In absentia

Croce

[Nel sito ideale] si coglie il Metallo, si fronteggia l’Acqua, si ha il Nido nella Terra, e si pone il sigillo del Legno
Libro delle Sepolture (Zhangshu)
“Due grandi civiltà che si erano fino ad allora ignorate sono entrate per la prima volta in contatto intorno al 1600”
Jaques Gernet “Chine et christianisme”, 1982
Quando ci si avvicina al concetto della parola “simbolo” non si può non percepirne il suo significato più profondo di accostamento o segno di riconoscimento. Rappresenta una summa, un concentrato tensionale di significati pronti a esplodere in termini di tempo e spazio.
Si pensi a cosa può suscitare la visione di una colomba bianca nell’immaginario collettivo, o della figura stilizzata di un uomo o una donna quando si approccia a una toilette (oggi al centro di discussioni peraltro).

Non servono spiegazioni perché già associamo quelle figure ad un concetto ben saldo nella nostra testa.

Uno dei simboli più antichi e che ha avuto un decorso plurimillenario è certamente il simbolo della croce.
Quando pensiamo a questo simbolo nella maggior parte dei casi lo associamo al mondo cristiano cattolico ma la croce esula da questo ordine temporale e ha radici di più profonde, addirittura preistoriche.

Rappresenta uno dei quattro simboli fondamentali insieme al centro, al cerchio e al quadrato e con essi ha un legame geometricamente e simbolicamente molto stretto.

La croce divide lo spazio in quattro settori ed è nell’intima complessità simbolica di questo numero che la croce trae energia: dai punti cardinali, agli elementi che compongono il mondo (terra, aria, fuoco, acqua), fino ad arrivare al tema degli opposti che si attraggono o che trovano un punto di incontro nel suo centro.
È certamente e indiscutibilmente un ponte tra Cielo e Terra, tra umano e divino, mortale e immortale, tra dolore e salvazione.
Il crocevia, che per definizione è un punto in cui una struttura rigida si snoda e assume un’altra forma, tra la cultura orientale e occidentale nella percezione di questo simbolo in termini cristiani è rappresentato da una figura, un gesuita, il primo grande sinologo: Padre Matteo Ricci.
La sua storia è affascinante, densa di colpi di scena e spettacolarità degna di Barnum, e ha creato un solco ancora oggi presente e su cui si sta ancora lavorando.
La sua è stata una vera e propria “crociata”, parola con cui si definisce una campagna militare molto spesso tra due culture religiose differenti, anche se in questo caso non si è arrivato all’uso delle armi ma è stato un lavoro di cesello culturale, di amicizie, legami, comprensione.
Nato a Macerata il 6 Ottobre 1552 si sposta a Roma per studi e successivamente entra nella Compagnia di Gesù.
La sua vocazione ha una data ben precisa: 15 Agosto 1571 quando quasi diciannovenne, bussò alla porta del noviziato di S. Andrea a Roma con tre piccoli libri latini e pochi panni “sdruciti”.
Il padre, che lo voleva alle alte cariche nella corte pontificia, si oppose e partì per portare a casa il figlio, ma nel viaggio verso Roma da Macerata, fu colto da una forte febbre (esattamente a Tolentino) che lo costrinse a fare rientro e a capire che al volere di Dio non bisogna opporsi.
Si dedica agli studi scientifici sotto la guida del maestro Christoph Clavius imparando a memoria i classici latini e greci.
Genio assoluto, si imbarca il 24 Marzo 1578 a Lisbona sul galeone San Luigi alla volta di Goa con l’obiettivo di entrare in Cina per una missione di cristianizzazione del popolo cinese.
Viaggio denso di pericoli tra maltempo, pirateria e malattie, giunge miracolosamente a Goa e da lì arriverà fino a Pechino dove l’11 Maggio 1610 ha avuto l’onore come straniero di poter essere sepolto in terra cinese.
Il maestro disse: “Fissate la mente sulla via, assumete come fondamento l’eccellenza morale, basate le vostre azioni sulla umanità, intrattenetevi nelle arti
Lunyu 7,6 (Dialoghi)
Il pensiero confuciano, che grazie all’opera di Matteo Ricci è arrivato in occidente, considera l’umanità (Rén ) suprema virtù morale. Questo carattere è composto dai pittogrammi (uomo) e (due), segno che possiamo entrare nell’intimità del termine considerando le relazioni tra le persone.
Grazie a questa presa di coscienza, Matteo Ricci capisce che i letterati sono considerati persone esemplari per virtù e nobiltà d’animo (junzi) ed inizia a promuovere cultura all’interno del comparto cinese attraendo su di sé rispetto e lasciando una traccia indelebile nella società.
È in questo contesto che il TÉOLOGO ERRANTE si reca sulle orme di Matteo Ricci facendo tappa alla biblioteca Mozzi Borgetti di Macerata per respirare luoghi simbolo della vita del gesuita ma successivamente spostandosi verso quello che sarà il suo vero crocevia culturale: l’Abbazia di Chiaravalle di Fiastra.
Fondata nel 1142 dai monaci cistercensi provenienti dall’abbazia madre di Chiaravalle di Milano si sviluppa da punto di vista religioso ed economico diventando una delle più importanti d’Italia. Saccheggiata nel 1422 da Braccio da Montone finisce nelle mani dei Gesuiti fino alla soppressione della Compagnia di Gesù nel 1773.
Questo crocevia tra la proprietà cistercense, che ha avuto un ruolo fondamentale per la cultura enoica, e i gesuiti, che hanno avuto tramite il Ricci un ruolo centrale nella diffusione della cultura orientale e in modo latente ma non meno importante, quella del tè, rappresenta lo scenario perfetto di incontro, di scambio, di riconoscimento liquido e confronto tra le parti.
Uno degli elementi primari di cui si è costantemente parlato in questa rubrica è il ruolo chiave dell’ACQUA sia in termini simbolici che in termini pratici nell’uso che se ne fa nelle infusioni del tè.
ipse quidem mediam vallem flexuosum intersecans per alveum, quem non natura, sed fratrum industria fecit, dimidium sui mittit in abbatiam, quasi ad salutandum fratres, et se, quod totus non venerit, excusandum, quippe qui totius capax canale non invenit
esaminando queste parole da un manoscritto del dodicesimo secolo riguardante i monaci cistercensi e il ruolo che l’acqua aveva nella vita di tutti i giorni possiamo individuare la centralità di questo elemento.
Il luogo scelto doveva avere una fonte accessibile e se così non fosse stato bisognava indurre la natura a rispettare questa regola.
Regola che San Benedetto ha lasciato come eredità e che proprio nel capitolo 66 afferma:
il monastero, poi, dev’essere possibilmente organizzato in modo che al suo interno si trovi tutto l’occorrente, ossia l’acqua, il mulino, l’orto e i vari laboratori
L’acqua al centro: al centro delle attività, al centro della vita, al centro dell’abbazia di Fiastra come ubicazione logistica. Prima di affluire alla cisterna, l’acqua percorreva un sistema di decantazione e filtraggio prima di poter essere utilizzata.
Facendo un salto in Borgogna nell’abbazia di Citeaux, in cui i cistercensi hanno dato un valore concreto alla “Regola” oltre ad essere custodi di alcune tra le più importanti vigne del mondo, possiamo capire come l’acqua sia stata per la geografia enologica attuale un elemento fondamentale.
Molti dei villaggi iconici sono stati costruiti in corrispondenza di corsi d’acqua che scendono dai coni di deiezione e lo stesso villaggio di Beaune, sede dei Duchi di Borgogna, è costruito su un terrapieno proprio per la vena di acqua potabile quasi affiorante. Non a caso è stato scelto questo luogo dai nobili e come residenza di caccia la vicina Volnay dove ancora oggi la toponomastica ci restituisce la verità di quanto detto: Il Clos de Ducs a Volnay ad esempio oppure Les Marconnets a Beaune il cui nome è riconducibile a una antica fonte, o En Genet sempre a Beaune e a fianco dell’appezzamento appena citato, la cui origine fa parte sempre di radici che possono essere ricondotte a ruscelli locali. Si può affermare che l’acqua sia stata un elemento legato al destino della Borgogna e del vino, che oggi rappresenta un punto di riferimento mondiale.
Nel trattato nominato Shiliu tang ping (十六湯品) dall’autore della dinastia Tang Su Yi (蘇廙) si dice che “l’acqua bollente è il giudice del destino del tè”. Questo asserto porta alla luce, in parallelo con il mondo del vino, quanto ne sia importante la scelta nelle infusioni e quanto questa sia legata ad un elemento ancestrale e altrettanto sacro: il fuoco. Il detto “hai scoperto l’acqua calda”, riferendosi ad una cosa ovvia credendo di essere arrivati a grandi verità, mette insieme entrambe le cose e riporta ad un topos di purezza nella ricerca dell’acqua tanto caro al mondo degli appassionati di tè.
In una calda giornata agostana il TÉologo ErranTe si dirige in visita all’Abbazia per assorbirne le energie, per lasciarsi ispirare dal silenzio e per, finalmente, procedere alla preparazione di un tè utilizzando la fonte d’acqua locale.
Attraversato il chiostro, passato la sala del Capitolo e ammirando i lecci secolari del giardino all’inglese, si può affrontare la riserva naturale, la Selva, il cuore dell’area, 100 ettari di bosco a prevalenza di cerri, ornielli, aceri, pini, cipressi.
“Troverai più nei boschi che nei libri. Gli alberi ti insegnano delle cose che nessun maestro ti dirà”
Si dirige verso il lago “le Vene” costeggiando il fiume Fiastra: l’aria è densa, il sole si fa strada tra i cerri, i pini e gli ornielli come a volersi stampare in viso, infondendo già un calore rassicurante. Gli sbuffi d’aria calda aumentano il desiderio di ristoro, dimenticato solo dalla bellezza del paesaggio circostante che pare anch’esso soffrire e adattarsi alla situazione rovente. Le crepe della terra serpeggiano come cicatrici stagionali in cui affiorano flotte ondulate di formiche che creano quasi un movimento flussorio e ondulatorio degno di un’onda marina. Lo schiocco tambureggiante di un picchio lavoratore richiama tutti all’ordine e riporta la mente all’obiettivo.
Tutto appare nitido ora: la via dei pini e dei cipressi è un luogo perfetto per unire oriente e occidente. Il cipresso nella sua simbologia crea un collegamento tra la terra e il cielo, tra umano e divino, tra mortale e immortale.
L’ascolto del silenzio permette una maggiore relazione con il circostante in una sorta di anacoretismo naturale e culturale.
Un tavolo naturale fatto da un cipresso tagliato alla base diventa la scenografia e fulcro dell’incontro.
Iniziano a comparire gli attori della scena: una gaiwan, filtro, tazze e finalmente il tè: un Da Yu Ling 100k, un tè oolong di Taiwan in uno dei giardini coltivati a tè più alti del mondo (circa 2500 metri s.l.m.). Un tè rarissimo che combatte contro le difficoltà dell’altura e tutti i suoi pregi/limiti. Recuperata l’acqua dal pozzo il TÉologo ErranTe procede a portarla alla corretta temperatura per l’infusione.
La strada numero 8 a Taiwan collega la città di Hualien sulla costa est a Taichung sulla costa ovest e 100k rappresenta il centesimo chilometro di questa strada partendo da est, ovvero l’esatta ubicazione del giardino delle piante di tè da dove proviene il Da Yu Ling.
Le vibrazioni dei cipressi in un tono ondulatorio come dentro un quadro di Van Gogh, la vista all’orizzonte tremula dal calore, il silenzio circostante di chi “non ha voce in capitolo”, fanno da sfondo e contorno all’infusione del tè.
Le foglie di presentano di un verde olivastro brillante, appallottolate con ancora il peduncolo ben in vista, l’acqua è stata scaldata a 85 gradi centigradi per multiple infusioni: se ne faranno cinque.
La prima con un tempo di estrazione di 30 secondi mostra le note di testa del tè in cui emergono delicatezze olfattive vegetali con accenni mentolati, il sorso è leggero e giocato sulle sensazioni post deglutizione con una astringenza vellutata.
La seconda apre le foglie e inizia ad entrare nell’anima del tè, il colore inizia ad essere più carico, il vegetale si trasforma in agrume, il mentolato in miele di tiglio. Il sorso più pieno, volumetrico con accenni sapidi e tannino centrale e sabbioso.
La terza è il cuore: agrumi canditi, albicocca disidratata, accenni lattici di grande rotondità su sfondo di licheni e polvere da sparo. Bocca oleosa con spina acido sapida elettrica e profonda con un tannino deciso ma ben integrato, un tè di montagna, essenza pura di eroismo culturale e paesaggio limite di coltivazione.
La quarta inizia a vedere una fase di inversione olfattiva: si ritorna alle delicatezze fruttate e agrumate, un sussurro finale intermittente di possenza e leggerezza insieme.
La quinta è tutta in eleganza, ultimi spasmi di vita in tonalità verdi e scroscianti.

La vita di un tè che dialoga col paesaggio, con il movimento sciabordante del fiume, con l’arcuarsi dei cipressi sotto il vento marino, con il musicare volante tra un albero e l’altro, con il calore della terra che dipinge l’orizzonte e modella le facce di chi ci sta sopra.

In abbinamento enologico il TÉologo ErranTe ha avuto modo di confrontarlo con un Puligny Montrachet 1er Cru Clos de la Truffiére di Benoit Ente del millesimo 2015.
Una vigna di altura, al limite del bosco sulla collina dell’abitato di Puligny Montrachet in Borgogna.
Il lavoro e la rivoluzione culturale di un fuoriclasse come Benoit è stato proprio quello di portare in HD tutti i suoi vini con una definizione degna di un artista iperrealista.
La polvere da sparo sarà un minimo comune denominatore per entrambi i liquidi oltre alla bellezza del colore e alla profondità gustativa.
Il tempo fugge, le temperature dei due liquidi si allineano e ritorna il tema della croce in cui gli assi apparentemente perpendicolari con direzioni diverse ad un certo punto convergono in un punto di incontro che li tiene uniti per poi separarsi e prendere direzioni diametralmente opposte.
Così è avvenuto anche in questo spaccato di storia, un lampo, un incontro, un capire che ci sono cose in comune ma che ognuno poi dovrà prendere la propria strada culturale.
“Far passare il mare in un imbuto”
Lo diceva Italo Calvino… In questo senso il TÉologo ErranTe ha fatto convergere, anche solo per un momento, un mare “culturale” orientale e occidentale dentro un imbuto per poi lasciarlo andare e lasciarlo scorrere.
Il grande fotografo CARLO BALELLI, che si sposta a Macerata per lavoro in “Porto Recanati, spiaggia con vista del Conero”, 1930, racchiude tutti questi concetti.
Il paesaggio che fa al contempo da sfondo e struttura, l’incontro tra mare e montagna, tra sacro (il tempietto) e scienza (l’automobile), tra senso di velocità e stasi, il tutto tagliato da un pino in primo piano piegato costantemente dalla bora. Futurismo eclettico e liquido.
Questi elementi sono stati alla base di questo racconto e della vita di Padre Matteo Ricci che ha fatto da ponte e che la croce l’ha portata sulle spalle dando modo alle future generazioni di proseguire su un percorso già tracciato.
...segui Ciro Fontanesi.

Funghi: trombette dei morti

Previous article

Il Galateo del Profumo

Next article
Ciro Fontanesi
O del TÈologo ErranTe. Ciro Fontanesi, anno del Topo, ingegnere e bevitore per passione. Accoglie due anime: quella quadrata, spigolosa e calcolatrice da ingegnere e quella bevènte che nel tempo, essendo naturalmente (in senso stretto) più imprevedibile, ha aiutato a smussare gli angoli.

You may also like

Commenti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *