…e l’Elegia della Bohème
Immagino sarete stati anche voi studenti e squattrinati. Ognuno di noi è stato studente e squattrinato, almeno per una volta nella vita. E se qualcuno di voi non lo è stato, hélas! non potrà assaporare l’elegia dei ‘vecchi, meravigliosi anni’ a cui tutti noi guardiamo con un misto di invidia, compatimento e tristezza, ora, nei nostri appartamenti adulti, vestendo abiti adulti, liberi, chi più chi meno, di vivere le nostre vite nella maniera che ci pare.
Un tempo, invece, quando la povertà governava le nostre giornate, quello che veramente ci distingueva dagli altri era l’esercizio del gusto, o dell’abilità. Per chi era la musica, per chi la letteratura, altri si industriavano a risolvere teoremi, funzioni ed integrali meglio degli altri o mandare a mente formule, chimiche fisiche o matematiche per stupire, chi lo sa, fidanzate fredde come l’inverno o limare problematiche sedimentate con i genitori. L’eccezione era la straordinarietà. E quello ci bastava. Ci sentivamo unici, particolari, irripetibili. E allora non ci disturbava raggiungere i supermercati solo quando la fame si faceva sentire a morsi, indosso gli abiti indecorosi dello studente-di-professione, nessuno in giro salvo poche, sparute bestiole sole e apparentemente abbandonate come noi. E poi, una volta dentro, il dono di sapere individuare la bazza, scegliere quelle poche cose giuste, perché si sono letti i libri giusti, si è imparato, assaporato, sperimentato, fin dalla più giovane età. Questo, questo arbitrario esercizio del gusto, ho creduto per anni fosse la mia peculiarità, poi è arrivato altro, storie da raccontare, obiettivi da raggiungere, tutto disciolto nel marasma del caos.
Ma per tornare a noi, nel grande ma semivuoto supermercato sotto casa, mi sentivo nel mio spot, sempre, o quasi sempre, convinto di scegliere i cibi migliori palpando, odorando, divinando. E sempre, o quasi sempre, convinto di scovare il vino giusto per l’occasione, si trattasse di un’occasione speciale da assaporare insieme, riscaldare relazioni ormai stancamente trascinate, conquistarne nuove o spesso, molto più spesso, trascorrere qualche ora senza pensare a nulla salvo dove ti avrebbe condotto quel beveraggio incantato che per convenzione chiamiamo vino. Ecco, in quelle occasioni erano Sangiovesi romagnoli, Chianti toscani o, molto più raramente, Brunelli, dono divino insperato direttamente recapitato lì, esattamente per me, una di quelle bottiglie care, ma non troppo, di quel colore elegante, con quello stemma nobiliare in evidenza, ben ordinate e (meglio per me) poco frequentate dato che io, io solo, sapevo tradurle in valore aggiunto. Ecco quindi come nasce questo, che è un imprinting. Ed il rapporto che mi porto dentro con Fattoria dei Barbi, ché quello era il ‘loro’ vino.
Da allora sono trascorsi anni e mareggiate, eppure un soffio nella dimensione temporale del Nettare, che ci sopravanza e sovrasta sempre e comunque. Fattoria dei Barbi, peraltro, è pietra angolare della viticoltura italica, realtà di storicità imponente, se non intimidente, dato che è presente sul territorio da ben 670 anni, fondata per mano dell’altrettanto storica famiglia Colombini, accreditata a Montalcino fin dal 1352.
Oggi la proprietà, in località Podernovi, è gestita dal figlio di una delle prime ‘signore del vino’ italiane, Francesca, ovverosia Stefano Cinelli Colombini, a sua volta anfitrione istrionico e uomo di vastissimi interessi e cultura, l’ideale erede di nonno Giovanni, “contadino, vignaiolo, cantiniere/allevatore di porci, salumiere/avvocato”, come recitava, testualmente, il suo biglietto da visita.
La tenuta si estende su 325 ettari, di cui 86 coltivati a vigneto, circondati da oliveti, campi a seminativo e boschi. Un patrimonio inestimabile che si allarga anche alla tenuta Aquilaia dei Barbi a Scansano (GR).
Quattordici le etichette in catalogo, con una produzione annua che oscilla tra le 600 mila e le 700 mila bottiglie, in testa le pietre angolari del Brunello DOCG – anche in versione Riserva e single vineyard Vigna del Fiore – e Rosso di Montalcino DOC, ma fattoria dei Barbi è realtà complessa, come conferma la contemporanea realizzazione di olio extravergine d’oliva e formaggi dell’antico caseificio aziendale. Economia ‘circolare’ che non si ferma a questo, anzi, nella logica degli esordi prosegue l’attività di produzione di cereali e l’allevamento di pecore e maiali, con trasformati che vengono venduti e materiali di scarto che vengono riutilizzati.
Del resto fu proprio nonno Giovanni ad aprire nel 1934 a Montalcino la prima enoteca d’Italia, per poi far diventare la Fattoria dei Barbi la prima ‘cantina aperta’, fin dal 1949, di fatto ‘inventando’ il fenomeno dell’enoturismo, fasti rinnovati tuttora dalla giustamente celebrata Taverna dei Barbi. Anche se forse il più cospicuo contributo territoriale della Fattoria (che non si è fatta mancare nemmeno progetti di ricerca pionieristici, come quello per la produzione di vini ‘a zero chimica aggiunta’ e un’inedita, almeno per le aziende vitivinicole, vocazione filantropica, dimostrata dall’istituzione del premio Barbi-Colombini, che annovera tra i vincitori anche il Nobel Saul Bellow) è l’apertura, nel 2006, dello spettacolare Museo della Comunità di Montalcino e del Brunello, che racconta un mondo contadino romantico e fascinoso tramite oggetti ed attrezzature originali, testimonianze, aneddoti e protagonisti del territorio, un bric à brac che avrebbe impressionato anche il sommo Guido Gozzano.
Tornando al vino, Fattoria dei Barbi si può considerare un microcosmo di sostenibilità, come confermano le scelte di campagna (siamo nel quadrante Sud-Est della denominazione, con terreni galestro-argillosi collocati tra i 250 e i 450 metri slm), che partono dalla progettazione (conservativa) delle vigne e dal (raro) sistema di allevamento a cordone libero, continuano nella sistematicità dell’inerbimento tra i filari e culminano nell’utilizzo esclusivo di concimi organici, sostituendo fungicidi, anti-muffa e insetticidi con l’impiego di insetti antagonisti e batteri. L’eliminazione del rame e l’adesione a protocolli di lotta integrata permette di non generare residui, né nel terreno, né in bottiglia.
La cantina, dal canto suo, affidata alle (molto) competenti mani di Maurizio Cecchini, prosegue il lavoro in campagna con protocolli altrettanto sostenibili, su cui spicca l’impiego del Ganimede, vinificatore che permette di délestare le uve sfruttando l’energia del gas autoprodotto dalle fermentazioni, consentendo ai vini di arrivare in bottiglia con un contenuto di solfiti esiguo, compreso tra 0 e 40 mg/l, bel manifesto di un progetto di sostenibilità mai sbandierato ma semplicemente esperito.
Arrivando agli assaggi, molte sorprese e un’anteprima succosa e clamorosa, il Brunello 2017, che testimonia le ambizioni di casa. Ma non indugiamo oltre e procediamo.
Toscana IGT Brusco Dei Barbi 2018
Lo storico entry-level, prodotto per la prima volta nel 1969, che è tutto tranne un vino scontato. Dedicato alla memoria di un leggendario ‘personaggio’ locale, nasce come taglio a prevalenza Sangiovese (in questo caso con un 10% di Merlot di Scansano) affinato in solo acciaio. Naso sfaccettato e sbarazzino, ribes rosso, tocchi di chiodi di garofano, bella iodatura in chiusura, bocca con eccellente spalla acido-salmastra, finale fresco e persistente, con ritorno iodato.
Rosso di Montalcino DOC 2019
Un Rosso da 100% Sangiovese succoso e di bella beva, senza disdegnare interessante complessità. 6 mesi in botte grande, naso di mirtilli, con tocchi officinali di timo cedrino e fiori di camomilla. Bocca succosa, tannini iodati, finale con ritorno floreale-fruttato.
Brunello di Montalcino DOCG 2016
Un’annata eclatante, che ritorna in un vino memorabile, caratterizzato dalla precisione ed eleganza di fattura. Naso con sfumature complesse, ribes nero, sentori di rosa canina e bella chiusura con tocchi di eucalipto. La bocca ha tannini sapido-salmastri, con finale fruttato-mentolato.
Brunello di Montalcino DOCG 2017
La perfetta testimonianza che in annate difficili come la 2017 è possibile, tramite un lavoro di prossimità ed accuratezza, estrarre vere e proprie ‘bombe’, in questo caso assaggiate in anteprima. Un capolavoro di sapidità, naso di melograno, con tocchi di alloro e rabarbaro, bocca di densità e tensione, con tannini salini e lunghezza e persistenza mozzafiato.
Brunello di Montalcino DOCG Vigna del Fiore 2016
Il primo Brunello da vigna unica di Montalcino, 5,7 ettari, quelli più a sud tra gli appezzamenti aziendali, caratteristica che ritorna soprattutto al palato. Naso di amarena sotto spirito, con bella sfumatura di noce moscata e tocchi rinfrescanti di macchia mediterranea. Palato di densità e rotondità, con ritorno fruttato su tessitura tannica salmastra e finale di persistenza.
Brunello di Montalcino DOCG Riserva 2015
Tre anni in legno, prima piccolo poi grande, una lettura austera e insieme di grande bevibilità di Riserva. Naso di susina selvatica, con tocchi di foglia di pepe, richiami di cannella e finale mentolato. Molto succoso alla bocca, con ritorno fruttato-officinale e mentolato in chiusura.
segui Riccardo (alias Il Santo Bevitore)
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