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Sanremo: tra i vizi della Ferragni e le virtù dei Maneskin

Partiamo da un assunto molto impopolare, ovvero il fatto che pagare per votare nel proprio Festival della musica nazionale, è un’opera di lucro che l’emittente pubblica dovrebbe imparare a stornare dalle logiche di bilancio. Pagare un SMS più di 50 centesimi è roba da anni ’90.
Detto questo però, nel 2021 dove anche il mondo politico dipende dai social network, se siamo d’accordo con il fatto che il voto ultimo spetta a chi paga, allora possiamo dire con assoluta certezza che va subito azzerata ogni tipologia di contestazione etica. Perché ce ne sono state.

Una tra tutte, quella sull’urlo al plagio della Ferragni per far vincere il marito.

Siamo a Sanremo ed è sabato 6 marzo, il giorno della finalissima. La classifica generale, che va detto è fino ad allora un mischione di voti da Sala Stampa, Orchestra e Giuria Demoscopica, proietta Federico Leonardo Lucia (in arte Fedez) insieme a Francesca Michielin nelle parti medio-basse.

Ai Maneskin, che poi vinceranno, tocca più o meno la stessa sorte premonitrice.

Nelle ore precedenti alla chiusura del televoto – a pagamento – sembra che la moglie di Fedez, ovvero Chiara Ferragni, che coi suoi 22 milioni di follower non ha bisogno di presentazioni, si sia prodigata in stories dove invitava tutti a votare per il marito.
Chiara ferragni in una delle stories incriminate

La Codacons diffida ufficialmente il Festival di Sanremo per manifesta irregolarità, anche se non sa spiegarla proprio bene.

Il Presidente l’8 marzo ai microfoni di Radio Capital dice “Sono vietati dalla legge i voti massivi – e aggiunge – non è giusto che una influencer utilizzi la sua posizione per veicolare voti estranei alla musica”.

Qualcuno ci vede un fondo di verità, io no.

Dovessimo chiamare al banco degli imputati la Ferragni, di cosa l’accuseremmo? Sarebbe davvero di mediocre natura un giudizio che vedrebbe migliaia di persone votare a induzione, senza consapevolezza, come fossero degli automi incantati dalla bellezza. Ed è screditante anche pensare che artisti come Fedez e come la Michielin non possano alzare al cielo un titolo che meritano sia per talento che per effetto delle dinamiche di voto dello stesso Festival.
Quindi secondo Codacons e qualche giudice popolare della corte suprema dell’invidia, il peccato della Ferragni è di essere seguita da milioni di persone e di fare delle stories sostenendo suo marito, sul suo profilo privato. Che è importante dirlo, perché non c’è nessuna sponsorizzazione e nessun giro di soldi dietro la chiamata alle armi degli SMS. Chiedere alla Ferragni di non usare i suoi social come meglio crede e chiederle in più di non sostenere il marito, forse, potrebbe essere un atto di forza illegittimo. 
Chiudendo questa polemica, la prima, forse si potrebbe solo prendere consapevolezza di quanto quei due sono riusciti a fare per se stessi e per gli altri (cultura, violenza sulle donne, bullismo e molto altro), grazie a quello che sanno fare meglio. Abbracciando forte la Michielin che è finita di rimbalzo in una storia che quasi la vorrebbe esclusa, mentre così non è. Quindi liberate la Ferragni, semmai ne avesse bisogno, e prendiamo atto di una seconda posizione conquistata con merito da una talentuosa coppia di musicisti.

Eh sì, seconda posizione, perché alla fine il duo Fedez-Michelin non ha mica vinto.

Partendo da qui, veniamo alla seconda polemica, quella che tocca anche i Maneskin.

I vincitori che hanno portato il rock al teatro Ariston facendolo vincere per la prima volta nella storia del Festival.

Proprio questo gruppo di ragazzi, insieme alla Michelin e a Fedez, si “sparano le pose sui social” durante il televoto. Rieccoci, siamo sempre lì, l’invidia è una brutta bestia. I video li abbiamo visti tutti, sei ragazzi che si divertivano, com’è giusto, invitando tutti a votare tutti: “Un po’ loro, un po’ noi” dice testualmente Fedez nelle stories. Anche qui, qual è esattamente il capo di imputazione?

Il Festival di Sanremo è abituato alle polemiche e che quelle del 2021 siano incentrate sui social ci sta, ammoderniamoci.

Stiamo parlando di una manifestazione di musica nazionale che assegna il premio massimo al voto del pubblico, mixandolo con un sistema collaterale mai ben spiegato.  Fanno una media, si dirà, ma tant’è che vincono i numeri e i numeri dicono che hanno vinto loro, quei ragazzi che ridono, suonano e cantano a un pubblico vastissimo.

Questo basta a rompere un Festival dal retaggio superato ed è forse la vittoria più grande anche della sua direzione.

Vince in senso assoluto il rock e quattro amici che suonavano a Roma, su via del Corso, giovanissimi e pieni di voglia e speranza.

Come questo, il resto sarà storia.

Rimane la bellezza di un successo incontestabile per dinamiche di voto e di consenso, così come rimangono i sorrisi e le lacrime di quei sei sul palco subito dopo l’annuncio del titolo.
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Andrea Febo
Scrivere è sempre stata una forma di esigenza espressiva. Sono convinto che il vero potere delle parole sia quello di superare ogni immagine attraverso l’immaginario. Definito “creattivo”, ho imparato a lavorare proprio con l’immaginario grazie ai la boratori del maestro Stefano Benni. Per poi specializzarmi nel digitale. Ho insegnato fotografia e conseguito un Master allo IED di Roma in Comunicazione, Marketing, E-Commerce e Social Media, un Master in Restaurant Business and Management conseguito alla FIMAR Federazione Italiana Manager della Ristorazione e uno in Restaurant Innovation a Management presso la Giunti Academy. Ho studiato Podcasting presso il Centrostudi Giornalismo e Comunicazione, frequentando corsi di perfezionamento in Public Speaking e Comunicazione efficace. Non nego di essere uno Speaker radiofonico e un ideatore di Format in voce. Nel 2018 fondo il progetto Radio Food con quindici professionisti. Oggi continuo a dire che mi manca qualcosa…

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