Primo Piano

Le otto montagne

Il contesto di un’amicizia

Non è semplice usare il contesto a scopo narrativo.
Sono in pochi a riuscirci con un senso. Penso a Terrence Malick e alla sua ricerca del sublime innestata in una natura che ne è espansione e conferma. Parliamo di eccezioni.
Spesso il contesto è semplice dato in cui inserire una vicenda, per fornire coordinate precise e chiare allo spettatore.

La sfida de Le otto montagne era duplice: narrare un’amicizia senza scadere nello scontato; usare la natura come strumento narrativo non invasivo.

La bellezza del film, che poi è anche la sua forza, è il perfetto equilibrio trovato tra questi due elementi. Nell’osservare le vicissitudini di Pietro (un Marinelli lontano da esagerazioni caricaturali) e Bruno (un Borghi perfetto sul confine tra il brutale e l’affettuoso) è impossibile non accorgersi di come le loro interazioni seguano il ritmo cadenzato e placido delle stagioni invernali e isolate sulla montagna.
Un isolamento che non si fa sottrazione dal mondo ma delimitazione precisa di un luogo emotivo nel quale far muovere i sentimenti dei protagonisti.
Perché Bruno e Pietro sono antitetici ma complementari. Introverso e legato all’alpeggio il primo, estroverso e aperto al mondo il secondo, i due amici si cercano, allontanano, annusano, scostano, abbracciano. In una parola: completano.
È complesso descrivere la profondità e la varietà delle emozioni che legano due persone, soprattutto quando il sentimento si fa bromance e fratellanza sincera, lontana da stereotipi di genere o da enfasi esplicative. Quella di Bruno e Pietro è un’amicizia silenziosa, basata sul non-detto, sulla complicità, sulla certezza della fermezza, appendice della stoica staticità della montagna che li accoglie e ne segue le vicende.

La baita diventa allegoria dell’unico luogo in cui un’amicizia può confermarsi: un edificio empatico nel quale due persone si vedono e riconoscono nella loro solitudine, lontane dal mondo, dalle parole, dalle cose altre che riempiono la quotidianità.

C’è un silenzio avvolgente e rassicurante nella messa in scena dei registi belga. Felix van Groeningen e Charlotte Vandermeersch comprendono che la chiave per esprimere il senso più compiuto del rapporto tra Bruno e Pietro sta nella sottrazione.

I movimenti di macchina si fanno minimi e fluidi, i dialoghi scarni e pratici, la colonna sonora quasi evanescente se non per sottolineature stridenti e ambientali. Se di “verità” si parla, al netto della complessità che tale concetto porta con sé, lo si fa partendo dai dati di realtà più immediati e fattuali.

Bellissimo in tal senso lo scambio tra Bruno e gli amici di città di Pietro sul concetto di “natura”.

Non esiste la “natura”, parola astratta e priva di conferme; esistono i pascoli, l’erba, i boschi. Esistono le persone e da lì parte l’indagine. Il resto è conseguenza di qualcosa di più grande nel quale le persone stesse sono inserite, che non comprendono, ma che contribuiscono a formare. Come le “otto montagne e gli otto mari” di Pietro, che poi si uniscono nel monte Sumeru. Diversi ma indispensabili a vicenda per esistere.

E su questa base si innesta infine un discorso sul senso ultimo di essere un essere umano: andare incontro al proprio destino per completare quella piccola parte che forma il contesto di interdipendenza reciproca tra persone e mondo.

Pietro completa Bruno vagando per il mondo alla ricerca di sé e tornando da Bruno; Bruno completa Pietro omaggiando l’alpeggio con la propria presenza e attendendo i ritorni di Pietro.

Entrambi completano e onorano la propria amicizia affrontando la solitudine dello specchiarsi l’uno nell’altro e rapportandosi con la montagna, luogo di unione dei reciproci silenzi, nell’unico modo che conoscono, confermando il loro destino: Pietro allontanandosene; Bruno immergendosene.

Diversi, speculari e complementari.

Il senso ultimo dell’amicizia.

...segui Gianpietro.

Christian Brogna

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Gianpietro Miolato
Formazione letteraria, passione per buon cinema e buona cucina di cui scrive su riviste del settore e su PassioneGourmet, ha trovato nella settima arte la scuola di vita che la vita stessa non gli aveva fornito. Un legame sanguigno, con alti e bassi, spesso cinico, mai enfatico. In una parola: onesto.

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