Montagne Pelée
La Casa degli Spiriti

Rum, Rhum e Ron: un’unica anima caraibica

Quindici uomini sulla cassa del morto,

yo – ho – ho, e una bottiglia di rum!

La bottiglia e il demonio han pensato al resto,

yo – ho – ho, e una bottiglia di rum!

Risulta quasi inevitabile iniziare una trattazione sul rum con un canto piratesco, comparso per la prima volta, in forma scritta, ne L’isola del tesoro di Robert Louis Stevenson, successivamente trasferito anche in musica. Un’associazione che tende a nascere spontanea, quella fra il mare e i suoi frequentatori, a vario titolo (mercanti, marinai, pirati), e il distillato ricavato dalla canna da zucchero, fin dalla metà del Seicento inseparabile compagno di viaggi, missioni e scorribande. Una dotazione preziosa e agognata, tanto da divenire anche protagonista di narrazioni dai connotati leggendari, quale quella che vorrebbe la salma dell’ammiraglio Nelson collocata in un recipiente colmo di rum, affinché si preservasse nel viaggio fra Trafalgar e la madre patria. 
L’evento che ha forgiato, in maniera decisiva, l’identità del rum è stato il colonialismo; a cominciare dalla grafia e pronuncia del nome, passando per l’articolazione geografica, fino alle metodologie produttive tuttora in vigore, l’epopea del distillato può essere considerata la trasposizione della spartizione, e della lotta per la supremazia, perpetrate nei Paesi dell’America Centrale e Meridionale bagnati dal Mar dei Caraibi, da tre grandi protagoniste di questa cruciale vicenda storica: Inghilterra, Francia e Spagna. 
E, ancora e molto prima, si deve agli spostamenti attraverso il globo l’approdo della stessa materia prima nelle terre di elezione del rum. La canna da zucchero è originaria dell’attuale Indonesia, avvicinatasi al bacino del Mediterraneo grazie agli Arabi, per poi iniziare a diffondersi in Europa ad opera dei Crociati di ritorno dalla Terra Santa. Per fronteggiare il sostanziale monopolio iniziale dei veneziani nella produzione e commercializzazione della bianca, fine e apprezzatissima novità, si attivarono particolarmente spagnoli e portoghesi, che misero in piedi piantagioni alle Canarie, Azzorre e Madeira. Con l’inizio delle grandi esplorazioni, la pianta sbarcò nel Nuovo Mondo; la prima destinazione fu probabilmente l’isola di Hispaniola (che comprende le attuali Repubblica Dominicana e Haiti), al seguito nientemeno di Cristoforo Colombo. È evidente come l’area caraibica sia diventata, via via, il bacino primario di diffusione della nuova specie; dapprima si allungarono ulteriormente i tentacoli iberici, poi si affacciarono sulla ribalta anche inglesi e francesi.
Un’ascesa agevolata anche dalla progressiva diffusione della pratica della distillazione, strettamente connessa al continuo andar per mare delle popolazioni gravitanti nella zona, bisognose di vettovaglie conservabili, e resistenti al calore. Permane tuttora la diatriba sul luogo ove si sperimentò per la prima volta la fermentazione, e successiva distillazione, del residuo della lavorazione della canna da zucchero oggi noto come melassa. Maggiore certezza si ha sulle tempistiche, dato che documentazione attesterebbe che, già nel 1655, fosse entrata in vigore l’usanza di distribuire una razione giornaliera di distillato ai marinai della Royal Navy britannica, in luogo di acqua e birra, facilmente deperibili e potenziali vettori di malattie. È facile immaginare quali effetti collaterali si fossero manifestati, se una delle versioni sulla nascita del nome rum lo vuole derivato da rumbullion, termine inglese che indica rissa, gran tumulto…Per mitigare questo inconveniente, si passò prima alla diluizione con acqua, poi all’aggiunta di succo di lime e zucchero, utili per combattere malattie quali lo scorbuto. Questa felice intuizione si deve all’ammiraglio Vernon, il quale (chissà fino a che punto inconsapevolmente…) delineò gli albori della mixology con questo antesignano del punch, cui, originariamente, fu attribuito il nome grog (da grogham, particolare tessuto da cui erano ricavati i capi che l’ammiraglio amava indossare).
Secondo un’altra interpretazione, decisamente più rigorosa, il nome altro non sarebbe che l’abbreviazione di Saccharum Officinarum, nome scientifico della canna da zucchero. 
Una volta coniato definitivamente, si sviluppò poi la lieve differenziazione di grafia e pronuncia del nome in relazione all’influenza esercitata nelle diverse zone: cosicché, tuttora possiamo trovare in etichetta rum, rhum e ron, a seconda che esso venga prodotto in Paesi reduci dalle dominazioni inglese, francese e spagnola, rispettivamente (o tuttora loro protettorati o dipartimenti).
Lungi dal rimanere confinato nella sua culla, il consumo di rum si diffuse, progressivamente e inesorabilmente; in Nord America, in primis, ove i coloni di origine britannica ebbero la possibilità di reperire una bevanda esente dalle insidie dei lunghi viaggi (e verso cui, negli anni bui del Proibizionismo, il distillato beneficiò di un efficiente canale di contrabbando creato dai cosiddetti rum runners). Ma anche in Europa, ove, spesso, i barili di rum venivano spediti per affrontare un processo di invecchiamento più lento e graduale in contesti climatici meno caldi (prassi tuttora in vigore, in alcuni casi).  La nuova bevanda fu talmente apprezzata che si cominciò persino a ricrearla artificialmente quando non prontamente disponibile, con acquavite neutra e l’aggiunta di una miscela di spezie detta creola. Un successo che si consolidò definitivamente nel secondo dopoguerra, anche grazie al boom della mixology.
L’impennata della domanda fu, altresì, causa del lato più oscuro e triste delle vicende legate al rum; la necessità di disporre di manodopera sempre più numerosa innescò un continuo andirivieni fra America ed Africa, alla ricerca di popolazioni da impiegare nelle piantagioni in condizioni di schiavitù, impiegando proprio il distillato come merce di scambio fra le più preziose e ricercate.
Per quanto concerne gli stili produttivi, il quadro si delineò definitivamente a metà Ottocento, con l’inizio della produzione, prettamente nelle colonie francesi (Martinica, Guadalupa, Haiti, Reunion), del rhum agricole, ricavato dalla fermentazione e distillazione del vesou, il succo puro ottenuto direttamente dalla macinatura (broyage) della canna da zucchero. Sempre in virtù dell’influenza transalpina, per questa tipologia viene spesso utilizzato il metodo della doppia distillazione discontinua in alambicchi di foggia tradizionale, stile charentais. Una nicchia produttiva (ad oggi, circa il 10% del totale), da cui traggono origine rhum con più spiccati sentori erbacei e floreali, talvolta balsamici, e dall’impronta gustativa più fresca.
Il restante 90% della produzione è ricavato dalla distillazione della melassa, e ricade sotto la definizione di rum industriale; terminologia non propriamente felicissima, che induce ad accostare automaticamente un’immagine di minore qualità, non sempre veritiera. Rientrano, nella grande maggioranza dei casi, in questa macro – categoria i rum e ron di ascendenza inglese e spagnola. Nel primo gruppo di Paesi (Jamaica, Barbados, Trinidad & Tobago, Guyana, Grenada) convivono sia metodi di distillazione discontinua in alambicchi modellati sui pot still scozzesi, sia la distillazione continua in alambicchi a colonna. Quasi esclusivamente con quest’ultima modalità vengono prodotti, infine, i ron (a Cuba, Repubblica Dominicana, Guatemala, Nicaragua, Porto Rico, Colombia, Venezuela). Qui, l’influenza iberica si riflette anche su particolari prassi di invecchiamento, quali il metodo Solera e l’utilizzo di botti ex sherry, atte a conferire profumi e aromi più intensi e dolci, e grande avvolgenza al palato.
Risulta, comunque, arduo e riduttivo delineare una precisa categorizzazione, stante i pochissimi casi di equivalenti delle nostre Denominazioni di Origine, con relativo disciplinare di produzione (7 Dipartimenti d’Oltremare francesi, Guatemala e Demerara, regione della Guyana); soprattutto relativamente al processo d’invecchiamento, non sono previsti dettami particolari in ordine a tempistiche, modalità e contenitori utilizzabili. Ne consegue un proliferare di espressioni, che conferisce fascino ancora maggiore a questo amatissimo distillato, in grado di proiettarci in uno spensierato mood estivo, accompagnato dai famosissimi cocktail che lo vedono protagonista, così come di cullarci nelle fredde e languide serate invernali.
Proviamo ad assecondare, almeno virtualmente, il solleticante richiamo delle suggestioni esotiche con un’incursione nel Dipartimento d’Oltremare francese della Martinica, culla del rhum agricole, la cui produzione è disciplinata dalla AOC Rhum Agricole de la Martinique, in tutto e per tutto equiparata alle altre Appellation d’origine contrôlée francesi. Rhum J.M. (fondata nel 1790, e dal 1914 di proprietà della famiglia Crassous de Médeuil), è una realtà di grande pregio, unica distilleria dell’isola ove l’intero processo produttivo, dalla coltivazione della canna all’imbottigliamento, è gestito e seguito internamente, a vantaggio di cure più attente, e del sostegno alla qualità dato dalle tempistiche quasi azzerate fra le varie fasi di lavorazione. L’ubicazione sulle ultime propaggini di un vulcano (la Montagne Pelée), restituisce, infine, un terroir particolarmente confacente alla nostra pianta, e alla sua migliore espressione.
La distillazione è effettuata con metodo continuo in alambicchi a doppia colonna; i rhum destinati all’invecchiamento vengono posti in fusti di rovere a piena gradazione (65 – 72% vol), cosicché essi scendono a quella prevista per l’imbottigliamento esclusivamente grazie alla graduale evaporazione, dovuta al calore e alla porosità del legno.
Rhum Vieux Agricole V.O. è sottoposto ad un invecchiamento minimo di 3 anni in botti di rovere, sia nuove che di secondo passaggio, dopo avere ospitato Bourbon Whiskey. Un seducente connubio fra le note erbacee e floreali connaturate a questa tipologia di rhum, e quelle calde e dolci tipiche del legno nuovo, con golosi richiami di dattero e frutta secca; il tutto attraversato da una delicata scia affumicata, che in bocca si svela con avvolgenza e persistenza che non fanno rimpiangere i whisky torbati più delicati.
Fiore all’occhiello della distilleria è l’Atelier dei Rhum, linea espressamente dedicata alla mixology, frutto della collaborazione d’eccezione fra la maestra di cantina Karine Lassalle e Joseph Akhavan, capo barman del cocktail bar Mabel di Parigi. Tre prodotti originali e accattivanti, nati dalla sperimentazione dell’utilizzo combinato di varie tipologie di legni.
Fumèe Volcanique è l’affettuoso omaggio al territorio, invecchia per 12/14 mesi in botti ex Bourbon, ha un profilo aromatico erbaceo e balsamico, che lascia via via spazio a intense note affumicate che regalano un lungo ricordo di tabacco al palato, accompagnato da piacevolissima freschezza e salivazione.
Jardin Fruité invecchia per 24 mesi in botti di rovere francese e americano dai diversi gradi di tostatura, elargisce note esuberanti di frutta esotica e candita, nonché grande rotondità ed esplosione di gusto al palato.
Épices Crèoles invecchia per 36 mesi in botti di rovere francese e americano, anche in questo caso dai diversi gradi di tostatura, e presenta un intrigante bouquet di spezie, che vanno dalla freschezza e pungenza del pepe al calore della curcuma e della cannella, con un bellissimo finale di liquirizia.
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Sara Comastri
Un passato da bancaria alle spalle, trascorso aggrappandomi alle mie numerose passioni, quali ancore di salvezza in un tumultuoso mare di numeri e budget. In particolare, il vino e i distillati mi hanno premurosamente accolto sulla riva dopo un’ondata tanto impetuosa quanto provvidenziale, risvegliando l’anelito della conoscenza, e facendo riemergere velleità sopite e inclinazioni rinnegate. Una nuova rotta intrapresa con entusiasmo, passata la soglia fatidica dei quaranta.

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