Gli arabi la chiamavano Balad –el – fil, città dell’elefante. Ma anche l’’Etna, il mare, il sole, il Barocco, accolgono i visitatori che Catania attrae come una calamita.
Città dalle varie anime, da scoprire, che vive di dicotomie
È la città dove batte il cuore del Vulcano, dove convivono storia e tradizione, con un sguardo alla modernità e al futuro, e trova la sua unicità nel vivere in equilibrio tra il Mediterraneo e l’Etna: l’acqua e il fuoco, da un lato il vulcano più alto d’Europa, visibile da tutta la città e che può apparire splendido o terribile, a secondo dei casi e, dall’altro, il Mar Jonio.
Catania ha l’odore del mare, il sapore delle arance tarocco e l’odore della terra lavica
Città dal melting pot culturale, dai fenici ai greci e ai romani, dai normanni agli arabi, dagli angioini agli aragonesi fino ai borboni, Catania ha l’anima dinamica e vibrante legata indissolubilmente, in un rapporto quasi simbiotico, a quella del Vulcano, che sovrasta l’orizzonte e ne costituisce il suolo e i palazzi barocchi, con la pietra lavica ricostruiti dopo il 1693.
Tucidide ci tramanda che Catania fu fondata nel 729 a.C da coloni greci provenienti da Calcide Eubea: di quell’epoca sono rimasti il Teatro Greco e l’Odeon. Crebbe però come città romana, conquistata nel 263 a.C. e, per sette secoli, fu uno dei primi centri dell’Impero Romano.
Epoca testimoniata dall’Anfiteatro, dalle Terme Achilliane, dalle Terme della Rotonda e dalle Terme dell’Indirizzo, grazie a un efficiente sistema idrico che certifica l’alto livello di qualità della vita durante l’età Imperiale.
Ma, come l’Araba Fenice, Catania è destinata a rinascere sulle sue stesse ceneri, distrutta sette volte dalla furia dei terremoti e ricoperta dalla lava, è rinata sempre più viva e più bella di prima.
Il punto di svolta nell’era moderna è segnato il 9 gennaio e, con ulteriori scosse, l’11 gennaio del 1693, anno in cui un devastante terremoto distrusse Catania. L’eruzione del 1669, poi, cancella la città medievale e il terremoto del 1693 distrugge tutto: la città non esiste più.
Il compito della ricostruzione viene affidato a Giuseppe Lanza, duca di Camastra, un visionario moderno, come lo sono i catanesi, che sognava una città ideale con strade larghe e dritte. La pianta della nuova città barocca è infatti nordica, con vie che s’incrociano ad angolo retto grazie alla ricostruzione ad opera dell’architetto Gian Battista Vaccarini che progettò le case, le chiese, e i palazzi, in pietra lavica, più belli di prima, portando il centro storico di Catania, patrimonio dell’Unesco dal 2002, a essere quella meraviglia del Tardo Barocco Siciliano che è ancora oggi.
A Catania tutto parte da Piazza Duomo, perfettamente rettangolare, i cui lati sono occupati da edifici simbolo del potere religioso e civile con la cattedrale settecentesca dedicata a Sant’Agata, patrona della città, fatta costruire sui resti delle terme romane, nel 1078, da Ruggero d’Altavilla, e la facciata rifatta dal Vaccarini come anche il Municipio (e, a guardarci bene, la maggior parte della città).
Al centro della piazza c’è “u liotru”, l’elefante di pietra lavica nera di epoca romana simbolo della città, che porta sul dorso un obelisco egiziano sovrastato dalle insigne della patrona. Si racconta che il mago Eliodoro, negromante alchimista di Bisanzio che dimorò in città intorno al 725 d.C., cultore degli dei egizi, vivesse sotto l’elefante e volesse riaffermare le origini promiscue, ovvero senza freni inibitori, della città e dei suoi abitanti.
L’elefante, simbolo esoterico, si contrappone alla cattedrale, simbolo religioso e dedicato a Sant’Agata martire e vergine, Santa miracolosa, simbolo della cristianità: anche qui, il sacro e profano della città si contrappongono e si sfidano.
Città di antinomie, carnale e mistica, offre una vitalità gioiosa e un senso profondo del mistero, così Brancati spiega il modo di essere dei catanesi i quali, per la condizione effimera del domani, sotto l’eterna minaccia del Vulcano geneticamente insita nella memoria, amano i contrasti e gli estremi.
A Piazza Università troviamo il Siculorum Gymnasium fondato nel 1434 da Re Alfonso V d’Aragona, e ricostruito anch’esso dal Vaccarini, con un chiostro di spirito spagnolo e una biblioteca di 210 mila volumi di fronte a Palazzo di San Giuliano.
Al Castello Ursino è legata l’età dell’oro di Catania, dal 1296 al 1416, periodo in cui la città etnea fu capitale del regno di Sicilia edificato da Federico II di Svevia dal 1239 al 1250 che, sopra il ponte levatoio, fece scolpire l’aquila che ghermisce una lepre.
Meraviglioso, poi, il teatro lirico dedicato a uno dei figli più amati della città, Vincenzo Bellini.
Ma alle pendici dell’Etna fumante Catania non si ferma: città rock, elettrica, animata da un’energia particolare, cocktail di vivacità, intraprendenza e imprevedibilità, la città è oggi un ricco pullulare di iniziative imprenditoriali, con fortissima vitalità culturale: produzioni discografiche, talenti musicali dell’Etna Valley nonché polo tecnologico importante anche per lo sviluppo della vitivinicoltura etnea.
Una città di tendenza, dai ritmi spagnoli, capitale della movida italiana e, negli ultimi anni, una tradizione enogastrononomica altrettanto vivace ha portato a una costellazione di ristoranti di ottimo livello nonostante o forse proprio in virtù di un suolo che trema giornalmente a causa delle scosse telluriche, che per gli etnei rappresenta una normalità, da cui mutua l’epiteto “il sud che si muove”.
Ma l’innovazione e lo sguardo al domani non hanno intaccato la tradizione, il legame folle che lega i catanesi a Sant’Agata, patrona della città, considerata la terza festività religiosa più importante al mondo: giorno dell’apoteosi del sacro e del profano.
Tutti gli anni dal 3 al 5 febbraio la città si veste a festa e il solo pensiero è dedicato a Sant’ Agata che col suo Velo virginale, diventato rosso, in tempi passati bloccò la lava ed evitò l’ennesima distruzione della città.
Così la rievocazione prevede che migliaia di fedeli percorrano la città in tunica bianca, tirando il fercolo sul quale si trova il busto della Santa in un misto di devozione e folklore che attrae ogni anno milioni di persone.
Chi viene a Catania per la prima volta, allora, rimane colpito da molti elementi: dalla convivenza di Barocco e Liberty, dai colori, dai sapori, dai migliori arancini al mondo, che si trovano da Savia, e dalle granite… ma quando da Piazza Duomo si passa vicino alla fontana ottocentesca dell’Amenano chiamata dai catanesi “Acqua o linzolu” e ci si immerge nell’atmosfera orientale del famoso mercato del pesce all’aperto che noi chiamiamo “A piscaria”, tutto cambia e si entra in un’altra dimensione.
Il mercato rappresenta l’espressione più autentica della città
Un tripudio di colori odori, sapori, come in un suk mediorientale con gli street food locali, tipo tapas, piccoli ristorantini e, allo stesso tempo, un dedalo di banconi pieni di pesce fresco su balate di ghiaccio: tonni, pesce spada, e pesce azzurro poco conosciuto fuori dai confine dell’Isola, tra l’ironia del dialetto e le grida dei venditori, ritmate e intraducibili per i non autoctoni.
Si trovano anche negozi di frutta, formaggi e spezie dai colori sgargianti, bancarelle con le loro griglie all’aperto dette “arrusti e mangia”, sia di pesce che di carne di cavallo.
Catania è una città che è sempre stata paragonata ad altre città famose: dal Corso Italia, simile agli Champs Elysées di Parigi, al lungomare della Playa che ricorda Copacabana, a Rio de Janeiro, alla Milano del Sud per la vivacità imprenditoriale mentre, musicalmente parlando, è conosciuta come la Seattle europea e, per la movida notturna, tutti la considerano la Barcellona italiana.
[…] fu costruita tra il 1078 e il 1093 dal Conte Ruggero sui resti delle Terme Achilliane; di fronte, l’elefante in pietra lavica di età romana, emblema della città. Dai catanesi è chiamato “liotru” per la identificazione con il […]