Delicatessen

L’uovo del ramen

Ero da Alessia. In cucina. A cucinare, ovviamente.  Però andar da lei a spignattare non era inizialmente nelle mie intenzioni, né tantomeno una mia esigenza. Obbligato, proprio no, ma un minimo di forzatura… beh sì, un po’ sì. Però, in qualche modo, tutto era partito da una mia affermazione di poche sere prima, quando uscii a cena con Alessia perché aveva voglia di un buon ramen.
Conoscendo le sue preferenze, l’avevo portata nella rameneria più fighetta di Milano, e non sbagliai. Ramen ineccepibile, ma non altrettanto potei dire dell’uovo che non aveva la cremosità attesa: il tuorlo era così poco fluido da aver perso lucentezza. Ma non potevo chiedere di sostituirlo perché le uova del ramen non si preparano al momento. Alessia trovò il piatto di grande soddisfazione così come le altre portate. L’uovo non mi rovinò certo la serata, né mi impedì di constatare, in giacca e camicia, quanto la mia amica fosse attraente. A fine cena, mentre stavamo dirigendoci verso l’uscita, il cuoco giapponese ci venne incontro per salutarci. Mi complimentai per la cucina. A ogni mio commento seguiva un accenno di inchino e un sorriso.
Quando gli sussurrai che l’uovo, secondo me, era un “filino” troppo cotto, ammise, quindi inchino e sorriso. Sereno per avergli esternato il mio punto di vista e per la risposta ottenuta, avrei potuto congedarmi come qualsiasi persona assennata avrebbe fatto. Ma, evidentemente non ancora pago, indugiai sino a quando non sentii la mia voce, quasi non fossi io ad articolarla, esternare che “l’uovo del ramen non deve essere servito croccante”. La mia affermazione provocò due immediati e simultanei effetti collaterali: gli occhi del cuoco si spalancarono a palla e Alessia cominciò a strattonarmi verso l’uscita.
Dopo pochi passi sul marciapiede, con enfasi polemica lei scandì “c-r-o-c-c-a-n-t-e” e mentre stavo per dirle che non volevo… mi sibilò che ero stato inqualificabile e a titolo di risarcimento per il grande imbarazzo in cui l’avevo messa propose che le preparassi io un ramen con tanto di uovo “non croccante”. Richiesta che per principio non presi in considerazione, non solo perché il mio ramen richiede mediamente un giorno di lavorazione, tempo di cui al momento non disponevo, ma anche in quanto sarebbe stato il cuoco, semmai, a dover provvedere. Non ne parlammo più. Più tardi, però, in un baretto di Brera dove rilassati sorseggiavamo i nostri drink, io un Negroni, Alessia ritornò sull’argomento. Stavo per ribadire quanto avevo poc’anzi sostenuto, ma mi sentii all’improvviso dalla parte sbagliata, in qualche modo ingeneroso: al momento non avevo un giorno a disposizione per prepararle il ramen?  In attesa avrei comunque potuto cucinarle l’uovo, la vera causa del contendere. E Alessia fu pienamente d’accordo.Così, dopo pochi giorni, arrivai da lei con tutti gli ingredienti necessari.

Alessia era molto disponibile ad assistermi, e interessata agli sviluppi della ricetta.

Preparai pertanto con piacere le nostre due uova.
Versai in un piccolo tegame due dl di salsa di soia, uno di acqua, un cucchiaio di mirin, alcune fettine di zenzero, uno spicchio di aglio schiacciato. Lasciai bollire il mix per circa 5 minuti, poi passai il recipiente di cottura in acqua e ghiaccio. Bollii le uova in acqua salata per 6 minuti, le immersi poi anch’esse in acqua ghiacciata per oltre 6 minuti, quindi le sgusciai. Alessia non perse un passaggio.
È molto importante che le uova si raffreddino completamente così che l’albume si indurisca, le spiegai, in quanto diversamente potrebbe sfaldarsi. Immersi le uova sgusciate nella marinata filtrata ormai fredda utilizzando un sacchetto di plastica per surgelati e le lasciai marinare in frigorifero per 3 ore.
Nel frattempo, avendo una commissione da svolgere fuori casa, ne approfittai per acquistare BOTTARGA di muggine e una bottiglia di sake Junmai che per morbidezza e complessità si abbinò perfettamente al piatto. Al momento dell’aperitivo, trascorse le 3 ore di marinatura, apparecchiammo in cucina, stappammo il sake per un brindisi e finalmente servii le uova.
Dopo averle sgocciolate le tagliai a metà nel senso della lunghezza (per il ramen le taglio nell’altro senso in modo che il tuorlo sia esattamente nel centro dell’albume), e le misi nelle nostre due ciotole con il tuorlo rivolto verso l’alto cospargendole con la bottarga tagliata a lamelle. Versai nuovamente il sake nei nostri calici e mi sedetti infilandomi tra il tavolo e il muro.
Alessia sembrava apprezzare il servizio e portò mezzo uovo alle labbra dischiudendole quanto basta per fagocitarlo elegantemente… immaginai i molari schiacciare lentamente, ma inesorabilmente, l’albume che opponeva una ingenua resistenza cercando di proteggere con un abbraccio il tuorlo dalla morsa dentale. L’albume sopraffatto capitolò e il tuorlo lentamente dilagò allargandosi nelle fauci spietate della mia amica. Le cremose consistenze generarono un gusto alimentato sia dalle note saline e umami della marinatura e della bottarga sia dalla dolcezza del tuorlo. Alessia, a occhi chiusi, sembrava voler trattenere la persistenza dei sapori che andava man mano affievolendosi, e che  poi  si ritirò inesorabilmente come un’onda sulla battigia. Bevve allora un centellino di sake, poi rivolse l’attenzione all’uovo rimasto, diventato oggetto del desiderio, o almeno così mi parve dall’espressione concupiscente, per nulla dissimulata, che si era nel frattempo disegnata su suo bel volto. Masticò l’uovo con grande lentezza senza perdersi nessuna sfumatura e dal viso traspariva un’estasi simile a quella del meditante quando trascende. Poi scostò leggermente la sedia chiudendo la mia via di fuga. Dopo aver accavallato le gambe intrecciò le dita delle mani e con queste avvolse la gamba accavallata appena sotto il ginocchio. Con il piede faceva oscillare la ballerina calzata solo in punta. Dalla caviglia sottile risalii con lo sguardo lungo i jeans che le avvolgevano il polpaccio, superai le sue dita affusolate, inciampai nello strappo al ginocchio, poi proseguii sull’attillato top di maglia blu, avvertendo un involontario rallentamento in prossimità del seno arrogante e turgido, per poi riprendere spedito su per il collo sino ad arrivare al viso. Solo allora mi accorsi che stava osservandomi con la stessa espressione con cui poco prima aveva guardato l’uovo che evidentemente, anziché soddisfarle la voglia, l’aveva stimolata. Nell’immenso, palpabile silenzio nel frattempo calato, sentendomi volente o nolente al centro dell’attenzione, incastrato tra muro e tavolo, per un attimo rimpiansi di non averle cucinato un ramen, come inizialmente mi aveva richiesto. Ma solo per un attimo.
...segui Fabiano.

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Fabiano Guatteri
Di poche parole, scrittore e giornalista, direttore editoriale della testata Good-Mood (www.good-mood.it), collaboro con la Guida I Ristoranti d’Italia de l’Espresso. Ho insegnato Gastronomia Sperimentale presso il Dipartimento di Chimica Farmaceutica dell’Università di Pavia. C’è dell’altro, ma basta così.

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