Santo bevitore

De Sanctis

Per arrivare fin qui ho dovuto impormi uno sforzo supplementare e non solo lasciarmi dietro luci e miraggi della Città Eterna, ma proprio cancellarli dalla mente.

Per me quella città è una sorta di vortice, un buco nero che mi attira con tale voracità che per anni ho pensato di non potere esercitare alcun tipo di controllo. Pensavo Roma e bum! avevo già il biglietto del treno in mano. È tipo quello che succede quando capitano quegli amori disperatamente non corrisposti, avrete presente anche voi quali, in cui si è un debole animaletto nelle mani dell’altro, totalmente impotente. Non voglio dire che quello per Roma, in tutti questi anni, è stato un amore non corrisposto, anzi. Ma non importa, non era di questo che volevo parlare. 

Sono diretto a Frascati e sta piovendo, piove, forse pioverà anche domani e dopodomani.

È inverno, ma il clima è mite, tanto che se apro il finestrino posso sentire distintamente l’odore della terra. È un odore di terra buona, terra ricca. È una delle cose che mi affascinano del mondo del vino, i suoi apparenti contrasti. Uno degli adagi più diffusi è che la vite cresce meglio sulla terra poco fertile. Non è vero, ci sono centinaia di esempi che smontano questa teoria. C’è convivenza possibile tra terreno ricco di nutrienti e crescita corretta, anzi, rigogliosa, della vite.

Del resto la vite è una pianta infestante, è abituata alla resilienza.

Le radici poi scendono anche a fino a 10-15 metri, conferma del fatto che non si tratta mai, o quasi mai, di quello che possiamo vedere coi nostri occhi.

La natura prende, la natura dà

Luigi De Sanctis

Luigi De Sanctis è l’erede di una famiglia di vignaioli che ha subito la terribile esperienza dell’esproprio, che anche se è intrapreso, come in questo caso, nel nome della cultura, non è meno traumatizzante.

670 ettari di campagna alienati per costruirci la Terza Università di Roma.

Centinaia di famiglie costrette a reinventarsi, ma non lui, che ha deciso di ritornare alle origini, ripartendo dall’agricoltura, trovando poi successivamente a Frascati il palcoscenico enoico ideale per fare attecchire gli insegnamenti del nonno e del padre.

Siamo in pieno Frascati DOC, un vino che ho sempre avuto a cuore e le cui sorti travagliate mi affliggono. Considerato dai più un vino da tavola, da scaraffare un litro e mezzo alla volta, è in realtà prodotto dal grandissimo potenziale. I perché sono spiegati da Luigi, che mi racconta che tutta la zona dei Castelli Romani (l’agro Tuscolano) è collocata sulle vestigia di un gigantesco vulcano vecchio di 1,5 milioni di anni, fortunatamente mai entrato in attività.
Nella stessa area, e fino al XVII secolo, il Lago Regillo ha conferito alla fisica del terreno tutta la sua tipicità, dato che il substrato, ricco di elementi tra cui rilevante soprattutto il potassio, è grandemente favorevole per la coltivazione della vite, come lo è il clima mediterraneo, allietato anche in inverno, soprattutto al pomeriggio, dalle correnti calde che provengono dal Mar Tirreno.
Luigi questo lo sa bene, ed insieme ai figli Francesco, giovane enologo di ampia competenza diplomato a Cormòns, e Andrea, realizza vini territoriali, sostenibili, certificati bio, senza rinunciare alla tecnologia. In vigna si pratica l’inerbimento, i trattamenti sono praticamente nulli, mentre in cantina si procede a criomacerazione e micro-ossigenazione, si effettua il controllo della temperatura, concetti che se socializzati con le frange estreme dei vignaioli cosiddetti ‘naturali’ potranno sembrare blasfemie, ma a mio avviso sono maniere appropriate di usare tecnologia ‘sana’, permettendo di fruire di un prodotto stabile, fermentato con lieviti indigeni, che non subisce filtrazioni e non viene addizionato di solforosa.
Per il Frascati DOC Alessandro e Luigi lavorano sia con Malvasia di Candia che del Lazio (o Puntinata), ognuna utilizzata per le sue peculiarità, anche nelle enormi differenze che intercorrono tra due vitigni che di comune hanno soltanto il nome. Il risultato sono vini fascinosi, di beva accattivante e soprattutto sublime, vibrante espressione del territorio. Ma è arrivato il momento degli assaggi. E allora assaggio, assaggio, assaggio.
Il  Frascati Superiore DOC 496 è un cavallo selvaggio che familiarizza di nuovo con la libertà, conserva una splendida frizzantezza costitutiva, di CO2 non fagocitata dal corpo del vino ma piacevolissima, odora di albicocca acerba, timo ed è talmente iodato che sembra di affacciarsi ad una finestra, in una notte temperata d’estate appena dopo che ha spiovuto. Gustativamente, poi, irresistibile.
Il Frascati Superiore DOC Abelos sposta l’asticella su di una tacca. È pulito, rifinito, una specie di über-Frascati lievemente barocchizzato da legno grande e barrique ma che comunque emoziona, non stanca e invoglia alla bevuta con quel suo finale ammandorlato.
Arriviamo alle vere sorprese, Lazio IGT Iuno è la dimostrazione che il Cabernet Sauvignon adora il terreno vulcanico di Frascati. Mai piatto, mai scontato. Sa di sottobosco resinoso e more, con un tocco di eucalipto in chiusura. La bocca è antologica, succosa, croccante. Sapidissima.
Arrivo a quello che considero il migliore assaggio di giornata, ovverosia il Lazio IGT Onde. Mi viene da ribattezzarlo il Rosato definitivo, sempre da uve Cabernet miracolose. Naso sublime, di lampone, melograno e nettarina, un tocco di agrume, il cedro. La bocca salata, succosa, persistente. Assaggio, assaggio ancora.

Non mi sbaglio, so che ogni assaggio mi avvicina al centro di quel mistero che cerco di decifrare da quando sono nato. Un mistero che mi sopravanza, che è ampio, incircondabile. Chi siamo, cosa facciamo qui, cosa significa nel nostro cammino la terra da cui scaturiscono questi miracoli in bottiglia che assaporo.

Non lo risolverò oggi, lo so bene. Ma anche avvicinarsi, all’epicentro, è segno distintivo.

Luigi, che mi saluta sulla porta con la munifica cortesia dei signori di nascita, mi dice che il vino è molto spesso questione di alchimia, e che oggi l’alchimia c’è stata. E accidenti, sì. C’è stata eccome. Oggi è una di quelle giornate uniche e rare.

Ma ormai è tardi, mia bella Frascati. Purtroppo per questa volta me ne devo andare.
Ma non dubitare, tornerò.
Oh, sì che tornerò.

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Riccardo Corazza
Nasce a Bologna nel 1973. Lavorativamente si divide tra la consulenza aziendale e il giornalismo e la comunicazione enogastronomica, complice un lustro trascorso a Praga nella formazione in ambito HORECA per ristoranti e grossi brand internazionali. Ha collaborato con quotidiani, tra cui il Corriere della Sera, riviste, tra cui Forbes Italia e Sport Week, guide, tra cui la Guida ai Sapori e Piaceri de La Repubblica, I migliori 100 vini e vignaioli d’Italia, le Guide del Gambero Rosso e portali, tra cui Gardininotes.com. Ha lavorato in una radio rock e pubblicato 5 libri che con la ristorazione non c'entrano niente, in osservanza del vecchio adagio che è sempre opportuno confondere un po’ le acque.

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