Primo Piano

Povere creature!

Povere creature, ma non poveri personaggi!

Sei persone. Tante sono state quelle che se ne sono andate a metà del primo tempo. Contate. Altre quattro se ne sono aggiunte nel secondo, di cui una a due minuti dalla fine del film.
Quando hanno iniziato a uscire?

Quando Emma Stone impugna un frutto dal tavolo su cui sta facendo colazione e comincia a masturbarsi. Benvenuti nel mondo di Povere creature!

Che bel film. Non pensavo lo avrei apprezzato così tanto soprattutto, lo dico e non lo nego, essendo un film di primo acchito femminista. Prima che cominci lo shitstorm: non ce l’ho col femminismo. Ce l’ho con gli estremismi dentro ai quali può cadere l’ideologia di base (vedi alla voce “politicamente corretto”), così come con un prodotto artistico che, anziché portare lo spettatore a ragionare, lo indottrina. Nella quasi totalità la qualità è scarsa.
No, grazie.

Quindi perché le persone se ne sono andate dalla sala? Ipotesi personale: perché erano rimaste turbate. E a ragione: di carica perturbante, il film, ne ha parecchia.

L’intelligenza della pellicola, che è poi la sua parte più riuscita, sta nel prendere un tema condivisibile da tutti (la legittima autodeterminazione di una donna) mettendolo in scena con scelte stilistiche appetibili per pochi.
Nel film si fa sesso e se ne fa tanto, ovunque, in continuazione. Ma lo si fa con una lucidità (soprattutto verbale postuma al coito) che spiazza e prende in contropiede. Bella Baxter (interpretata da una Emma Stone superlativa) scopa come vuole e con chi vuole, nella più immediata e diretta concezione dell’assunto “il corpo è mio, me lo gestisco io”, ma le sue azioni non sono mai mosse da istinti autoreferenziali o da enfasi sentimentali. Bella scopa per capire e per capirsi, non per abbruttirsi e umiliare. Che sia perché attratta da un uomo o perché vuole guadagnarsi due soldi, il sesso, per lei, è analizzato al millimetro senza moralismi o sovrastrutture ideologiche.

In “Povere Creature!” una delle componenti più istintuali e primarie dell’essere umano – il sesso – è filtrata attraverso la ragione.

E qui prende piede il tema centrale del film: l’opposizione tra istinto e civilizzazione.

Il viaggio di Bella, non a caso momento che vira il film dall’elegante bianco e nero iniziale all’impressionista colore del resto della pellicola, è iniziatico e conoscitivo per se stessa (il film si apre e chiude nella casa-laboratorio di Godwin, un Willem Dafoe sublime e dolente sotto i kg di trucco) ma anche per evidenziare come il puritanesimo della società distopica di partenza (una Londra vittoriana immaginifica connaturata da salotti dell’altra società) sia una prigione dentro alla quale freme l’inconscio.

Si potrebbe pensare che le premesse portino a un ribaltamento dei meccanismi della civilizzazione. Invece il film è abbastanza intelligente da eludere tale banalità e si chiude, con un pizzico di prudenza camuffata sotto la divertente ironia della forma, con un ritorno della protagonista a casa, diversa e matura, al posto del padre che l’ha generata.

Vero è, però, che la credibilità finale acquisita da Bella non è legata alle (possibili) emozioni suscitate nello spettatore: Bella ottiene il proprio status in quanto si emancipa da un ruolo potenzialmente impostole da altri, ma anche perché decide di intraprende la carriera di medico, inserendosi dunque in un sistema nel quale, a differenza di quello prettamente relazionale, a contare sono le azioni.
Quindi, più che un film sul femminismo, come ho detto “in superficie”, questo di YORGOS LANTHIMOS è un film sulla libertà. Di scoprirsi, di sbagliare, di rialzarsi e di decidere. Il tutto, però, non distruggendo le istituzioni nelle quali si agisce, ma scegliendo autonomamente che ruolo ricoprire nelle stesse, adoperandosi per onorare quei passaggi indispensabili che portino a raggiungere l’obiettivo.
Il regista greco si muove su un terreno tutto sommato sicuro, optando per una difficoltà di decifrazione più formale che contenutistica. E nella forma si può trarre un piacere per lo sguardo assai appagante, con un continuo gioco di zoom, grandangoli, fisheye, iris che si alternano ogni tre per due, a volte per risolvere una sola sequenza, creando i tasselli di un mosaico deformato ma consapevole, dove trovare citazioni e omaggi dal cinema delle origini alle avanguardie moderne.
Un prodotto non per tutti, vuoi anche per la durata che poteva essere ridotta, ma dovendo scegliere tra l’andarmene rassicurato, rifugiandomi in un prodotto convenzionale, o il restare infastidito da un film non accomodante ma con qualcosa da scoprire, opto per la seconda.

...segui Giapietro.

IL PROFUMO 4.0

Previous article

Funghi: trombette dei morti

Next article
Gianpietro Miolato
Formazione letteraria, passione per buon cinema e buona cucina di cui scrive su riviste del settore e su PassioneGourmet, ha trovato nella settima arte la scuola di vita che la vita stessa non gli aveva fornito. Un legame sanguigno, con alti e bassi, spesso cinico, mai enfatico. In una parola: onesto.

You may also like

Commenti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *