Santo bevitore

Ciacci Piccolomini d’Aragona

Con più viaggio, visito, ascolto, provo a conoscere, con più approfondisco, cerco, leggo, studio, mi affanno, con più mi accorgo che il vino è partitura complessa, fatta soprattutto di contrappunti che inseguono il cantus firmum senza disporre di un’equazione o di una formula esatta, perché la vite zac! è sempre un passo più in là, che multiforme si sposta appena, cambia paradigma, si trasforma in quello che mai avresti immaginato diventasse.

È come il mistero della creazione, se volete, questo atto che ci sfugge e deve farlo perché apprezziamo maggiormente il nostro transitorio passaggio quaggiù.

Tutto questo per dire che quei rari casi in cui tutto è semplice, anzi essenziale, e perfetto, beh, quelli te li devi ricordare, perché è anche il momento in cui hai qualcosa da raccontare.

La storia di Ciacci Piccolomini d’Aragona è relativamente recente, risale agli anni ’70 del secolo scorso, affondando tuttavia le proprie (nobiliari) radici nel secolo XVII, nello storico palazzo collocato nel centro di Castelnuovo dell’Abate e costruito dal Vescovo ilcinese Fabius de’ Vecchis, Abate di Sant’Antimo, Conte Palatino e Consigliere Imperiale. La proprietà viene venduta alla famiglia Ciacci nella seconda metà dell’800, mentre successivamente, in seguito al matrimonio tra il conte Alberto Piccolomini d’Aragona ed Elda Ciacci, il cosiddetto Palazzo del Vescovo si trasforma in Palazzo Ciacci Piccolomini d’Aragona.
Nel 1985, con l’estinguersi del casato, la proprietà passa in eredità a Giuseppe Bianchini, purtroppo mancato nel 2004, che prima a Palazzo, poi, su suo progetto, purtroppo non riuscendo a vederlo ultimato, nella nuova sede di Molinello, stabilisce la sede dell’azienda agricola. Ora il timone è passato nelle mani dei figli Paolo e Lucia, con le nuove generazioni, nella fattispecie Alex ed Ester, già coinvolti appieno nella gestione.
Il territorio è quello del quadrante sud-ovest di Montalcino, dominato dal fiume Orcia, una striscia di vigneti dalle caratteristiche uniche (oltre che dalla bellezza mozzafiato) collocata tra i borghi di Castelnuovo dell’Abate e di Sant’Angelo in Colle. Da Ciacci si fa vino alla vecchia maniera, ma con conoscenze maturate in decenni di frequentazione assidua del territorio, confidando per l’appunto nel fatto che la tradizione della lavorazione favorisca l’espressione territoriale. Anche la recente scelta di conversione al bio della vigna, se vogliamo, con un uso accurato in particolare del sovescio, si muove nella stessa direzione. Fermentazione in acciaio, invecchiamento in rovere di Slavonia, fino a 36 mesi. Poi bottiglia, in modo da permettere al Sangiovese di assestarsi e raggiungere la sua punta espressiva senza forzature. I vini che ne escono, comprese le piccole chicche come lo Syrah, sono decisamente incredibili, al vertice delle tipologie. A dispetto di tante inutili e velleitarie forzature dell’enologia moderna, insomma, da Ciacci si esce con l’impressione che il vino (e il Sangiovese in particolare) sia certo sempre una bestiaccia scontrosa, ma alla fine devoto amico, uno di quelli che (nel caso) ha il coraggio di dirti la verità in faccia, che risponde come tale ad una vita di dedizione, ripagando con gli interessi di tutti gli sforzi compiuti. 

Consolante, forse, pensare che il consolidamento dell’enologia moderna italiana sia sulle spalle dei due vitigni territoriali, Sangiovese e Nebbiolo, che ne hanno garantito forza e peculiarità, conferma, se mai ce ne fosse bisogno, di una forza di fuoco produttiva ragguardevole, da un territorio dalla vocazione indiscutibile.

Ciacci Piccolomini d’Aragona Sant’Antimo DOC Ateo 2018

La vocazione al taglio bordolese ma anche alla libertà di proporre, fuori da annate non ritenute idonee come la 1989, vini non integralmente a base di Sangiovese, nasce da questo Ateo, che si deve proprio all’estro di Giovanni. Nato come blend di uve a base Sangiovese, vede il vitigno principale sparire dal taglio nel 2007, rimanendo un’espressione paritaria di Cabernet Sauvignon e Merlot, affinato per 8 mesi in barrique. Tocchi di marasche, alloro, timo disidratato, con mentolatura finale. Bocca sapido-salmastra, succosa, di eccellente persistenza gustativa.

Ciacci Piccolomini d’Aragona Sant’Antimo DOC Fabivs 2017

Per chi si chiedesse cosa combina Ciacci con gli internazionali, ecco questo eccellente esempio di Syrah da alcuni degli appezzamenti (nella fattispecie vigna ‘del Conte’) più bassi del panorama aziendale. Un vino esemplificativo delle lavorazioni di grande pulizia in cantina, affinato in botti piccole da 3 hl. Visciole, pepe nero, con tocco iodato in chiusura di olfazione, bocca sapida, succosa e di eccellente persistenza, con ritorno sul finale delle sensazioni di frutto di cappero.

Ciacci Piccolomini d’Aragona Rosso di Montalcino DOC 2019

Anche sul Rosso Ciacci se la gioca tra i grandi, riuscendo a confezionare un altro capolavoro di freschezza e succosità. Ribes rosso al naso, con tocchi officinali pronunciati, aneto e maggiorana, una traccia di macchia mediterranea, poi bocca avvincente e appassionante, con tannini iodato-salmastri, eccellente acidità e finale di lunghezza.

Ciacci Piccolomini d’Aragona Brunello di Montalcino DOCG 2016

Il Brunello ‘base’ (per così dire) da 8 ha di vigne a terreni marnosi, affinato in botti di Slavonia dai 20 ai 75 hl per 30-36 mesi, poi almeno 8 in bottiglia. Lamponi al naso, note di timo fresco, tocco di menta valdostana in chiusura, bocca sapida, succosa, di eccellente persistenza, con tannini vellutati e finale con ritorno fruttato-officinale.

Ciacci Piccolomini d’Aragona Brunello di Montalcino DOCG Pianrosso 2016

Raramente nella mia vita ho assaggiato vini perfetti. Questo lo è. Il frutto schiocca e scalpita, fuoriesce tridimensionalmente dal bicchiere, si tramuta in essenza edibile. Un elisir. Nessuna concessione al politicamente corretto, né alle approssimazioni, un vino da cru di circa 12 ettari costruito per essere grande. Circa 36 mesi in botte di Slavonia da 20-62 hl, almeno 8 in bottiglia, un vino da stappare e coccolare, in rigoroso silenzio. Marasche, tocco balsamico, pepe nero, sottobosco, bocca succosa, densa, con tannini di indimenticabile finezza, persistenza e precisione. Finale mozzafiato.

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Riccardo Corazza
Nasce a Bologna nel 1973. Lavorativamente si divide tra la consulenza aziendale e il giornalismo e la comunicazione enogastronomica, complice un lustro trascorso a Praga nella formazione in ambito HORECA per ristoranti e grossi brand internazionali. Ha collaborato con quotidiani, tra cui il Corriere della Sera, riviste, tra cui Forbes Italia e Sport Week, guide, tra cui la Guida ai Sapori e Piaceri de La Repubblica, I migliori 100 vini e vignaioli d’Italia, le Guide del Gambero Rosso e portali, tra cui Gardininotes.com. Ha lavorato in una radio rock e pubblicato 5 libri che con la ristorazione non c'entrano niente, in osservanza del vecchio adagio che è sempre opportuno confondere un po’ le acque.

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