“Per i dolori, vodka di dentro e vodka di fuori”
Questo antico proverbio russo ci rammenta, in primo luogo, come anche la produzione di questo distillato avesse originari, e preminenti, scopi medicamentosi. Ma, allo stesso tempo, pare quasi legittimare l’immagine di consumo smodato e irrazionale (spesso, conseguenza di condizioni di vita grame), che si tende ad associare al binomio Russia – Vodka. Ulteriormente suffragata dalla dominante percezione semplicistica (ritornano i luoghi comuni…) riguardo a questa bevanda, che la vuole insapore, priva di qualsivoglia impronta organolettica; sostanzialmente, un alcol neutro diluito, adatto a supportare un vizio, piuttosto che a procurare diletto. Nella migliore delle ipotesi, una piatta base di partenza per l’aggiunta di aromatizzazioni con svariati frutti (ricordo ed emblema delle prime trasgressioni giovanili), o per l’utilizzo in miscelazione.
È indubbio che sia stato quest’ultimo comparto a trainare la diffusione della vodka, e a supportare i tuttora imponenti volumi di vendita e consumo (quasi analogamente a quanto accaduto per il gin, fratello occidentale).
Ciò tende ad offuscare un quadro in realtà più complesso e affascinante, che ha visto, nel corso dei secoli, l’evolversi e l’alternarsi di materie prime e tecniche di produzione, fino alle recenti riscoperte e sperimentazioni. E non dimentichiamo una storia intrecciatasi a doppio filo con le vicissitudini di un popolo e di tutti i suoi strati sociali, talora tumultuosa e ricca di contraddizioni.
Gli albori della vodka
Nulla è scontato nell’epopea della vodka; la quale non si è sempre chiamata così, né ha posseduto, per parecchio tempo, i caratteri tipici che la contraddistinguono oggi. Soprattutto, non è ancora accertato definitivamente che sia nata proprio in Russia, ma la disputa con la Polonia relativamente a questo punto è ancora in essere, condotta a suon di documenti e attestazioni, di cui è in discussione la reale attendibilità e collocazione temporale. È comunque assodato che in questi due Paesi iniziò via via a diffondersi la pratica di distillare composti ottenuti dalla fermentazione delle materie prime di più ampia disponibilità in questi territori: patate e cereali. I secondi presero progressivamente il sopravvento sulle prime, che garantivano una minore resa, e imprimevano note più pesanti e grossolane; il cereale principe divenne la segale (di cui la Polonia è tuttora primo produttore mondiale), che conobbe una massiccia diffusione grazie alla grande resistenza al freddo. In ogni caso, si era ancora in presenza di mezzi e tecniche di produzione alquanto rudimentali, che non erano affatto in grado di neutralizzare i sentori derivanti dai composti di partenza, e anzi richiedevano spesso il connubio con altre sostanze aromatizzanti o dolcificanti, per guadagnare un po’ di gradevolezza.
Questo distillato non invecchiato, con impronte ancora decise (più simile ad un whisky bianco che alla vodka in accezione contemporanea), assunse, agli albori, diverse denominazioni: le più ricorrenti furono Gorzalka (“liquore”) in Polonia, e Polugar (letteralmente, “bruciato a metà”), in Russia.
Solo dopo diverso tempo, comparirono i termini Vodka e Wodka (russo e polacco, rispettivamente), che, in entrambe le lingue, significavano “acquetta”; un chiaro riferimento alla trasparenza della bevanda (forse anche alla disinvoltura con cui veniva bevuta?).
Polonia – Russia
L’incertezza sui natali della vodka non mette in discussione il fatto che la sua produzione sistematica e regolamentata prese piede in Russia, e qui il distillato arrivò a plasmare la sua identità definitiva, oltre a divenire un protagonista della vita politica e sociale. Su questo versante, si assistette ad una vera e propria altalena di imposizioni, provvedimenti e relative conseguenze. Dal XV secolo in poi, le redini della produzione furono tendenzialmente assunte dalla corte degli zar e dai nobili, in regime di sostanziale monopolio. Ma, nei momenti in cui l’esigenza di finanziare le spese di guerra tramite un aumento della tassazione si faceva più pressante, Mosca decise di liberalizzare maggiormente distillazione e vendita; prima in favore di osti (le cosiddette “taverne dello zar”), poi di distillerie private sotto controllo centrale. Ad un allentamento delle briglie corrisposero però, puntualmente, calo dei prezzi e della qualità del prodotto, forieri di consumo incontrollato e alcolismo di massa, con conseguenti ritorni a regimi restrittivi.
La modernità
Il regno di Caterina II (1762 – 1796), esponente del cosiddetto dispotismo illuminato, può essere considerato un’età dell’oro sia per l’Impero che per la vodka.
In questo periodo, il doppio binario della produzione (nobiltà e distillerie di Stato) funzionò a dovere, garantendo un livello qualitativo mediamente elevato, cui seguì l’inizio dell’esportazione nell’Europa del Nord, e anche in Occidente. Questo secondo fattore fu ascrivibile anche ai soldati degli eserciti stranieri ivi inviati a combattere le numerose guerre del periodo, che ebbero modo di apprezzare la vodka quale prezioso alleato contro temperature estreme non abituali, e ne fecero razzia; non da ultimo l’esercito napoleonico, in occasione della leggendaria, quanto infausta, campagna del 1812.
La seconda metà dell’Ottocento fu il periodo della svolta decisiva verso la definizione della vodka moderna.
Ad un nuovo periodo oscuro, contraddistinto da massificazione indiscriminata della produzione, anche illegale, crollo della qualità e dei prezzi, e rinvigorirsi della piaga dell’alcolismo (anche conseguenza della diffusione, dall’estero, di prodotti simili più dozzinali), seguì il provvedimento cruciale del 1895. Il quale stabilì, per la prima volta, una sorta di disciplinare di produzione di base (forse attribuibile addirittura al celebre chimico Mendeleev, inventore della tavola periodica degli elementi), e, soprattutto, impose l’utilizzo degli alambicchi a colonna, di recentissima introduzione nel mondo della distillazione. Strumenti che, grazie alla peculiare struttura e modalità di funzionamento, garantiscono (in misura maggiore rispetto agli alambicchi di foggia tradizionale) la massima concentrazione dell’alcol etilico, neutralizzando l’apporto delle altre sostanze in grado di conferire odori e sapori, sia sgradevoli, che riconducibili alla materia prima; effetto che viene enfatizzato all’aumentare dei cicli di distillazione.
Fu solo in questo momento che la vodka venne ad assumere definitivamente i connotati per cui è identificata e conosciuta attualmente in tutto il mondo, e che la qualificano come distillato puro e neutro per eccellenza.
La contemporaneità
Ciò nonostante, la nostra bevanda non trovò ancora pace, a causa degli sconquassi che il Novecento avrebbe riservato alla Russia. Dalla perentoria stretta sugli alcolici seguita alla rivoluzione bolscevica, si passò di nuovo ad un dilagare incontrollato dei consumi dopo la Seconda Guerra Mondiale e nei travagliati decenni successivi. La vodka divenne compagna di sventura per una vasta fascia di popolazione contadina costretta ad una vita di fatiche e povertà; ciò comportò anche il rinvigorirsi di una produzione casalinga e clandestina di qualità pessima, nefasta per la salute. Ma fiumi di distillato scorrevano anche fra le mura del Cremlino, stando al racconto di Chruŝĉëv, il quale confessò che tracannare vodka fosse necessario per sopportare i deliri e le paranoie degli ultimi anni di vita di Stalin.
Negli anni della Perestrojka, Gorbaĉëv tentò nuovamente di arginare il fenomeno imponendo una supertassa sugli alcolici, che dovette poi essere abolita a causa di fervide proteste.
Il crollo dell’Unione Sovietica è stato solo l’ultimo episodio di un vortice di eventi che non è riuscito, dunque, a scalfire la centralità rivestita dalla vodka nella vita dei russi. L’attuale, più generalizzato livello di benessere, ci propone occasioni di consumo a tutto pasto (il vino si è affiancato solo in tempi decisamente recenti), ove il distillato, gustato molto freddo, viene accompagnato a cibi tipici, quale caviale e prosciutto affumicato. Al contempo, le diseguaglianze sociali tuttora presenti raccontano del perseverare di una fervida produzione artigianale nelle campagne più remote.
Tornando al periodo post bellico, la vodka stava affrontando vicende di tutt’altra natura sul versante occidentale.
Pur se conosciuta qui da tempo, le basi per la consacrazione vennero poste dopo la rivoluzione, quando diversi nobili russi, esponenti di storiche famiglie produttrici, si videro confiscare le proprie distillerie e furono costretti ad emigrare dalla Russia. I più celebri di questi furono gli Smirnov, che ricostituirono la propria attività prima in Turchia, poi a Parigi (dove il nome fu tramutato in Smirnoff) e, infine, vendettero la licenza di produzione negli Stati Uniti ad un altro emigrato russo, Rudolf Kunett.
Poster Smirnoff Woody Allen
Nonostante la significativa espansione territoriale, la vodka non riuscì ad entrare nelle grazie dei consumatori occidentali, abituati a distillati di foggia ben diversa, nonché, forse, diffidenti verso questa espressione tipica di un Paese che stava inesorabilmente delineandosi quale nemico, sotto molteplici fronti.
Il caso del Moscow Mule e alcuni proseliti
Ma, alla soglia degli anni Cinquanta, tre uomini di affari, riunitisi per cercare di risollevare un quadro commerciale insoddisfacente (il citato Kunett, il distributore John Martin, e Jack Morgan, produttore di bibite, tra cui l’altrettanto bistrattata Ginger Beer), elaborarono l’idea vincente che spianò la strada ad un vero e proprio vodka craze: il Moscow Mule.
Il suo successo dirompente, agevolato dal fatto che Morgan fosse anche proprietario di locali, trainato da campagne pubblicitarie azzeccate con protagonisti quali Woody Allen e Andy Warhol, fu il volano per sperimentare ulteriormente la vodka nella miscelazione, indi per designarla, proprio per il suo carattere delicato, quale base ideale per molteplici protagonisti di questo multiforme palcoscenico.
Altri cocktail salirono alla ribalta, veicolati da casi letterari e stili di vita diffusi; per citarne solo un paio, il Vesper Martini (ideato da Ian Fleming nel libro Casinò Royale, e sorseggiato da James Bond durante una partita a poker con l’acerrimo nemico Le Ciffre), e l’Harvey Wallbanger, icona dello spensierato mondo dei surfisti della West Coast.
Vodka Martini
Venne, quindi, a delinearsi una netta contrapposizione; distillato povero, espressione del mondo contadino, da una parte del mondo, protagonista di un prorompente ritorno al benessere e ad una vita serena, dall’altra. Circostanza che ha dato il via alla produzione della vodka in gran parte del globo.
La vertiginosa ascesa non si è più fermata, ma ha pure costituito un incentivo, negli ultimi decenni, per intraprendere sia percorsi di recupero della tradizione, sia nuove sperimentazioni, volti ad incoraggiare e nobilitare la sua fruizione, anche in autonomia.
Tralasciando la ruffianeria delle più commerciali vodka alla frutta, si è assistito, in taluni casi, al ritorno all’utilizzo delle patate in unione con i cereali (fra i quali la segale continua a rivestire il ruolo primario), per una ricerca di maggiore corpo e pienezza al palato. Fattore di ulteriore interesse, l’utilizzo di materie prime non convenzionali, opzione consentita, ad esempio, dalle maglie larghe del disciplinare di produzione comunitario; che parla di fermentazione di cereali, patate, entrambi, o “altre materie prime agricole”. La genericità di questa dicitura sta lasciando spazio alla produzione di vodka a partire da barbabietole, melassa, addirittura uva; il punto fermo della distillazione in colonne consente comunque di ottenere un distillato assai puro e snello, ma con qualche piccola concessione in più ad aromaticità e morbidezza. Grazie all’ulteriore possibilità di aggiungere sostanze aromatizzanti, (purché non divengano predominanti), si stanno altresì sperimentando connubi ricercati, quali quelli con peperoncino, pepe e altre spezie.
Le distillazioni della vodka
Per quanto concerne il numero di distillazioni, nella maggioranza dei casi si ricorre a tre cicli (conformemente alla tradizionale scuola russa), numero considerato sufficiente per ottenere la massima concentrazione di alcol puro, da sottoporre poi a filtrazione e diluizione con acqua. Non mancano casi in cui ci si spinge fino a cinque, per perseguire con ancora maggior decisione la ricerca della purezza, mentre gli sporadici esempi che vanno oltre sollevano interrogativi sulla reale necessità, collocandosi più sul versante degli espedienti di marketing.
Panarea Vodka
Diverse vodka riportano, inoltre, la specificazione Premium, cui non corrisponde un novero di caratteristiche predefinito, ma che designa (anche in comparazione con la restante gamma di una stessa marca) un prodotto superiore in termini di qualità e ricercatezza dei fattori produttivi, quali: materie prime, acqua utilizzata in tutte le fasi, composti più o meno pregiati impiegati per la filtrazione
Moscow Mule
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