Sorsi d'autore

La musica di Marco Zanoni

Riflessioni su musica, TV e comunicazione del nostro tempo con Marco Zanoni

Special guest Giacomo Aloigi
Già da molto tempo desideravo fare una sorta di riepilogo del panorama musicale odierno, dal punto di vista della sua evoluzione divulgativa. Cioè dei canali attraverso cui ora la musica si ascolta, si trasmette a noi, rispetto al passato. Ci siamo ritrovati completamente dentro alla transizione digitale, con più o meno consapevolezza, però è accaduto. Si parla di musica liquida, ad esempio, e, parallelamente, di ritorno del vinile, due sistemi divulgativi di fruibilità musicale agli antipodi.
Senza supporto la musica è diventata (quasi) di tutti e passa attraverso canali internet sostanzialmente gratuiti; parallelamente il vinile, cioè il vecchio LP (long playing), con i suoi anoacronistici limiti di durata, ora è un oggetto di culto, direi un dogma per i fecitisti più convinti. Queste ed altre riflessioni le faremo con Marco Zanoni, pianista, arrangiatore e polistrumentista.
Il suo lavoro, oltre che di divulgatore LOGIC PRO X, è stato ed è soprattutto quello di artista per tournée importanti, oltre che di musicista collaboratore per format televisivi molto noti, fra cui ad esempio The Voice Senior di cui si è conclusa da pochissimo su RAI Uno la seconda edizione vinta da Annibale Giannarelli del team di Gigi D’Alessio, il cui prestigioso passato musicale rivendicava un meritato riscatto.

La televisione sta offrendo un contatto fra il mondo della produzione e quello che è il mondo dell’esco di casa e ci provo.

Appunto; un altro aspetto molto importante, oggi è quello di provare a tracciare una strada per i giovani alla ricerca di un loro cammino, o per tutti quelli con la voglia di mettersi in gioco, musicalmente parlando, in questo periodo di totale transizione e parziale abbandono dei canali divulgativi tradizionali. Paradossalmente, un talent show come The Voice Senior, pur essendo dedicato agli over, può essere un modello per i giovani e il loro desiderio di emergere, quando è una volontà sana, strettamente correlata con la necessaria preparazione.
Chiedo dunque a Marco Zanoni di provare a individuare questo cammino, quanto meno di suggerire cosa non fare più, se fuori dal tempo, in un contesto in cui l’essere bravi, saper suonare o cantare forse non basta più. Ma per capire cosa accade oggi è necessario fare un passo indietro, scavando non solo nel passato personale di Marco come musicista, ma esplicitando le tappe salienti di questo processo evolutivo, in generale.

Mi ricordo perfettamente, con mia mamma di essere andato a comprare Imagine di John Lennon [uscì nel 1971]. C’è una foto di me sul divano, con i dischi in mano, ero piccolissimo, non avevo in mente altro, li ho fatti impazzire [i genitori]. Mi ricordo tutti quei pezzi lì, quando ero proprio in fasce, praticamente.

Già, perché ai tempi di quei 45 giri, Marco Zanoni (classe 1967) doveva essere proprio piccolo piccolo. Ma l’instinto si mostra quando vuole e dove vuole. Se una forte, innata passione si esplicita praticamente poco dopo che si è imparato a camminare, allora è bene ascoltarla. Seguirla. E questo è il primo indizio: ascoltarsi. Poi, come in tutte le cose, ci si mette il caso, l’imperscrutabile ruota del destino, che certi chiamano fortuna.

Nell’85 ho iniziato a fare quello che si diceva la professione; casualità, perdo il treno per andare a Parma, in conservatorio.

Allora Marco ripiegò andando al suo usuale negozio di strumenti musicali, a Cremona (città dove tutt’ora vive). Là capita che uno di una band dice al proprietario che gli sta a casa il tastierista: va in tournée con la Oxa.  Per Anna Oxa era arrivato il suo momento, stava esplodendo, veniva da due edizioni di Sanremo, 1984 e ’85, poi nel 1989 sarebbe andata in coppia con Fausto Leali, vincendo il Festival con Ti lascerò. E il proprietario (alludendo a Marco Zanoni), dice: eccolo qua il tastierista!
Di lì inizia la prima tournée, con Piergiorgio Farina (all’anagrafe Piergiorgio Farinelli, violinista, cantante e compositore, padre di Bruno Farinelli, ottimo batterista), poi i primi dischi. Farina aveva contatti con Luigi Barion, produttore che a sua volta collaborava con la RAI per sigle televisive e altro, sicché Marco partecipa alla realizzazione di sottofondi per la TV.
Ma soprattutto arriva l’incontro con Shel Shapiro: capita che si deve fare una tournée con Adamo, proveniente dal Belgio, ma per una cosa o l’altra non va in porto e allora il suo impresario dirotta Marco e la band sulle date dell’ex cantante e leader dei Rokes, band inglese di successo degli anni ’60; era il periodo in cui Shapiro usciva con Per amore della musica (1987) e in Italia con la Spaghetti Records lancia artisti come Marco Ferradini e i Decibel di Enrico Ruggeri.

Io vivevo qua in campagna, in quel periodo e avevo la solita stanza delle cascinetta dove fare le prove e lui [Shel Shapiro] è venuto là… e quando è venuto in casa ha detto a mia madre: eh… mi sa che ho trovato le persona della musica.

E da lì è nato tutto.

Ed ecco il secondo indizio: teoria del caos o fortuna che sia, si deve seguirla. O se preferite, si deve lasciare che il destino abbia il suo corso, quando bussa alla vostra porta. In poche parole, significa stare al posto giusto, al momento giusto.
Intendiamoci, Marco Zanoni ha studiato al conservatorio, viene da una profonda conoscenza musicale classica, dunque ha consolidato delle basi imprescindibili. Ovvero, girando sempre attorno alle parole, la fortuna aiuta gli audaci, ma gli audaci preparati, però. Terzo indizio: una conoscenza della propria materia, del campo che si vuole perseguire, assolutamente perfetta. Ovvero: essere totalmente preparati.
Mentre scartabelliamo fra poster e testimonianze dove Marco Zanoni compare in cartellone – per quella sana mania che è rimasta ai figli del vinile, di leggere anche le note in piccolo, sulle cover degli LP, persino con la lente di ingrandimento, se occorre – con l’aiuto di Erica, la compagna di Marco e con l’amico di sempre, Giacomo Aloigi, avvocato, musicista e giallista fiorentino, tiriamo fuori una bottiglia di metodo classico Cantina della Volta La prima volta 2016, un rosé emiliano da uve Sorbara in purezza con lunga sosta sui lieviti, ideale per accompagnare una punta di Parmigiano-Reggiano con oltre 40 mesi di stagionatura, di Nonno Contadino (Reggio Emilia). Iniziamo a stare davvero bene. E allora salta fuori che Marco ha collaborato al disco del 1996 Lupi solitari di Ivana Spagna, uno dei suoi dischi meglio riusciti.

La cosa bella è che io suono il basso in quel disco lì! Sono accreditato come bassista e in due brani c’è Phil Palmer [famoso chitarrista inglese attivo in Italia, oltre che con grandi come Bob Dylan, Frank Zappa e i Dire Straits].

Uno degli aspetti della musica che non salta immediatamente all’occhio, perché dev’essere così, è lo stare sul palco dietro al frontman. Ligabue canta Una vita da mediano e il calcio può essere una buona metafora della vita di chi fa musica da dietro. Penso ad esempio al ruolo del portiere che per certi versi è molto simile a quello del batterista. Sta in fondo, sembra quasi non esserci, però è fondamentale. Quindi lavorare per conto di una star come turnista, non significa per niente essere di minore importanza, su di un palco, perché un concerto senza i musicisti non ha senso. Ma quali possono essere le interazioni che passano fra il cantante mito, davanti, legato alle sue folle oceaniche e chi alle sue spalle crea la musica?

Un artista [la star] quando arriva sul palco, ci arriva con le unghie di 100.000 persone piantate nelle caviglie. Quindi lì non ne può più; vanno nel loro mondo, cantano un’ora e mezza e poi scappano con le unghie delle persone piantate nelle caviglie.

Vivere la musica oggi comporta, come del resto è sempre stato, tanti livelli non solo di conoscenza, di approfondimento, ma anche di riscontro del pubblico. Suonare uno strumento, oltre che mettere in scena una forma di espessione artistica, è anche l’esplicitazione del proprio io che può diventare cosa a sé, cioè il fine ultimo. Oltre al fare, ovvero al mestiere, c’è quell’affascinante, irresistibile risvolto, irrinunciabile per taluni, che è la notorietà. Dobbiamo forse intendere che per una certa parte dei giovani, la musica rappresenti solo un veicolo, un mezzo per il successo? È un tema sempre attuale. E articolato.
Pensiamo ai talent. Allora ci rifocilliamo un attimo, le bollicine ci inebriano anima e corpo, il Parmigiano-Reggiano ci regala energia per pensare.

Il problema principale è che [ai talent] o ci vai già con un tuo pacchetto… cioè quello che si diceva una volta: quanta gente mi porti nel locale? Non è poi una così grossa sciocchezza, se la prendi dal loro punto di vista [di chi lo show lo produce]; perché c’erano delle band che prendevano 3.000€ e non erano nessuno? Perché avevano un seguito talmente alto… Quindi, bene o male il concetto non è cambiato, cioè fondamentalmente la storia si ripete. Chiaramente con altri mezzi.

Ed è proprio così. Magari un giovanissimo va a X-Factor, non è nessuno e non è appoggiato da nessuno, poi il pezzo che porta fa schifo e lui è pure convinto di essere il numero uno al mondo; ti presenti là in mezzo a uno su mille che forse ce la fa, ti appiccicano un numero sul petto e nel 99% dei casi torni a casa. E probabilmente nemmeno Sanremo Giovani è tanto diverso. Quelli che riescono ad arrivarci per puro caso, non si sa bene per quale motivo, poi finisce che il disastro succede sul palco. Perché poi là, non sei preparato.

Perché quando vai a fare le prove là, ti butti… altro che in un’arena! Là è ancora peggio. Magari deve arrivare l’ospite che è Elton John e di te non frega niente a nessuno. Quindi lo stress è impressionante. Magari non sei pronto a quella roba lì.

E Marco Zanoni lo sa bene, perché sempre grazie a Shel Shapiro, c’è finito pure lui, a Sanremo, come direttore. Era nel 1991, ma non aveva timori, forse allora c’era più incoscienza. L’occasione fu quella di andare con i Moncada, un gruppo preveniente da Cuba, prodotto da Gianni Minà che era addentro alla questione cubana; lui era amico di Shapiro, da cosa nasce cosa, sicché Marco finisce a dirigere una banda di scatenati.

Avevo 24 anni. È stato un flash pazzesco. Erano una banda di matti… in 13, mi sembra. Sul palco c’era un casino… percussioni… un macello. Una volta a Viareggio, fra sigari che avevano portato loro, birre noi… eravamo giovani.

Per la cronaca, l’edizione 1991 di Sanremo, presentata da Edwige Fenech e Andrea Occhipinti vide come vincitore Riccardo Cocciante con la canzone Se stiamo insieme e fra i big citerei una grande Rossana Casale, piazzata solo diciassettesima, ma in verità il brano presentato, Terra, fa parte del capolavoro Lo stato naturale, un LP introspettivo, ma con influenze africane o sudamericane – come si usava allora, vedi Peter Gabriel con la Real World, oppure l’immenso Paul Simon – che resta ancora oggi uno dei più bei dischi italiani, scritto dal quel genio di Maurizio Fabrizio che, guarda caso, ho già citato nell’incontro con Ellade Bandini. Ed Ellade Bandini ci mette lo zampino anche nella vita di Marco Zanoni. Suonarono sul palco di un locale milanese in voga nei primissimi ’90, con una band in cui lui ed Ellade erano gli unici che venivano da fuori. Marco era agli inizi, Ellade aveva già fatto quasi tutto.
Però fra un sorso di spumante e qualche divagazione, il nome di Peter Gabriel non esce per caso.
Marco Zanoni, che potrei definire un guru del mondo digitale, vive il computer dedicato alla musica con altrettanta maestria come sulle tastiere. Allora è facile volare all’indietro, agli anni in cui il digitale manco si sapeva cosa fosse; era un mondo nuovo, completamente inesplorato, ma nel mezzo degli anni ’80 arriva la casa della Mela e si scopre che il computer può essere friendly. La Apple introduce il mouse e si iniziano a immaginare le miriadi di campi in cui quella macchina da scrivere evoluta, con uno schermo da pochi pollici, avrebbe potuto entrare. Anche in musica, dunque e c’erano già dei precursori, artisti che oltre a esprimersi con le note, sperimentavano con i primi processori dalla capacità di memoria improbabile; come fece Peter Gabriel con il Fairlight. Potete divertirvi a vederlo giovanissimo alle prese con un suo video dimostrativo qui:
Certamente Marco Zanoni è uno di loro, uno che si è mosso subito al punto da assumerne una grande padronanza, dai primi computer affiancati ancora da tanto analogico, fino ai potentissimi processori di oggi, come quello della sua consolle attuale.

Io venivo chiamato per risolvere i problemi!

La mia mente vola subito alla frase: Sono il signor Wolf, risolvo problemi. Era un bravissimo Harvey Keitel in Pulp Fiction, di Quentin Tarantino del 1994. Torniamo però ancora per un momento sul palco, assieme a Marco. Forse non abbiamo ancora del tutto sviscerato la questione del rapporto fra star e musicisti on stage.

Colui che fa la musica, sale, fa il suo lavoro e torna a casa, non ha condiviso poi neanche tanto con il frontman della situazione. È molto semplice: sei semplicemente al loro servizio. Devi avere gli occhi lunghissimi, le orecchie lunghissime e afferrare tutto ciò che gli può passare per il cervello, in un determinato momento. Non ti devono nemmeno chiedere, devi arrivarci tu prima.

Se te lo devono chiedere, è tardi!

Ecco dunque un’altra cosa che fa pensare. Siamo arrivati a un corollario del terzo indizio, quello di prima, dell’essere totalmente preparati.

Altra cosa importante, questo è un messaggio ai giovani: non ho mai sofferto del problema devo diventare più bravo tecnicamente, devo diventare un fenomeno.

E l’invito che faccio ai giovani, oggi è: siete già bravissimi a suonare tutti, uno più bravo dell’altro. Manca quella roba lì…

Ora è chiaro. Forse abbiamo trovato la ricetta. Quanto meno una ricetta. Sappiamo che oggi ci sono canali come You Tube davvero utili e propedeutici alla preparazione di un giovane musicista. Ci si trova ci tutto, dai tutorial per uno strumento fino alle lezioni vere e proprie. Poi ci sono le scuole di musica private, che oltre ai conservatori sono in grado di guidare rapidamente i giovani verso la strada della musica pop e rock. Del Jazz. Allora è assolutamente vero che i giovani di oggi hanno una padronanza che i ragazzi degli anni ’80 non potevano avere. La tecnica arriva più in fretta, la strumentazione digitale aiuta, l’iper condivisione chiude il cerchio. Poi si suona tanto, oggi. Più di quello che facevamo da ragazzi noi. Le opportunità sono quasi infinite. Ecco, forse sul canto bisogna andarci un po’ più cauti. Questo è un ramo delicato della musica che si potrebbe affrontare con anni di studio approfondito, ma probabilmente, qui davvero vale la regola che o lo sei o nessuno, in fondo in fondo, te lo può insegnare. Come a dire, nel pop e nel rock, al microfono vincono i talenti. Billie Eilish oggi, Billie Holiday in passato; Emi Winehouse, Stevie Wonder, George Michael, Mick Hucknall dei Simply Red, e potrei continuare… sembrano esserci nati, così. Non trovate?
Ma il nocciolo della questione non è questo.
La tecnica, saper suonare, ora lo abbiamo capito, sono diventati un prerequisito. A questo va aggiunta la velocità. L’intuito, il saper fare. In poche parole: l’esserci. Al 100%. Questa è la chiave.
Esserci. Anima e corpo.

Oggi uno, quando apre la bocca, ti deve ammazzare! Se no non va da nessuna parte. Però c’è un problema… che quella roba lì è lo 0,5% di quello che ti serve per arrivare al successo. Perché il problema principale di oggi, la cosa che manca nei ragazzi è che prendi la tua vita e dopo la butti via. Come diventare il numero uno di tennis… è la stessa cosa. Non devi avere nella testa nient’altro che quella roba lì.

La leggo a questo modo: non ci sono scorciatoie. Forse davvero, allora, possiamo dire che nulla è cambiato. O meglio, tutto è cambiato, ma solo nei mezzi, nei canali, nelle strade che si possono percorrere e che sono di più, magari anche più brevi e facilitate dal digitale. Ma il contenuto, il kernel vitale non sta nelle macchine che oggi ci fanno produrre più facilmente un disco. Resta completamente dentro di noi. Senza cadere nella retorica all’indietro, dei nostri nonni, dove le parole umiltà, sacrificio erano ricorrenti e sarebbe facile farle riaffiorare. Senza voler a tutti costi dire che è sempre meglio ascoltare che fare del gran rumore… allora ci lasciamo prendere dai descrittori del vino, immergendoci nelle virtù olfattive e sensoriali che un grande spumante ci può regalare.
Le considerazioni sono tante; potremmo perderci fra le decine di collaborazioni che Marco Zanoni ha fatto, da Gianni e Marcella Bella a Paola Turci, da Lucio Dalla a Fiorella Mannoia e così via, ma ora prevale il desiderio di citare alcuni nostri dischi di riferimento, ritornando al mondo degli LP, del vinile che aveva un corpo e un’anima. Ma noi non ci lasciamo prendere dalle nostalgie e dal feticismo del vecchio disco. In fondo, il vinile è un supporto; poi è arrivato il Cd, un altro supporto, che oggi è praticamente morto e sepolto.
È inutile spolverare la roba vecchia. Togliamo la patina, ma resta vecchia.
Allora mi torna in mente quel 23 ottobre del 2001 in cui Steve Jobs fece uscire l’iPod. Compresi subito le sue potenzialità, tanto che lo comprai all’istante e poi andai al mio negozio di dischi di fiducia e mostrai quella strana scatoletta bianca al titolare dicendogli che quell’aggeggio lì, quel coso con la rotella davanti e uno schermino che sembrava una radiolina, lo avrebbe spazzato via nel giro di poco. Era solo questione di tempo.
Il solco della musica liquida era stato tracciato.
Ma la cosa che ci colpisce di più è che oggi, dopo la scomparsa dei supporti e dopo la rivoluzione digitale che passa ovviamente anche dagli smartphone per tutti, il processo di trasformazione ha elaborato vari diffusori planetari della musica liquida diffusa a bassissimo prezzo, che alla fine di tutto, assomigliano tanto, tantissimo al canale antesignano della musica di tutti i tempi: la radio.
Cos’è in fondo SPOTIFY? Si chiede l’amico Giacomo Aloigi: è una radio evoluta, ma è una radio.

È quella che non morirà mai!

Già. E torno a quella teoria del caos dell’inizio, la grande ruota che alcuni chiamano fortuna.
Ebbene, la prova provata è sempre dietro l’angolo. Finiamo a cena in un ristorante di Cremona: ci ritroviamo a fianco, all’altro tavolo, Geoff Westley, musicista e compositore inglese, già collaboratore di Peter Gabriel, dei Bee Gees, di Phil Collins, Hans Zimmer e tanti altri. E che ha lavorato con molti italiani e prodotto Una donna per amico e Una giornata uggiosa del grande Lucio Battisti. Chiedetevi come si poteva concludere una giornata con Marco Zanoni e con la musica, se non così.

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Thomas Coccolini Haertl
Architetto e Sommelier (AIS, dal 2017), si è occupato di progettare gli stand di Ferrari F .lli Lunelli, Gruppo Mezzacorona, Sartori, Bertani Domains, Cantina si Soave e altri, al Vinitaly e non solo, e collabora con alcune testate giornalistiche specializzate come Spirito diVino, WineStop&Go. Assiduo frequentatore di cantine, crede nella multisensorialità quale aspetto fondamentale del vivere quotidiano.

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