Storia e prospettive di un fortunato connubio
È assodato che le scelte di consumo, in molteplici ambiti merceologici, vengano spesso guidate dalle etichette e dalla risonanza mediatica, piuttosto che dalla conoscenza accurata del prodotto. Con specifico riferimento al caleidoscopico mondo della mixology, quanto spesso si ordina un determinato cocktail basandosi sulla notorietà del nome (magari, trainata da associazioni con fortunate serie televisive), senza essere consapevoli della sua reale composizione?
Quanti potrebbero restare sorpresi nello scoprire che, fin dagli albori, fra gli insostituibili pilastri di questa pratica vi sono i distillati, cui si tende ad accostare un’immagine elitaria e solenne, piuttosto che glamour?
Distillati e Mixology
Approfondiamo questo appassionante connubio (e le sue più evolute, e stimolanti, prospettive quale l’abbinamento con il cibo), con il prezioso contributo di Luca Picchi, Bartender e Bar Manager di fama internazionale (attualmente al Caffè Gilli 1773 di Firenze), nonché uno dei più grandi esperti del Negroni. Luca Ha svolto le sue prime esperienze lavorative nella discoteca dello zio a Castiglioncello, in concomitanza con il periodo denominato dark age of cocktail, fonte di riflessioni e spunti per cambiamenti da subito percepiti come necessari. Dopo un’ulteriore esperienza all’Isola d’Elba, è approdato a Firenze, al Caffè Rivoire, nel 1997; da questo momento, ha intrapreso un’accurata ricerca sulle reali origini del Negroni, da sempre avvolto in un alone di mistero, e protagonista di narrazioni approssimative. I risultati di questo studio hanno dato origine a due libri, “Sulle tracce del conte: la vera storia del cocktail Negroni” e “Negroni cocktail: una leggenda italiana”.
A ciò è seguita anche un’intensa attività didattica e consulenziale: Luca Picchi è ricercatore, storico della miscelazione, giudice in diverse competizioni internazionali, consulente di varie aziende liquoristiche, Spirit Ambassador di SAGNA S.P.A. Nel 2019, è stato letto Bar Manager dell’anno nella competizione Awards Bargiornale.
Fermentati e distillati hanno una genesi antichissima, così come è molto meno recente di quanto si possa pensare la nascita della pratica della mixology partendo da questi ultimi. Ci può delineare un breve excursus storico, che inquadri in maniera più puntuale questa meravigliosa epopea?
Per non annoiare chi leggerà questa intervista, da storico mi limiterò a cercare di trasmettere il concetto che le bevande alcoliche in generale sono legate a doppio filo alla storia e all’evoluzione dell’uomo sulla Terra, siano esse fermentate o distillate. Tracce di bevande fermentate si ritrovano in Oriente già 6000 anni fa. Nel bacino del Mediterraneo, culla delle più evolute civiltà, troviamo elementi certi databili 4500 anni fa. Non si capivano ancora i meccanismi della fermentazione, ma quello che si otteneva da uva e cereali fermentati aveva “poteri” divini, e si poteva usare per curare i vari malanni che affliggevano l’uomo a quei tempi. Poi, Dioscoride Pedanio disegna un attrezzo che sublima queste bevande, e riduce l’acqua concentrando l’alcol. Lo chiamerà ambix. La cultura araba evolverà l’ambix in uno strumento chiamato poi el-ambix (alambicco), per creare rimedi sia per sanificare ferite, sia per cosmesi, dal momento che la religione musulmana non permetteva l’ingestione di alcol, ma ne consentiva l’uso esterno. Successivamente, gli eventi storici (Crociate, invasione musulmana in Europa, espansione europea del Cristianesimo, Scuola Medica di Salerno) permisero la diffusione della tecnica della distillazione nel Vecchio Continente, e la soluzione della conservazione dei fermentati. In breve, nel XV secolo in molte parti d’Europa era già diffusa questa tecnica che permetteva lunga vita ai prodotti alcolici. Allora nascono Cognac, Armagnac, Brandy, Jenever, Wodka e Vodka, Whisky e Whiskey, e, successivamente, dopo la scoperta delle Americhe, Rum, Tequila e molti altri famosi spiriti.
Qualche secolo dopo, per esigenze igieniche (siamo a fine XVII secolo) nasce una mistura che si tramandava grazie a una filastrocca. Le grandi compagnie di navigazione europee allora facevano la fortuna dei rispettivi Regni se arrivavano prime delle altre. Ma la vita in mare era dura. Si poteva stare in mare anche settimane per le avverse condizioni. L’acqua era l’elemento principe, ma deperiva dopo pochi giorni per il caldo, e perché veniva stivata in botti di legno che la rendevano non potabile dopo poco. Inoltre, mancava la vitamina C, e gli equipaggi erano spesso colpiti da epidemie di dissenteria e scorbuto. Furono gli Inglesi a inventare il Punch. Questa era una bevanda che si costruiva con un concetto empirico, e si tramandava con questa ricetta: one of sour, two of sweet, three of strong, four of weak, five of spice.
Ebbene, questo ha dato origine alla miscelazione. Tutti i cocktail, ancora oggi, sono basati su un concetto arcaico di balance e texture. Il resto è storia moderna che potete leggere sui social.
Assai semplicisticamente, l’impiego nella mixology viene spesso liquidato come mezzo per svecchiare l’immagine dei distillati, e renderli apprezzabili da una platea più vasta di consumatori. Come si può trasmettere un messaggio più corretto, volto a rendere manifeste le reali potenzialità di questo connubio?
Non sono d’accordo su questa affermazione di “svecchiare l’immagine dei distillati”, perché sembra quasi che la creatività dei Bartenders in realtà celi delle trappole tese a svuotare le eccedenze. Intendiamoci… spesso accade che per esigenze di magazzino si cerchi di promuovere certi drink, per smaltire prodotti in scadenza o da eliminare. Oggigiorno, però, il livello di preparazione di molti colleghi che operano dietro il bar è molte volte superiore al livello che i Barman avevano 30 anni fa. Quindi, spesso assistiamo a proposte nelle drink list falsamente interpretate dai clienti. Faccio qualche esempio: il Mezcal, distillato di agave come il Tequila, ha avuto un’espansione quasi verticale negli ultimi 15 anni. Sarebbe un errore considerare il Mezcal come un’alternativa del Tequila; sono due prodotti completamente diversi. Per non parlare del Sotol. Un esempio analogo con il Rum e la Cachaça; intanto… quale rum? Rum, Ron o Rhum? Vogliamo poi parlare del Clairin? Quello che posso consigliare è dare informazioni, e soprattutto rendere accessibili le interpretazioni delle cocktail list anche ai clienti meno esperti. Non sono tutti Bartender… i clienti!
Quali sono le tendenze attualmente più innovative, stimolanti e sfidanti per chi opera dietro il bancone?
Sicuramente, il food pairing. Si tratta di una difficilissima, ma eccitante esperienza che mette a confronto due background spesso molto distanti tra loro: uno chef e un bartender. Si decide una linea liquida (drink) e una solida (food), e si cercano dei “contatti” sensoriali che integrino le varie proposte. Naturalmente, si prende ispirazione dagli abbinamenti classici cibo/vino o cibo/birra. Ma per i cocktail è molto diverso. La mia opinione (avendo fatto già diverse esperienze), è che la responsabilità maggiore sia del Bartender. Sì, perché se a ogni portata si intende abbinare un cocktail intero, alla seconda/terza portata il cliente che vorrebbe vivere l’esperienza all’ultima moda si ritrova spesso con delle grandi vertigini, per non dire ubriaco. Il rischio è quello di eccedere con l’alcol, rovinando la serata, che invece ha enormi potenzialità. Consiglio di creare delle miscele che, come gradazione alcolica, si ispirino a vino o birra (quindi non superare mai i 20 – 22 % vol. per drink; si può osare sull’ultima proposta…non prima! L.P.), e di stare attenti alla dose di servizio: suggerisco al massimo 50 ml. Casomai, si fa un passaggio proponendo un altro assaggio massimo di 30 ml supplementari. E poi acqua, tanta acqua: naturale e frizzante.
Quali sono gli abbinamenti cibo/distillati più azzeccati, e reciprocamente valorizzativi?
Se si parla di distillati, la cosa è abbastanza semplice: Rum e Cognac con cioccolato e frutta candita, Gin e Vodka con pesce crudo, mirtilli, pesce affumicato, Calvados e distillati di frutta con gelati, smoothies e creme in generale, Spumante e Vodka con gelato al limone, Williamine con crema gelato, e potrei proseguire per ore…
Passando al lato del consumatore, si possono rilevare, attualmente, tendenze e prospettive prevalenti?
Contestualizzando il terribile periodo che ha coinvolto ogni recondito angolo della Terra, mi rimane difficile fare previsioni, anche a breve periodo. Posso dire che nel secondo decennio degli anni Duemila la tendenza del bere miscelato e non, era indirizzata su gusti amari, secchi, poco dolci o al massimo “abboccati”. Questo vale sia per distillati che per liquori e cocktail. Le nuove tecniche, e le immancabili tendenze, hanno portato negli ultimi anni a proporre nuove bevande. Ecco allora che appaiono sempre più le parole Kombucha, Rotovapor, Sous Vide, Tintura, Aria, Velluto, Infuso, Spuma, Fat Wash, eccetera. Ripeto un concetto già espresso: non tutti i nostri clienti sono “addetti ai lavori”, e quindi è importante la comunicazione, la spiegazione, la consapevolezza di ciò che si racconta o si propone. In breve, comunque, per quello che osservo c’è una grande ricerca del passato, da rivisitare in chiave moderna (twist), un’attenzione alla genuinità della materia prima (soprattutto quella fresca), una decisa propensione al consumo di distillati, liquori e cocktail alcol free.
A conclusione, le chiediamo di illustrarci un cocktail per lei particolarmente rappresentativo.
NEG – MEX (creato in occasione della Florence Cocktail Week 2018)
20 ml Mezcal 20 ml Bitter Gran Milano 20 ml Vermouth Rosso Antica Torino 10 ml Moka Varnelli (Liquore al caffè) 3 Dash Neg-Mex homemade Bitter Method: Stir Glassware: Old fashioned on the rocks Garnish: Twist of lemon peel, BBQ vanilla flavour toasted Marshmellow, 1 Blueberry
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