Leader di un cambiamento
Sergio Marchionne era solito, nelle sue Lectio Magistralis, condividere un passaggio del libro di Murakami Haruki, Kafka sulla spiaggia:
Qualche volta il destino assomiglia a una tempesta di sabbia che muta incessantemente la direzione del percorso. Per evitarlo cambi l’andatura. E il vento cambia andatura, per seguirti meglio. Tu allora cambi di nuovo, e subito di nuovo il vento cambia per adattarsi al tuo passo. Questo si ripete infinite volte, come una danza sinistra col dio della morte prima dell’alba. Perché quel vento non è qualcosa che è arrivato da lontano, indipendente da te. È qualcosa che hai dentro. Quel vento sei tu. Perciò l’unica cosa che puoi fare è entrarci, in quel vento, camminando dritto, e chiudendo forte gli occhi per non far entrare la sabbia. Attraversarlo, un passo dopo l’altro. Non troverai né sole né luna, nessuna direzione, e forse nemmeno il tempo. Soltanto una sabbia bianca, finissima, come fatta di ossa polverizzate, che danza in alto nel cielo. Devi immaginare questa tempesta di sabbia.
Per M. l’unica cosa che si può fare, per affrontare il cambiamento, è entrare nel vento. Ma come affrontarlo? Cambiando mentalità e l’approccio alla gestione dei problemi.
La leadership che ha contraddistinto la sua carriera – la sua vita – non può certo considerarsi un talento ubiquitario.
Si circondava di uomini capaci, la formazione delle migliori squadre di lavoro era una delle sue ossessioni in ossequio al raggiungimento dei suoi obiettivi. Lo studio dei comportamenti umani lo rapiva salvo poi accentrare tutte le decisioni. Un atteggiamento che ne definisce i limiti? Chi può dirlo. Forse si trattava di una forma piuttosto contorta di piacere, S. voleva fare la differenza, ricordato ancora oggi come un leader in grado di cambiare il percorso delle cose. Vedeva possibilità che altri catalogavano come fallimenti. Il caso FCA è certamente uno di quelli. È riuscito in un’impresa impensabile ai più. Contro ogni pronostico e analisi finanziaria che davano Chrysler per spacciata e Fiat malata. Ottenere miliardi, aiuti e fiducia, dall’allora Presidente degli Stati Uniti d’America Barack Obama per far ripartire non una ma due aziende. Fatti che rispondono al quesito di un suo adepto, Tommaso Ebhardt: “Vale la pena passare ore su aerei e sacrificare parte della propria vita personale per inseguire i propri obiettivi?”
La consapevolezza di essere un leader lo rendeva pressoché immune agli attacchi, Marchionne era una persona abile a trovare soluzioni, umile a tal punto di mettersi e mettere sempre tutto in discussione. Dopo la crisi finanziaria del 2008 sapeva che il sistema produttivo europeo non ce l’avrebbe fatta, bisognava cercare nuovi fatturati all’estero; essere leader nel mercato interno non era sufficiente. Ecco spiegato il motivo della scelta di delocalizzare le produzioni di auto. «Così facendo “il sistema paese” ne risente.»
Il ricordo delle critiche mosse al CEO di FCA da sindacati o imprenditori del settore dell’automotive italiano è ancora forbito. Si trattava di una scelta coraggiosa, obbligata, per non fallire. L’operatività degli stabilimenti italiani era una voce di costo che non ci si poteva permettere. Successivamente, con il vento in poppa e liquidità, si è dato il là alla produzione della nuova Fiat Panda nello stabilimento di Pomigliano, che se pareva un “contentino” in realtà rientrava nel nuovo disegno di FCA, un’azienda multinazionale presente in diversi paesi del mondo, in cui la produzione di auto è parte del tessuto sociale, contribuisce al PIL e crea posti di lavoro. E l’Italia non poteva essere da meno, soprattutto se si guarda all’importanza che la Fiat ha avuto nel post dopoguerra. Restava una scelta antieconomica dal punto di vista degli utili ma necessaria, anche per inserire il Bel paese nel circuito internazionale con poli produttivi funzionanti ed efficienti.
- Fiat Panda, stabilimenti a Pomigliano.
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