L’odore della pioggia
Chi tra noi non ha ben presente l’odore penetrante e caratteristico delle prime piogge dopo un periodo di prolungata siccità e di cielo sereno? Il nome di questo sentore caratteristico, “petrichor” – che tradotto dal greco significa all’incirca ‘linfa della pietra’ – venne impiegato solo nel 1964 grazie alla scoperta di due scienziati australiani, Isabel Bear e Richard Thomas, per indicare quel liquido oleoso e aulente che sgorga da alcune rocce assolate durante l’assenza di precipitazioni atmosferiche e che, dopo la pioggia, rilasciano quel particolare odore nell’aria. Le gocce di acqua piovana, è noto, sono inodori; tuttavia, dopo un periodo di aridità, bastano poche di queste perché il terreno effonda il romantico, muschiato e polveroso “profumo di pioggia”, risultante da una combinazione di olii essenziali rilasciati da piante, muffe, funghi, microrganismi e minerali presenti nel suolo che si mescolano con i vapori acquei.
“Il naso umano è talmente sensibile a questa fragranza che è in grado di rilevarla in un ambiente in cui sono presenti appena cinque parti per miliardo”; alcuni scienziati sostengono che per comprenderne il motivo, “dobbiamo tornare indietro di milioni di anni, quando i nostri antenati vivevano nella savana africana ove la ‘geosmina’ era fondamentale per rilevare la presenza di acqua e, in qualche modo, il messaggio è rimasto tuttora ancestralmente ancorato ai nostri circuiti di ricompensa”.
Lo stesso accade, ovviamente in modo più estremo, ai cammelli che salvificamente riescono a percepirla nel deserto anche a miglia di distanza e pertanto a captare dove è ubicata una determinata oasi, al fine di raggiungerla e ristorarvisi.
Si chiama ‘petrichor’ anche l’esalazione che percepiamo in città quando iniziano a cadere le prime gocce sull’asfalto mista ai sentori degli pneumatici caldi, (vedi l’edt Knize-Ten creata nel 1925 da Knize, la più celebre sartoria viennese di tutti tempi); è quindi incontrovertibile quanto i profumieri da tempo siano affascinati e si siano affannati nel catturare l’odore intrigante che precede o segue un temporale.
Il primo tra questi, COME ABBIAMO GIÀ ANNUNCIATO, è stato Jacques Guerlain che, nel 1906, ha trasformato in ampolla l’impressione di Parigi, dopo un violento rovescio, nello ‘chypre’ per antonomasia, Aprés l’Ondée, impiegando le prime note poudrées ‘di sintesi’ nella storia del Profumo (ora questa fragranza è, ça va sans dire, annoverata nella Collezione ‘ Les Légendaires’).
Impossibile non citare l’Editore dei Profumieri, Frederic Malle, di cui abbiamo largamente illustrato gli incantesimi olfattivi NELLE SCORSE PAGINE, che assieme al mitico Jean-Claude Ellena, ha concepito nell’anno 2000, Angeliques Sous La Pluie, un’eau de parfum fresca e sottilmente sensuale con tocchi di pepe rosa evocante l’aroma dell’angelica e del ginepro bagnati di pioggia e di rugiada, del sottobosco ricco di muschi e di spore.
È sempre il Maestro Ellena a volersi misurare nel 2008 in Un Jardin Après la Mousson, commissionatogli da HERMÈS, dove traduce in note avviluppanti ed esotiche di zenzero, pepe, cardamomo, coriandolo, l’odore della pioggia monsonica nel Kerala, sostenendo quanto, in seguito alla precipitazione, ‘”le foglie rinverdiscano, l’acqua rinvigorisca gli aromi freddi e l’odore rinasca, vivo, chiaro, umido”.
Anche Lyn Harris, capostipite del brand londinese MILLER HARRIS, omaggia il clima uggioso nel 2011 con La Pluie, tratto da un nubifragio che l’aveva sorpresa ai Tropici e che trasforma, con la sua inequivocabile maestria British, il sentore polveroso e acre della terra pregna di acqua e di erbe calpestate.
Venendo infine a qualche anno fa, nel 2022, anche Billie Eilish, eclettica cantautrice statunitense, attratta dall’acquazzone che si abbatte sugli alberi boschivi, ha creato la fragranza EILISH N2. grazie all’ausilio del Naso Steve DeMercado che ha saputo tradurre al meglio i sentori silvestri inzuppati dalla pioggia con tocchi di note di legno di palo santo ed ebano avvolte dal muschio denso di rugiada.
...segui Alessandra.
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