzo di lime (a malincuore) e un filo d’olio. Dino lo assaggiò e ne fu entusiasta e il carpacho de pescado entrò in carta diventando uno dei piatti più richiesti. Da quel giorno mi considerò un amico.
Al ristorante conobbi Julia, una giovane guida austriaca che assisteva gruppi di turisti. Quando li portava a cena da Dino, come da prassi, le veniva riconosciuta una fee. Pertanto Julia passava di tanto in tanto per riscuoterla e per prenotare una tavolata. Era carina, anche se di non ostentata bellezza: statura media, capelli ondulati castano chiaro mesciati dal sole lunghi sino alle spalle, corpo atletico. Mi piaceva chiacchierare con lei, così come mi piaceva il suo profumo di mare. Un giorno Dino le propose il carpaccio e lei, assaggiandolo, ne fu entusiasta. Io ormai ero di casa in cucina e casualmente presente quando il cuoco, eviscerando un piccolo barracuda, ne estrasse le sacche ovariche e le scartò. Allora intimai a Dino di non buttarle. E lui mi diede ascolto. Preparammo una salamoia lasciandovi le sacche l’intero pomeriggio. Successivamente, scolate e asciugate, le appendemmo facendole essiccare per alcuni giorni. Va precisato che Il barracuda, gastronomicamente parlando, differisce notevolmente dallo squalo. Quest’ultimo è cacciato esclusivamente per la pinna che è desinata al mercato cinese, mentre le carni, di poco pregio perché stoppose, sono generalmente bollite con verdure per preparare l’hervido de pescado, un piatto molto povero. La polpa del barracuda, invece, non ha il pregio della ricciola, ma ha una propria dignità.
Quando la bottarga raggiunse la giusta consistenza ne affettai qualche lamella per completare gli spaghetti conditi all’aglio, olio e prezzemolo che nel frattempo lo chef aveva preparato. Dino fu più che soddisfatto del risultato e da quel momento le sacche ovariche dei barracuda finirono in bottarga.
Dino volle far conoscere la “nostra” bottarga a Julia e pertanto ci propose a pranzo una spaghettata. A Julia piacque, ma c’era qualcosa che non la convinceva, forse nel soffritto. Quindi, dopo aver annunciato che quella sera un gruppo di turisti avrebbe festeggiato l’ultimo giorno di permanenza con una grigliata sulla spiaggia organizzata dal loro hotel, mi invitò a partecipare. Accettai con piacere. Passò a prendermi verso le sei pomeridiane. Quando scese dal suo fuoristrada, blu jeans corti e stivali camperos, trovai quell’abbigliamento poco in sintonia con il suo stile. E Julie, quasi a giustificare il suo look, mi disse che la grigliata si ispirava al bbq western, ma di stare tranquillo in quanto non era stato imposto nessun dress code. La strada litoranea che percorremmo costeggiava la spiaggia fiancheggiata da palme da cocco allineate come i cipressi di Bolgheri, ma in un solo filare; il sole, tramontando, colorava la sabbia di riflessi rosso aranciati. Arrivati a destinazione, Julia calzò un cappello panama precisando che quello da cow boy non l’aveva trovato e mi annodò un foulard al collo sorridendo. Stavano allestendo il barbecue con tanto di tavolini e sedie e già avevano cominciato a mescere whiskey & soda, birre e soft drink. Alcune fiaccole delimitavano la nostra parte di spiaggia illuminata da lampade a gas. Quando la brace fu pronta vennero messe a cuocere grosse bistecche mentre il ritmo della salsa faceva da sfondo musicale. Qualcuno, tra una bistecca è un drink, danzava.
Era relativamente presto quando il personale cominciò a organizzare il rientro, ritirando arredi e stoviglie da riportare in albergo distante circa un chilometro. Poi, partita la comitiva su una navetta, io e Julia decidemmo di rimanere ancora, quasi ad aspettare che la brace si spegnesse. La luna, meravigliosamente piena, si rifletteva sul mare e illuminava la pelle color miele di Julia. Versai nei nostri bicchieri un ultimo drink; eravamo seduti vicini, lei mi slacciò il foulard, sentii i suoi capelli sul viso. Ci guardammo senza parlare, avvolti dal rumore sfumato delle onde che si infrangevano sulla battigia e da una stellata limpida e luminosa. Poi all’improvviso Julia guardando alle mie spalle mutò espressione. Mi voltai. Un uomo stava camminando verso di noi impugnando un grosso bastone.

Mandalo via, dagli quello che vuole, ma mandalo via”.

Ero allarmato, ma al tempo stesso sentivo in me crescere una certa rabbia perché quell’intruso veniva a spezzare un momento magico. Per ingenuità o forse per disperazione mi armai di una manciata di sabbia e andai verso di lui. Gli parlavo proponendogli soldi, da bere, da fumare, ma lui voleva Julia e muto camminava verso di me. Per difendersi da un avversario armato di bastone occorre accorciare le distanze, “entrare nella sua guardia”. Però mi sembrava un’impresa complicata… Eravamo ormai vicini quando alzò il bastone per colpirmi. Gli buttai la sabbia in faccia per avere quel secondo di vantaggio e attaccare per primo. Ma la sabbia non si limitò a distrarlo. Acciecato portò le mani agli occhi imprecando e lasciò cadere il bastone che raccolsi. Non volevo fargli male seriamente, ma renderlo inoffensivo sì, per cui lo colpii con forza al ginocchio. Lui lanciò un urlo, si portò la mano alla gamba accasciandosi e imprecando. Julia con entrambe le mani mi afferrò per un braccio e, agitata, mi esortò ad andarcene. Buttai il bastone sulla brace e raccolsi il suo panama. Raggiunto il fuori strada, mi chiese di guidare. Dovevamo andare via subito perché se fosse arrivata la polizia non voleva che ci trovassero lì. Poi tacque. Cominciò a rivivere quanto appena successo pensando a cosa le sarebbe accaduto se si fosse trovata lì da sola. Cominciò a fremere, era agitata, sfoghi di pianto si succedevano a fremiti, tremori, mordeva il suo foulard, finì per lacerarlo, singhiozzava, non parlava. Guidavo velocemente verso casa. Arrivati le preparai una bevanda calda e, seduta sul divano, la testa appoggiata sulla mia spalla, le tenni una mano sulla fronte e l’altra sullo stomaco. Le parlavo a bassa voce invitandola a respirare profondamente. Piano piano sentii il suo corpo rilassarsi, lasciarsi andare. Rimanemmo così per lunghi minuti poi mi parve che si fosse addormentata. Aspettai ancora, quindi con molta delicatezza la presi in braccio, la portai sul mio letto, le tolsi gli stivali e la coprii con il lenzuolo. Uscii dalla stanza chiudendo dolcemente la porta. Mi versai da bere, andai sul terrazzo. La luna si rifletteva sul mare disegnando una striscia luminosa. Sentivo sulla camicia il profumo di Julia. Mi sedetti sulla sdraio, accesi una sigaretta e pensai agli ultimi avvenimenti. A lei sulla spiaggia e a quell’uomo pericoloso. Mi confortò sapere che ora Julie era al sicuro, e che nulla poteva succederle. Spensi la sigaretta e quando finii il drink, dopo una doccia catartica cercai di addormentarmi sul divano. La mattina successiva Julie si era completamente ripresa. Lo sconforto della sera prima si era trasformato in rabbia: “ma è possibile che una donna sia esposta a questi pericoli? Se avessi voluto stare un po’ da sola sulla spiaggia? No, vero? Il maschio stupra, ammazza le donne, come se gli appartenessero. Se penso a ieri sera… anziché fermarti… quel bastone glielo avrei rotto in testa io”. Mi sentii imbarazzato, indirettamente responsabile perché certe colpe ricadono su tutto il genere maschile. Uscimmo, la portai a colazione in una pasticceria sotto casa, lei si rilassò. Mi disse che doveva raggiungere in hotel la comitiva per il commiato.
“E questa sera lavori?”
“Libera; il prossimo gruppo lo riceverò domani.”
“Una spaghettata alla bottarga da me?”
Mi sorrise. “Mi sembra una buona idea” disse alzandosi “ma migliorala”. E se ne andò verso il suo fuoristrada calzandosi il panama. Con i jeans corti e gli stivali, a prescindere dalla mise non proprio principesca, era terribilmente sexy.
Quel giorno ebbi il mio da fare.
Per cena preparai gli spaghetti alla bottarga in un modo molto semplice, che ora descriverò, e li servii preceduti da una piccola tartare di barracuda condita con un trito di capperi e scalogno, sale e un’emulsione di salsa di soia e di olio d’oliva. In fresco Muscadet per la tartare e Sherry Fino per la bottarga.
Julia arrivò sorridente. Dopo un brindisi cenammo sul terrazzo e apprezzò entrambi i piatti, anche gli spaghetti, approvando la nuova versione. Con un bicchiere di Sherry in mano si alzò per raggiungere una sdraio. Si sedette asserendo scherzosa che non capita spesso a una donna di essere invitata a una cena a base di barracuda crudo e in bottarga. Fece cenno di sedermi vicino a lei.
“Dimmi come è andata ieri sera. Ricordo di essermi addormentata sul divano e al risveglio ero nel tuo letto. Mi hai portato tu o ci sono arrivata io sonnambula?”
“portata io”
“per cui in braccio”
annuii e lei, ragazzaccia
“fammi vedere come”
e io l’assecondai. Lei mi guardava divertita ignorando, o forse consapevole, che stava risvegliando il lupo che c’è in me. Attraversammo la sala, la adagiai sul letto così come avevo fatto la sera precedente. Raggi di luna le illuminavano i capelli, il viso, la pelle color miele… ma questa volta non la coprii con il lenzuolo.
Preso da questa narrazione mi stavo dimenticando della ricetta degli spaghetti alla bottarga. Dopo aver salutato Julia in pasticceria, andai a “far spesa” da Dino rifornendomi di filetto e di bottarga di barracuda. Arrivato a casa affettai parte della bottarga e la misi in una piccola ciotola coprendola con olio extra vergine d’oliva italiano e la lasciai macerare per tutto il giorno unendovi per quasi un’ora uno spicchio d’aglio. Quando condii gli spaghetti era sufficiente l’olio per comunicare al piatto un pieno, quanto piacevole, sapore di bottarga; unii anche quella affettata e direttamente nei piatti ne aggiunsi altra in parte grattugiata, in parte a pezzetti perché mi piace sentirne la consistenza sotto ai denti e per finire cosparsi il piatto di prezzemolo tritato.

Ed è questa la procedura che da allora ho adottato per preparare gli spaghetti, qualsiasi sia la natura della bottarga.

Nella mia serata estiva milanese, in attesa che arrivassero gli amici, lo Sherry in frigo, la bottarga affettata nell’olio… come in un déjà-vu mi parve di sentire il profumo di mare di Julie… il sapore della sua pelle…

Poi il citofono gracchiò.
...segui Fabiano.

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Fabiano Guatteri
Di poche parole, scrittore e giornalista, direttore editoriale della testata Good-Mood (www.good-mood.it), collaboro con la Guida I Ristoranti d’Italia de l’Espresso. Ho insegnato Gastronomia Sperimentale presso il Dipartimento di Chimica Farmaceutica dell’Università di Pavia. C’è dell’altro, ma basta così.

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