Stavo cucinando le trombette dei morti (Craterellus cornucopioides), funghi di colore grigio scuro che vira al nero nella parte interna…
Le Trombette dei morti sono simili ai finferli, ma con cappello e gambo cavo, definiti da un caratteristico sentore di tartufo, tant’è che essiccati e polverizzati sono utilizzati per aromatizzare primi e secondi piatti. Richiedono circa 20 minuti di cottura per ammorbidirne la consistenza tenace, vorrei dire, piacevolmente tenace.
Il nome funereo è probabilmente da ricercare sia nel loro colore cupo, sia nella stagionalità che trova il proprio top ai primi di novembre. Per quanto crescano anche in Italia non è facile reperirli in commercio freschi. Dove li avevo trovati? Per spiegarlo devo narrarvi una storia ambientata negli anni ottanta.
Arrivai a Parigi un venerdì mattina di fine ottobre e mi sarei fermato giusto due giorni perché sabato sera sarei ripartito per presenziare la domenica successiva a un matrimonio a Milano. Da la Gare de Lyon presi la metro sino a Place Saint – Michel, nel quartiere latino; qui mi infilai in rue Saint-Andrè-des-Arts per raggiungere il mio piccolo hotel.
Martine mi avrebbe ospitato, ma non intendevo in nessun modo esserle di peso e, a mia volta, volevo avere ampia libertà di movimento. E poi ero affezionato a quell’alberghetto, in particolare alla camera che avevo prenotato: all’ultimo piano, la porta finestra dava su una deliziosa terrazza che spaziava sui tetti del quartiere. Mi piaceva osservare i gatti che, passando, sbirciavano curiosi per verificare chi occupasse la stanza. Sulla terrazza, sorseggiando una tazza di caffè, mi accesi la prima Gitanes Maïs della giornata e mi dedicai alla lettura di Le Monde. Poi uscii.
Avevo qualche faccenda da sbrigare tra cui acquistare alcuni prodotti alimentari “esotici” poco reperibili a Milano. Passai per un mercatino di quartiere un po’ fighetto, non distante da Boulevard Saint Germain, dove vidi esposte intere casette di trombette dei morti, e tanta abbondanza mi stupì. Poi tra acquisti, shish kebab di montone con birra rossa per pranzo, vecchia conoscenza da andare a trovare, telefonate, aperitivo in zona Bastille, si fece sera.
Cenai con Martine. Mi portò in un ristorantino di Montmartre e, guardando la carta, mi spiacque non trovare nessun piatto cucinato con i funghi visti la mattina e che mi avevano incuriosito. Lo confidai a Martine la quale, un po’ stupita per la mia richiesta, mi assicurò che la sera successiva, se avessi accettato la sua ospitalità, me li avrebbe cucinati volentieri. I calici di Tavel Rosé si svuotavano con disinvoltura e, tra una portata e l’altra, i sorrisi di Martine alle nostre allusioni si trasformavano spesso in piccole risate.
Non era tardi quando arrivammo al portone di casa, vicino a Boulevard Rochechouart. Lei mi chiese allora se avessi dieci franchi da prestarle, perché aveva dimenticato di prelevare all’ATM e le serviva qualche spicciolo per la colazione l’indomani mattina al caffè sotto casa. Estrassi il portafogli dalla giacca e lei, fulminea, lo afferrò e imboccando di corsa le scale, dichiarò divertita di essere Cappuccetto rosso e con aria di scherno mi lanciò un provocatorio “prends-moi le loup si tu en es capable”.
E le loup la rincorse; man mano che le si avvicinava i gridolini di Cappuccetto rosso si facevano più frequenti e acuti; nel salire i gradini esponeva inevitabilmente le sue gambe nervose provocando ringhi rabbiosi e ciò la divertiva. Poi le loup lasciò che lei si allontanasse per lasciarle il tempo di aprire la porta. E Cappuccetto rosso l’aprì, ma appena entrata in casa le loup con una zampata spalancò l’uscio e con un balzo le fu sopra. E lei, non riuscendo a divincolarsi, indicando con la mano l’ingresso con voce strozzata bisbigliò “la porte”, quasi a pregare chissà chi di chiuderla “la porte, la por…” e poi fu il nulla: si dimenticò della porta, si dimenticò di tutto.
La mattina seguente, quando mi svegliai, vidi Martine seduta sul letto nel suo accappatoio bianco che mi guardava. “Allora” mi disse “non mi porti a fare colazione?”
La salle d’eau profumava ancora di Vetiver Daniel Josier. La personalità di una donna (di un uomo), si può evincere dagli arredi, dai libri, dai quadri alle pareti, ma anche dal bagno che può essere accogliente come bomboniera, profumato di cipria; minimale, con un fondotinta lasciato di fretta semiaperto sul lavandino e una matita per gli occhi buttata lì; alcuni espongono collezioni di cosmetici, di creme, di smalti. Il bagno di Martine era essenziale e lo spazzolino elettrico, il filo interdentale, il sapone termale, l’argilla verde e quella rossa, mi facevano pensare a un’attenzione alla cura della persona solo di riflesso estetica. Il suo luccicante rossetto rosso (transfer, ossia che lascia il segno) sembrava per contro imporsi quale letale strumento di seduzione, almeno per me. Mentre mi docciavo sentivo a tratti la voce irriverente di Guesh Patti cantare Etienne, disco d’oro in Francia con più di un milione e mezzo di copie vendute. Era una canzone osé che sottendeva un rapporto sessuale molto spinto, e la voce irriverente della cantante dava maggior enfasi al racconto.
Dopo colazione sotto casa, prima di accompagnarmi alla stazione della metro Barbès-Rochechouart, Martine e io passammo nell’attiguo mercatino molto più pop e folk di quello del quartiere latino. Lì acquistammo le trombette dei morti per la sera: infatti nonostante non mi piaccia cenare con una signora sapendo di non poter, nel caso, protrarre la serata, accettai di buon grado l’invito. Ci salutammo dandoci appuntamento sul presto perché il mio treno partiva verso le 23.00.
Alle 20 ero già da lei e vedendola… mi pesava dover partire di lì a poco. Stappammo una bottiglia di Sancerre. Aveva preparato una cena frugale e come piatto forte una super omelette con le trombette dei morti. Le aveva cucinate in padella, per poi aggiungerle alla preparazione quando era ancora baveuse, poco prima di piegarla, e per renderla più cremosa unì alcune fettine di Caprice des Dieux.
L’omelette era deliziosa e apprezzai i funghi non solo per il sapore delicato, per quanto aromatico, ma anche per la consistenza. Dopo cena, Martine mi propose un Calva, considerato che avevamo ancora un po’ di tempo. Poi inserì un cd nel lettore. Etienne cominciò a vibrare nell’aria. Martine mi raggiunse, si sedette cavalcioni sulle mie ginocchia, mi tolse il ballon di mano e mi rivolse un sorriso pirata, le labbra rosse luccicanti, gli occhi disegnati dal kajal, i capelli lisci neri, le note agrumate del vetiver, mentre Etienne… Etienne risuonava avvolgente nella stanza… e poi fu il nulla: mi dimenticai del treno, mi dimenticai di tutto.
Così il lunedì sera successivo, nella mia casa milanese, stavo preparando le trombette dei morti per condire le tagliatelle. Si possono trifolare come i finferli, io però adottai una procedura diversa che mi suggerì Martine quando, accompagnandomi al treno domenica sera, mi mise in mano un sacchetto di funghi. Ho pulito e poi sciacquato le trombette in acqua tiepida, le ho asciugate, tagliate e in padella, senza aggiunta di grassi, le ho fatte cuocere sino a farne evaporare l’acqua di vegetazione, poi ho aggiunto poco burro, le ho salate e le ho portate a cottura a fiamma bassa. A parte, in un piccolo tegame, ho fatto soffriggere nel burro un trito di aglio e prezzemolo, l’ho versato sui funghi e con questi ho condito le tagliatelle aggiungendo qualche dadino di burro salato. Le versai in un’ampia terrina, e fu allora che nel rievocare un’omelette parigina, mi parve di sentire un effluvio agrumato di vetiver e proprio in quel momento la radio annunciò un’hit parade musicale: se avesse trasmesso Etienne sarebbe stato troppo. Non esitai a spegnerla e, sereno, portai a tavola le mie tagliatelle.
...segui Fabiano.
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