Delicatessen

Salsa Olandese

Era primavera. Dopo l’aperitivo al baretto di Piazza Sant’Eustorgio, andammo a cena in un ristorantino di Corso di Porta Ticinese. Il locale era all’epoca frequentato da pittori del quartiere ed esponeva alcuni loro quadri. Ero con Aurora, con noi Paola e Thomas, suo amico di Amburgo. Thomas ordinò asparagi alla milanese, ossia bolliti e serviti con uova al burro e grana. È un piatto che nel finale riserva golose sensazioni gustative in quanto il mix di tuorli, burro fuso e grana sfuggito agli asparagi, suggerisce scarpette di grande soddisfazione.
Thomas sembrò apprezzarlo, ma, ed è tale il motivo per cui mi ricordo di lui, non esitò a dire che, pur buono, non poteva competere con gli asparagi in salsa olandese. E io rimasi un po’ sorpreso. Pur non conoscendola, quella salsa mi risultò subito insopportabile.
Inoltre ero fortemente dubbioso sull’imparzialità di quell’affermazione enunciata con tanta sicurezza. Non consideravo però che le due preparazioni utilizzassero in parte gli stessi ingredienti rivelando indubbie affinità. E soprattutto mai avrei immaginato che proprio quella salsa sarebbe divenuta una delle mie preferite. Avevo già cominciato a cimentarmi con i roux, con le derivate della besciamella, con i fondi, soprattutto quello bruno, facendo disperare chi poi riordinava la cucina per il numero di casseruole e tegami che utilizzavo. Erano sostanzialmente le mie grandi salse, poi quando avevo circa 30 anni, qualcosa cambiò.

Una serie di avvenimenti mi portò in Francia.

Ero a Nîmes e, dovendomici fermare per qualche tempo, cercai una casa in affitto. Conobbi così la proprietaria di un’agenzia immobiliare che disponeva di appartamenti in città e fuori porta; con lei visitai più abitazioni, ma nessuna mi soddisfaceva. Una mattina, però, mi mostrò una piccola casa di campagna dal mood rustico, ma confortevole, a pochi chilometri da Nîmes e fu amore a prima vista. Quando tornammo in città, mi propose di pranzare insieme e mi portò in un ristorante accogliente dove non esitai a ordinare lumache alla bourguignonne, mentre lei, Christine, scelse un piatto a base di salmerino. Quando ci servirono, con grande competenza commentò la salsa bearnese che accompagnava il pesce dicendo che in quel ristorante era sempre perfetta con il giusto apporto acido, un tocco di dragoncello fresco, un ottimo burro e… trovai avvincente il suo piglio gourmet. Mi spiegò che le salse emulsionate a caldo sono solo in apparenza di difficile esecuzione: la criticità sta nella temperatura che se non ben dosata le fa impazzire, ma è sufficiente prestare alcune attenzioni perché il buon esito sia garantito. Evidentemente mostrai molto interesse, tanto che mi propose, se avessi voluto, di mostrarmi come si prepara una salsa emulsionata a caldo. Ne fui lieto. Quando bussai alla sua porta, Christine mi accolse facendomi sentire subito a mio agio con un calice di kir royal che mi mise in mano.
Era un’attraente quarantenne e, abituato a vederla in eleganti tailleur e tacchi alti, apprezzai l’aria informale e disinvolta che le donavano la ti-shirt, le sneaker, i capelli raccolti a coda di cavallo e, informalmente, ci trovammo presto a darci del tu. Quando entrammo nella spaziosa cucina della sua casa d’epoca, guardai con ammirazione, allineate su lunghe mensole e appesi a una trave di legno, casseruole e tegami di rame. Le loro superfici riflettevano con luminose e al tempo stesso calde tonalità i raggi del sole serale di maggio che filtravano attraverso le tendine delle ampie finestre.
Qui mi mostrò il recipiente di cottura in cui cuocere a bagnomaria la salsa che non era un generico “pentolino” o altro qualsiasi tegame, ma un polsonetto di rame dal fondo semisferico, perfetto per emulsionare. E ai fornelli fece dapprima ridurre direttamente sulla fiamma qualche cucchiaio di aceto di vino bianco con pepe macinato, poi raffreddò la riduzione con un cucchiaio d’acqua fredda, e passò al bagnomaria: unì i tuorli e cominciò a mescolare spiegandomi che non solo l’acqua non deve raggiungere l’ebollizione, ma di tanto intanto è preferibile sollevare il polsonetto per scongiurare il pericolo che i tuorli si rassodino. Quando questi cominciarono ad aumentare di volume ispessendosi iniziò ad aggiungere, poco per volta, il burro, 100 g per tuorlo: per un maggiore controllo della temperatura della salsa non univa burro fuso, ma a dadini, freddo di frigorifero. Quando la salsa cominciò a montare mi passò il polsonetto invitandomi a proseguire. Cercai di attenermi con scrupolo alle sue istruzioni, ora estraendo il polsonetto dal bagnomaria, ora aggiungendo un dadino di burro. La salsa stava montando lucida e cremosa così che presi sicurezza, emozionato nel vedere aprirsi un nuovo orizzonte cucinario. Ma all’improvviso si addensò pericolosamente, e io pensai che stesse per impazzire. Fu sufficiente che Christine, tranquilla, aggiungesse due cucchiai d’acqua fredda perché la salsa tornasse onctueuse: gli ultimi dadini di burro li aggiunsi sollevando spesso il recipiente e alla fine la salsa olandese era pronta. Ma non era tutto: l’avevamo preparata per servire, sorpresa, bianchi asparagi d’Argenteuil e io non potei non pensare a Thomas.
Mentre osservavo l’eleganza con cui Christine si muoveva in cucina, lei mi diede una bottiglia di Bourgogne Blanc da stappare e sorridendo mi disse che non solo in Italia al cibo si accompagna il vino.
Trovai la portata eccellente, ma ciò non toglieva nulla alla bontà della versione milanese anche se, a essere sinceri, ammisi in cuor mio che rappresentava una valida alternativa. Il vino avvolgente, accompagnò al meglio il piatto seguito da un irraggiungibile Brie de Meaux. Stavo bene, rilassato, e Christine era incantevole. La piacevolezza del momento fu interrotta da un petulante, così mi sembrò, squillo del telefono proveniente dalla sala dove Christine scomparve per qualche minuto. Tornò in cucina pensierosa e del suo sorriso, a tratti malizioso, non era rimasta traccia. Quando si vive un periodo complicato, volendolo esternare, necessariamente si tende alla semplificazione, per non perdersi in fatti e in particolari. Semplificazione che però non sempre riflette in modo esauriente l’emotività, la drammaticità, la realtà del momento. Così Christine, quasi a giustificare quella telefonata, traducendo i propri pensieri in parole, e sentii in ciò uno sforzo, mi disse che si era separata da non molto dal marito e… più delle poche parole fu la sofferenza che respirai a dirmi di lei. Mentre il silenzio cominciò ad avvolgerci, i nostri occhi si incrociarono. Fu solo un attimo perché lei, per fermare silenzio e sguardi, mi propose un caffè, e si alzò. Mentre mi riempiva la tazza, quando le dissi che mi bastava istintivamente appoggiai una mano sulla sua, quasi a volerla fermare e la sfiorai percorrendola in modo involontario per pochi centimetri. Pochi ma sufficienti perché il contatto potesse essere colto come una, sia pur timida, carezza. Lei abbozzò allora un sorriso che subito si spense mentre appoggiava il bricco del caffè nel centro del tavolo. Poi, forse per scongiurare un imbarazzante ritorno di silenzio o per reagire allo sconforto che aveva appesantito la sua misurata gestualità, mi disse che le sarebbe piaciuto, considerato che avrei abitato in zona, incontrarci nuovamente per scambiarci ricette precisando subito dopo “a pranzo”, occasione meno mondana di quella serale, non so se per tranquillizzare me o lei. Cominciammo così a frequentarci e i nostri incontri gastronomici da saltuari divennero regolari, prima, un po’ di fretta, a pranzo, poi, con maggiore calma, a cena. Quando il mio karma mi portò ad Avignone, i nostri incontri si diradarono nonostante che, in qualche modo, Christine mi mancasse, o forse proprio per questo. Tornato a Milano, Nîmes si aggiunse ai ricordi. Cominciai ad adattare le salse emulsionate alla cucina italiana scoprendone le innumerevoli applicazioni. Il tuorlo e il burro non mi discostavano dalla cucina milanese e arrivai così a codificare la CARBONESE, ossia la CARBONara alla milanESE che molti anni dopo presentai ufficialmente in una cooking demo in un’edizione di MILANO FOOD WEEK al Brian&Barry Building, quando ancora era in via Borgogna.
Gli ingredienti: salsa olandese, ma senza base acida e con meno burro, completata da zafferano; formaggio grana (Grana Padano o Parmigiano Reggiano) grattugiato; pancetta arrotolata affettata sottile rosolata in padella sino a farla diventare croccante; pepe nero. Con la salsa e il formaggio condii la pasta che completai, direttamente nei piatti, con lamelle di pancetta croccante spezzettata con le mani e con una macinata di pepe.
Al pubblico piacque, fu un successo. Ma non era, ne è, l’unica mia variante della salsa olandese.  Ve ne sono altre che elaboro, secondo l’impiego che intendo farne, aggiungendo riduzioni di latte di cocco, di panna, di brodo di carne o di bisque, o sostituendo parte dei dadini di burro con altrettanto burro fuso frullato con bottarga, o ancora completando la salsa con burro al miso e via elencando. Ma a questo punto come servire gli asparagi? Incorporo alla salsa olandese la prodiga quantità di grana con cui cospargerei le uova al burro, e così “perfezionata” la servo con gli asparagi… con buona pace di Thomas.
...segui Fabiano.

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Fabiano Guatteri
Di poche parole, scrittore e giornalista, direttore editoriale della testata Good-Mood (www.good-mood.it), collaboro con la Guida I Ristoranti d’Italia de l’Espresso. Ho insegnato Gastronomia Sperimentale presso il Dipartimento di Chimica Farmaceutica dell’Università di Pavia. C’è dell’altro, ma basta così.

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