Vertigini

Una poltrona a Barcelona

È stato uno dei più grandi divulgatori artistici, un narratore e un visionario, che ha appreso osservando tutte le azioni dell’uomo, sin dal Medioevo, da nesciente, per imparare a guardare, e poi comunicare, la sua sapienza come una sorta di direttiva esistenziale della libertà espressiva. Nel suo raccontare la storia d’Europa troviamo catalogazioni interpretative dei popoli, le cui critiche sono state un esempio per generazioni di studenti.


Amava “spostare le domande” e i “punti di vista”, il suo modo di “vedere” e “osservare” ha lasciato concezioni e consapevolezze applicabili in tutti i campi della comunicazione.

Le connessioni sono sempre state la sua forza: nel mondo dell’arte, ad esempio, ha ricercato i rumori nei dipinti ma lo stesso vale per la musica e i paesaggi. Gli appassionati di vino, ad esempio, possono vivere il suo trasporto per la natura, e le sue mutazioni, grazie alla descrizione di un territorio piemontese: “dalla prima torre costruita da Barbarossa si sale sempre più in alto, ed ecco il paesaggio perfetto delle colline del Gavi, con la vigna garbata che ha deciso di non invadere tutto. In questo paesaggio infinito dell’entroterra ligure, in contatto con il Piemonte, è nato uno dei vini più fini ed delegati d’Italia dal nome Cortese. Che strano mondo quello del vino, perché quando si decide di reimpiantare la vigna, dopo le catastrofi delle invasioni barbariche e longobarde, il vino si rimpianta bianco e con una parola facile da capire: cortese, una delle ipotesi più sofisticate del vecchio territorio europeo. Le vigne si distribuiscono intorno ai castelli e cambiano le linee delle colline. Il Gavi non è solo un vino, ma un paesaggio che vale la pena di scoprire.”

La sua geniale e illuminate comprensione dell’essere umano, ci ricorda la necessità di ricercare negli altri – e in ogni forma artistica –  i messaggi e i valori della vita.

I quadri ci racontano moltissimo, i dipinti ci raccontano di mondi eterni.

Adoreremo per sempre la sua umiltà nell’ammissione di non ricordare i propri scritti – dopo averli scritti  – una consapevolezza di non esser condizionati da alcuna energia, un’estraniazione dal mondo, un’automazione del pensiero che diventa una relazione con la penna o la tastiera. 

“Io mi rileggo e non mi faccio impressione”. 

Confidenze che insegnano a ricercare i propri limiti, e a raccontarli. Un talento della critica a cui ci ispireremo per sempre, sopratutto per il suo essere classico ma sempre contemporaneo, come una poltrona Barcelona. 

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Erika Mantovan
Laureata in Economia, nel suo viaggiare continuo ha compreso le virtù dei suoli e di tutto ciò che la natura può offrire. Ogni racconto è una trasposizione di emozioni provate nell’attimo della scoperta di ogni idea materializzata poi in vino, piatto o disegno. L’intensità delle parole usate è condizionata dall'ampiezza temporale del percepito sempre con un'approccio bidimensionale per prendere in considerazione la durata delle emozioni e della loro replicabilità.

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