Chi l’ha detto che, mangiar di magro, deve essere solo penitenza?
Nell’immaginario collettivo fare quaresima è sinonimo di penitenza, soprattutto a tavola. Non sarebbe neanche del tutto male per dare qualche settimana di riposo a fegato e ganasce esausti dalle fatiche carnevalesche. Il primo a pensarci fu San Benedetto, che iniziò a prescrivere delle regole di buona creanza dietetica. Precetti poi ripresi da santa romana chiesa ed estesi alle rispettive comunità. Settimane in cui era proibita la carne con i suoi derivati ma anche alcuni prodotti di lavorazione del latte. Poiché la difficoltà aguzza l’ingegno, la fantasia di molte cucine portò ad aggirare i dettami della penitenza.
Bisogna anche dire che, in molte comunità rurali, un uomo adulto consumava mediamente un maiale al mese e, questo, aveva non poche conseguenze sulla salute.
Ma alcuni elementari precetti di sana astinenza alimentare erano, oggettivamente, ineccepibili. Si aprì così la strada ad attenzioni gastronomiche nuove per la straordinaria biodiversità dell’agroalimentare nazionale, con qualche novità. Ad esempio il baccalà. Il nobile veneziano Piero Querini aprì le rotte verso i mari del nord nel 1432, favorendo un’autentica rivoluzione nella cucina veneta e Settentrionale. Ci pensò poi il Concilio di Trento ad esaltare il consumo dello stoccafisso, a lungo conservabile e quindi accessibile anche al ceto popolare. Mentre nelle terre serenissime troviamo il baccalà alla vicentina o quello mantecato alla veneziana, in Friuli ecco il baccalà alla cappuccina (oltre a cannella, uva passa, zucchero, vi è un insolito cacao amaro grattuggiato). Il tutto passato poi al forno.
In Liguria lo stoccafisso con zimino (cotto con le bietole), mentre in Abruzzo si trova il baccalà mollicato, lessato e poi infornato rivestito di mollica. A Napoli viene infarinato, fritto e passato al forno con pomodoro, capperi, olive, pinoli e uvetta, mentre a Roma lo si può trovare in guazzetto o in agrodolce. Tipico delle fastosità rinascimentali in Liguria il cappon magro, un tripudio di gusto e colori dove, su di una base di pane aromatizzato troviamo strati di verdure e pesci diversi, intervallati da salsa verde genovese.
Ma, tornando al cibo povero sulle rotte del nord-est, una citazione la meritano la renga e lo scopeton, tuttora piatti identitari. La “renga” altri non è che l’aringa, che arrivava dal mare del nord essiccata e salata. I più raffinati la suddividevano in “renga da late”, le più tenere, o “renga da uvi”, quelle con le uova. Classico l’abbinamento con la polenta oppure, più avanti, con i bigoli, grossi spaghettoni di pasta. Altra storia quella dello scopeton, ovvero la sardina di origine atlantica. Si appendevano al soffitto della cucina e lì, devotamente, ogni membro della famiglia andava ad ungere goloso la sua fetta di pane o di polenta. La scena è stata resa immortale da Ermanno Olmi nel suo “Albero degli zoccoli”.
Anche la pasta è divenuta protagonista di molti piatti della cucina quaresimale. La “Cucina di strettissimo magro” è una raccolta di oltre 400 ricette, pubblicata nel 1880, da padre Gaspare Delle Piane, dei frati minimi di San Francesco il quale ricordava come coloro che seguivano un oculato regime alimentare campavano bene e a lungo. Pellegrino Artusi, nel suo celeberrimo “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene” (1891) registra gli spaghetti della quaresima, con zucchero, noci, pan grattato e spezie, così come i ravioli di Faenza, con pasta all’uovo e ripieno di castagne, oppure la buzega, una zuppa di fagioli, castagne secche, patate e cipolle.
In Piemonte possiamo incrociare le lasagne di gran magro (ripiene di acciughe e parmigiano), scendendo in Toscana ecco le acquecotte maremmane così come gli gnudi, gnocchi realizzati con il ripieno dei ravioli, a base di ricotta e spinaci. A Napoli, il venerdì santo, è tradizione preparare la frittata di scamarro, un condimento fatto di capperi, pinoli, acciughe e olive. Il nome deriva dal contrario di “cammarare” (cioè mangiar grasso) e si può usare sulla pasta appena scolata, oppure come “frittata” condendo gli spaghetti facendoli dorare in padella sino a che non si forma una crosticina croccante.
Nella Sicilia quaresimale ecco il muffulettu, una pagnottina morbida a base di finocchietto selvatico, anice e cannella. Sempre in Sicilia troviamo il ragù chi patati, dove le patate vanno a sostituire la carne nel combinarsi con il pomodoro per non parlare della pasta con le sarde, divenuta un grande classico valido tutto l’anno.
E chi l’ha detto che in Quaresima bisogna negarsi qualcosa di dolce?
Ecco i quaresimali, di cui esistono diverse versioni. I più famosi in Toscana, o in Campania dove assomigliano ai cantuccini toscani così come i piparelli siciliani, per giungere poi nel Lazio con il maritozzo, una pagnottella passata al forno con pasta reale, miele, pinoli, canditi che, un tempo, era dolce matrimoniale, in quanto donato dai fidanzati alle promesse spose. Chiude il cerchio il salame quaresimale di Bra, in Piemonte, un pan di spagna arrotolato con pasta di mandorle, canditi e ricoperto di cioccolato.
Complimenti per la tua tenacia nell’impegno ad alleviare anche questo incerto e difficile percorso umano…dirottandoci verso succulenti orizzonti 😋👏👏👏