È stata una lunga pausa di riflessione quella che ho preso per BARTITSU.
Forse è stata più un’autocensura che mi sono imposto per evitare di parlare a sproposito di fatti di cronaca, politici e sociali che ci hanno colpito su più fronti in diversi mesi. BARTITSU, come detto nel primo appuntamento, nasce da uno spirito antagonista, combattente e indomito che vuole unirsi alla ricerca della Bellezza, della cultura e del sapere, trovando un tratto d’unione tra i due mondi… ecco, in questi mesi non sono riuscito a connettermi con la Bellezza, ho solo vissuto un periodo di grande fuoco rabbioso, alimentato da sessioni estenuanti di allenamenti tesi a scaricare la tensione e a riportare la mente in un equilibrio significativo.
Cosa è accaduto che non sapete? Nulla, ma è il come è stato vissuto.
Il lockdown forse è stato il momento più significativo per la nostra resilienza e capacità di evoluzione e adattamento. Il doversi trovare di punto in bianco rinchiusi, senza avere certezze su nulla, tra progetti professionali in corso e bloccati, tra l’esasperante discesa economica, ha minato la psicologia di molti, ha fatto cadere le persone in spirali depressive, populiste, apatiche… ha scremato molto l’ambiente umano a cui siamo abituati.
“Osservare” (tra social e realtà) il vero volto di chi ci accompagna nelle nostre giornate, tra sindromi cospiratorie e paure ancestrali indotte, mi ha fatto giungere a conclusioni non proprio arcobaleno e non mi ha fatto dire mai “andrà tutto bene”, no, mi ha spinto all’autarchia, alla disciplina, al pensare che molto probabilmente la società in cui viviamo non ha radici, fondamenta, anima, ma soltanto un cartonato colorato al meglio che la rappresenta.
Più di una volta ho detto che se mi fossi trovato in una situazione di naufragio, con alcuni insospettabili imparanoiati, li avrei mangiati subito, così da avere energia e carne per poter sopravvivere di più.
Il mondo non è impazzito durante il lockdown, no, si è svelato.
E mi spiace dissentire da qualunque contestazione buonista o pseudo psicologica vogliate usare in contrapposizione di questo discorso, perché non abbiamo subito un attacco virale del COVID 19, ma un attacco nucleare da noi stessi.
Ho (abbiamo?) visto famiglie impazzire dietro ai fornelli, giovani e non diventare tuttologi dello Zeitgeist, persone mature perdere ogni tipo di raziocinio, inneggiare all’unità nazionale da balconi che si animavano come Ibiza solo perché veniva detto di farlo… ho visto le tenebre e loro hanno puntato il loro sguardo su di me.

Il mio concetto di tribalismo, di castello medievale, è tornato a farsi sentire prepotentemente e ho vissuto per la prima volta con una sorta di fatalismo (dettato dall’impossibilità oggettiva di poter combattere un virus) che mi ha liberato da qualsiasi catena mi si potesse appioppare per volere del popolo.
Mi sono obbligato a una disciplina più ferrea, a letture, scritture, pianificazione, perché occorreva “fare” e non “aspettare” perché la guerra si fa in tempo di pace e perché non si deve restare mai nella mollezza del timore, visto che questo consuma, logora, sfalda.
Usciti dal lockdown ho avuto il vero colpo di frusta relazionale: le persone mi sembravano ancora più assurde, ancora più surreali con i loro atteggiamenti euforici, e l’euforia, i sentimenti incontrollati portano soltanto al peggio, essendo un’altalena bipolare di osservazione del mondo in cui si vive.
I fatti di Colleferro, mi hanno riempito di collera: un ragazzo ucciso da due giovani, da due esperti di MMA. Ecco, qui sarò molto breve, cercherò di non fare polemica e soprattutto di non entrare in discorsi politici (che non mi appartengono), ma racconterò semplicemente di un altro nostro prodotto sociale.
Hanno puntato i riflettori sulle MMA (Mixed Martial Arts), sulla violenza, su come queste discipline da combattimento siano un male…
Facciamo ordine: per prima cosa, se volete, potete leggere un bellissimo libro dell’eccellente Antonio Franchini, ripubblicato da Il Saggiatore, dal titolo GLADIATORI, un testo seminale per quanto mi riguarda, che è un documento narrativo ineguagliabile sui prodromi delle arti marziali miste, ma soprattutto sulle persone che chiamano fighters, ma che in realtà sono guerrieri, gladiatori appunto.

Franchini, incontra, scrive, affresca il mondo del pugilato, il mondo del sudore, della fatica del sangue, incrocia un giovanissimo Alessio Sakara e parla di vale tudo, tocca il wrestling svelandone l’arte, mette in mostra una società a sé stante che spiazza e non per la violenza, ma per la valenza dei suoi intenti e dei suoi valori.

Valori, quelli che non hanno avuto quei due ragazzi. Quelli assenti in due volti, in due stili di vita che sono lo sperma del coito ininterrotto del mondo civilizzato di oggi, del brain washing costante a cui ci sottoponiamo con le serie, con i social, con le ambizioni di vite grandiose senza sacrifici ma vivendo al limite, un limite cinematografico e non reale.
Come si è potuto dare la colpa alle discipline da combattimento? Dove, in ciascuna di esse, vige il rispetto per l’avversario, il riconoscimento del proprio e altrui valore, dove la lealtà è indiscussa e l’abbraccio – anche nel combattimento più feroce – c’è sempre? Faciloneria, approssimazione, incapacità di prendersi le proprie responsabilità da parte della comunità umana.

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