Primo Piano

The Warrior – The Iron Claw

L’artiglio che commuove

Il doppiaggio italiano ha visto bene di aggiungere una crasi tra The Wrestler (2008) di Aronofsky e Warrior (2011) di O’Connor, giusto per creare ancora più confusione rispetto a quanto già non avesse fatto il trailer.
Perché  si tratta di un film di una famiglia che lavora nel e col wrestling, non il contrario. Il dettaglio non è banale: di botte e sangue ce ne sono pochi.

The Iron Claw è un dramma familiare che, per certi aspetti, rasenta il melodramma

Partiamo dagli aspetti negativi: il dramma è costante e accelerato tanto che, nella seconda parte, ogni volta che squilla un telefono o che due personaggi non sono nella stessa stanza e devono relazionarsi sale forte il sospetto che una sfiga si abbatta da lì a pochi secondi (e nove volte su dieci capita).
Inoltre il wrestling è presente ma marginale e intercambiabile con qualsiasi altro sport, sollevando non pochi cortocircuiti negli spettatori che legittimamente avessero voluto guardare un prodotto di sberle date a due a due finché non diventavano dispari.

Ma superato questo fraintendimento comunicativo iniziale si può guardare il film per quello che vuole essere e allora gli occhi sudano forte poiché di qualità ce ne sono parecchie.

Al di là di una prima chiave di lettura politica, che vede nelle azioni del padre-padrone una non troppo velata critica al capitalismo americano e all’arrivismo che ne consegue, è puntando tutto su quello stesso padre che il film spicca il volo.
Qui siamo dalle parti della tragedia greca, con un padre-Crono inconsapevole che, nel tentativo di temprare la famiglia affinché abbia successo, involontariamente ma colpevolmente mangia i suoi stessi figli a uno a uno facendoli morire in maniera indiretta. Il tutto per superare un esplicito complesso di inferiorità legato agli insuccessi di una carriera (del padre) mai davvero decollata.

Materia da psicoanalisi decennale, la quale viene trattata con un elemento tanto immediato quanto funzionale: il corpo

Efron è grosso da far spavento e riesce a trasmettere tutta l’inadeguatezza personale e affettiva del suo personaggio per contrasto, alternando una recitazione minima e poco definita a un corpo in cui ogni singolo muscolo è lucidato e pompato. Se sul versante drammaturgico, Efron fa del suo meglio, e qualcosa gli riesce, ma la rivelazione (che poi non lo è manco tanto) è Jeremy White.
Arruolato come wrestler per sbaglio dopo il boicottaggio delle Olimpiadi di Mosca, vincitore del titolo mondiale di wrestling con un’estrazione a sorte a discapito del fratello Efron predestinato, menomato e dopato per incapacità di gestione della fama e, alla fine, suicida per liberarsi di un peso troppo grande per le sue spalle, White segue le orme fisiche di Efron ma lo supera in profondità drammatica con una recitazione sul filo dell’asservimento e dell’esplosione man mano che il successo aumenta, con clou della sequenza della cena di Natale dove ogni istante sembra detonare in un’esplosione che poi non arriva.
A ciò un altro aspetto che innalza il valore del film è la volontà di non puntare su profondità dialogico-concettuali, preferendo lasciare che siano i corpi a parlare negli incontri-sconti tra loro, sul ring e fuori.

Un film maschile, dove la figura femminile esiste ma è funzionale per parlare di altro: di fratellanza, in senso più spirituale che familiare

Un’unione di persone unite dalla tensione fisica a cui segue una separazione nella presa di coscienza fisica che ognuno vive nel proprio di corpo, sente il dolore a modo suo, dunque deve fare i conti con se stesso per ciò che riguarda l’accettare o meno il fardello di un destino scelto da altri per definirsi di rimando.
Quindi la famiglia come concetto fondante della società viene distrutta e ricostruita, riconoscendone l’importanza quale fenomeno fattuale mettendo però in chiaro che la stessa acquista un valore duraturo (e benefico) solo quando il voler essere famiglia sostiene il dover essere famiglia, non il contrario.

Due ore e un quarto che volano, tra uno schiaffone e un “artiglio” che escoria la cute di chi ne è vittima, commuovendo chi, invece, è seduto in sala.

...segui Gianpietro.

Kiss the Rain

Previous article

Simone di Cianni

Next article
Gianpietro Miolato
Formazione letteraria, passione per buon cinema e buona cucina di cui scrive su riviste del settore e su PassioneGourmet, ha trovato nella settima arte la scuola di vita che la vita stessa non gli aveva fornito. Un legame sanguigno, con alti e bassi, spesso cinico, mai enfatico. In una parola: onesto.

You may also like

Commenti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *