L'enigma senza fine (1938) di Salvador Dalì
In absentia

Monte

Un tempo io credetti che la sapienza consistesse in una molteplice esperienza, e quindi difatti non rinunciai a una distanza di dieci mila li per andare ad interrogare uomini savi e visitare paesi celebri. Ma quanto è lunga la vita di un uomo? Certo è che dopo molti anni si acquista una scienza completa, fondata sopra una vasta osservazione; ma ecco che subito uno diventa molto vecchio, e il tempo manca di servirsi di questa scienza. Non è questo una cosa dolorosa?

Matteo Ricci, Il mappamondo cinese del P. Matteo Ricci, commentato tradotto e annotato dal P. Pasquale M. D’Elia, terza edizione, Pechino 1602, Biblioteca Apostolica Vaticana.

Il desiderio di conoscenza, di fare esperienza, di osservare il mondo ha sempre avuto nell’essere umano dualità positive e feconde se vissute con la giusta leggerezza o negative e pericolose se vissute con ansia della ricerca e del voler raggiungere la conoscenza a tutti i costi.

A questo deve aver pensato Matteo Ricci (1552-1610), personaggio poliedrico per interessi e profondità culturale, facente parte della Compagnia di Gesù che, durante la sua permanenza in Cina, non solo fu un evangelizzatore, ma mostrò una vera e propria curiositas apuleiana per tutti gli aspetti della cultura orientale. 

Epifania, Ragione e Predicato sono stati i primi ingredienti, le prime impalcature lessicali per iniziare a comprendere il linguaggio e la cultura del tè in Oriente. 

Il passaggio morfologico successivo impone una declinazione degli stessi, un “prendere una forma”, che in questo caso trova nel paesaggio naturale la giusta dimensione ricordando che, come già spiegato in precedenza, il significato della simbologia del cha 茶 (tè) contiene al suo interno (proprio nel mezzo) il simbolo dell’essere umano attorniato (sopra e sotto) da due elementi naturali come un albero e l’erba. 

Questa visione che si avvicina (insieme ad altri elementi naturali) al topos del locus amoenus, crea un ponte con la cultura occidentale che lo ha sempre considerato come archetipo dell’Eden o Paradiso Terrestre in cui l’uomo passa dall’immortalità e felicità ad essere mortale e vivere in mezzo a fatica e dolore. 

Provando con uno specchio a osservare questo concetto da un’altra angolatura vi si potrà scorgere il volto del “paesaggio”. 

La Cina classica non ha conosciuto un termine paragonabile al nostro “paesaggio”, mentre in Occidente viene adottato nella lingua volgare dalla tradizione pittorica e pare essere emerso in Francia alla fine del secolo XV con il termine di paysage. 

Per la prima volta si lega il pays al suffisso –age, indicante la globalità, la vista d’insieme praticata dallo sguardo dell’osservatore. Ecco che prende forma il concetto di paesaggio nella sua dualità fondante: la natura esterna e la presenza dell’osservatore umano. 

Appare chiaro come il suddetto termine abbia trovato ospitalità nel campo della pittura in cui proprio a partire dal Quattrocento con l’avvento della perspectiva (prospettiva, guardare attraverso) conduce l’osservatore verso una precisa porzione del campo paesistico.

Quando la pittura cinese ha iniziato ad approcciarsi alla rappresentazione degli elementi naturali ha elaborato un nuovo termine: shanshui 山水, “montagne-acque” che incarna l’anima del paesaggio naturale in una relazione dialettica profonda come il rapporto cosmologico tra Yin e Yang.

In questo contesto si inserisce l’intento del TÈologo ErranTe di voler vivere e immergersi all’interno di una matrice paesistica e di lasciar permeare la rete di forze che essa stessa emanerà nel suo tessuto energetico.

Questa forza è tradotta con il concetto di qi o “soffio” o “materia-energia” tanto cara all’arte del fengshui 風水 o geomanzia come è nota in Occidente. 

La prima tappa porta il TÈologo ErranTe nella frazione di Monte, un piccolo lembo di terra nella valle più a ovest della Valpolicella. 

Questa zona vinicola, il cui termine deriva da “Val Polesela” (attestato nel 1177 quando Verona aveva riunito in una unica entità le antiche vallis Veriacus e vallis Provinianensis) ovvero “valle dal terreno paludoso, acquitrinoso” riferendosi alla natura alluvionale del suolo, fa da sfondo ad un parallelismo di proporzione oriente-occidente che si può così riassumere: 

“Il tè sta alla cultura orientale come il vino sta alla cultura occidentale”.

Partendo da questo assunto e dalla già citata definizione di “piante di civiltà”, ci si è immersi nella natura di Monte per lasciarsi colpire dal suo qi e per dare vita e respiro a un tè che potesse in qualche modo sentirsi a casa nonostante abbia fatto migliaia di chilometri dal suo paesaggio di origine.

Le assonanze sono molteplici: primo fra tutti il concetto di “monte” o “montagna”.

Il tè che verrà preparato proviene da un monte specifico nella Cina sud-occidentale e più precisamente nell’area dello Yunnan: Hua Zhu Liang Zi (tradotto: ponte fatto di bambù e piuttosto scivoloso).

Il vino invece che ne nasce da un territorio come Monte ha delle peculiarità uniche date dall’accordo “musicale” di tre toni o in questo caso elementi come la varietà, il suolo e il clima. 

Una triade ben orchestrata dal direttore d’orchestra, ovvero, il produttore. 

L’esperienza enoica, in questo caso, è avvenuta con l’assaggio di alcuni prodotti o microvinificazioni di vini di quel territorio.

Questo stesso concetto ha senso anche per il tè o meglio, per la pianta del tè che si nutre di tutte queste “tonalità” territoriali per poi trasmetterle all’interno del prodotto finale.

Una differenza si riscontra invece in maniera più sottile nella concezione della sacralità dell’elemento “montagna”: nelle religioni mediterranee le montagne non sono sacre di per sé, ma lo diventano per l’apparizione o la presenza di un Dio o degli Dei.

Ad esempio il Monte Sinai: 

Il Signore disse a Mosè: “Va’ dagli Israeliti e dì loro di purificarsi oggi e domani. Lavino anche le loro vesti. Devono tenersi pronti per dopodomani, perché allora io scenderò sul monte Sinai e mi farò vedere da tutto il popolo. Fisserai un limite attorno al monte, e ordinerai: Nessuno deve salire sul monte e neppure avvicinarsi.” 

(Es. 19, 10-12)

In questo caso si noti come sia il Signore, parlando con Mosè, a dire: “fissa un limite intorno al monte e dichiaralo sacro”.

Nell’orizzonte culturale orientale la montagna viene sempre considerata sacra in sé, e per questo meritevole di divenire dimora degli Dei. In questo senso i templi, i monasteri non sacralizzano la montagna ma è la montagna che li rende sacri.

Questo senso di sacralità permea dal rumore della natura e dalla gestualità che porta alla preparazione del tè tramite la cerimonia del “Gong Fu Cha” usando come supporto un blocco di scaglia rossa e calcare che rappresentano il suolo di Monte, essendo loro stessi marcatori e sani “colpevoli” delle dinamiche gustative guizzanti di questi vini. 

Entrambi sono prodotti “di altura”: basti pensare che le piante da cui proviene questo tè arrivano a 2429 m.s.l.m. (quasi un record mondiale di altitudine per la pianta del tè) mentre a Monte si arriva ad avere impianti a quota 500 m.s.l.m. (uno dei punti più alti di tutta la denominazione) e riverberi ventosi provenienti dal lago di Garda che garantisce un volano termico e una insolazione stabile. Questo influisce a dare alle piante quel senso di “lentezza” nella crescita che tanto giova ad accumulare e fissare elementi di qualità. 

Una volta infuse le foglie con l’aiuto di una Gaiwan e utilizzando multiple infusioni (all’orientale) fino ad arrivare a 12 infusioni con le stesse foglie usando un’acqua di fonte ad una temperatura attorno ai 98°C per pochi secondi ad ogni infusione, si possono notare dinamiche olfattive e gustative di grande “contatto”. Entrambe le bevande godono di similitudini materiche nell’alta definizione e cesellatura degli elementi olfattivi e nelle dinamiche gustative che portano una geometria simile nel gusto: la percezione di testa è l’acidità, quella di cuore è l’astringenza e la presenza del corpo della bevanda mentre quella di coda è la morbidezza e la percezione accomodante di una chiusura “sferica”. 

Chiaramente la percezione specifica di ogni singolo “marker” è diversa nelle due bevande ma se arriviamo alle fondamenta, alla struttura portante dei sensi riscontriamo similitudini accattivanti in cui il senso del territorio, il “touch” del clima e lo spartito produttivo, vivono delle medesime dinamiche e risultanze.

Oltre all’infusione della bevanda del tè si assiste a un’altra “fusione”: quella tra l’uomo e la montagna. In questo caso tra il TÈologo ErranTe e Monte che trovano armonia nell’ascoltarsi e nel dare vita ad una tazza di tè, ma basti pensare alle minoranze etniche dello Yunnan che raccolgono foglie di tè sul monte Hua Zhu Liang Zi o del produttore enoico “illuminato” che cura le sue vigne a Monte. 

Fusione e Armonia portano all’Immortalità: non a caso se si “fondono” o meglio si avvicinano i simboli cinesi di “uomo” 人 e di “montagna” 山 si ottiene xiān  仙 ovvero “immortale” o “santo”. In effetti come si è detto all’inizio nel concetto di paesaggio c’è bisogno del punto di vista (uomo) e nell’eden o paradiso terrestre l’uomo nel suo paesaggio naturale trova la sua immortalità prima di tradire per desiderio di conoscenza (di cui si è parlato all’inizio), di trasgressione e per così ottenere una dimensione spazio/temporale in cui dare un senso all’esistenza. 

una magnifica raffigurazione paesaggistica di Guo Xi, uno dei maggiori paesisti cinesi attivo sul finire dell’XI secolo

La ricerca dell’immortalità, questo stato di transumanesimo e il costante senso di dubbio che attanaglia la mente umana prende forma in “Enigma senza fine” di Salvador Dalì del 1938 in cui si fondono diversi elementi tra cui, non a caso, un gigante sdraiato che prende la forma di una montagna. 

Ognuno può trarre, da ciò che vede, delle conclusioni più legate consustanzialmente alla propria psicologia e alla propria cosmogonia” 

(Tratto da: Teatro museo Dalì di Figueres)

Benedetta Parodi

Previous article

Utopia del bicchiere della staffa come filosofia di vita, con lo Champagne Occhio di Pernice di Jean Vesselle

Next article
Ciro Fontanesi
O del TÈologo ErranTe. Ciro Fontanesi, anno del Topo, ingegnere e bevitore per passione. Accoglie due anime: quella quadrata, spigolosa e calcolatrice da ingegnere e quella bevènte che nel tempo, essendo naturalmente (in senso stretto) più imprevedibile, ha aiutato a smussare gli angoli.

You may also like

1 Comment

  1. […] Monte si è già discusso del concetto di paesaggio e l’uso della complessa serie di simboli di cui […]

Leave a reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *