Amo il mare, del mare mi piace tutto. Il profumo di iodio, la luce, le persone che ci abitano. Amo tutto tranne una cosa: l’andare al mare. La balneazione di massa davvero non la capisco, perché farsi del male?
La fila per il posteggio, la fila per pagare il posteggio, la fila per ritirare i lettini, la fila per comprare i panini.
Ovunque c’è fila, sulla spiaggia affollata. E anche in acqua non sei al sicuro. Perché la gente è così tanta, e lo spazio così poco, che non hai scampo nemmeno lì. La musica molesta, l’odore della crema degli altri, gli asciugamani, i racchettoni. Mi sembra tutto così fastidioso che a un certo punto concludo che il problema sono io. E quando il problema sei tu, l’unica cosa che puoi fare è togliere il disturbo.
Così mi rifugio in un luogo sacro, anzi, più di un luogo, un miraggio, il Valhalla di chifugge dalla balneazione selvaggia. La veranda. Non importa che sia quella del bar, quella di casa o dell’albergo. In veranda sei salvo. C’è l’acqua fresca, il silenzio, come minimo una sedia, e soprattutto c’è la cosa più importante. L’ombra.
Dalla veranda ricomincio a vedere le cose da un’altra prospettiva, tutto è di nuovo bellissimo. I gabbiani, il cielo terso, gli echi degli schiamazzi, che però sono lontani, molto lontani. Che bella la veranda, dove il momento topico è quello dello spuntino.
E se è vero che la vera merenda vuole qualcosa di dolce, niente è meglio di un nettare figlio del mare come la Malvasia delle Lipari passito di Fenech.
Nasce nelle Eolie, a Salina, su terreni che osservano il mare da una cinquantina di metri di distanza. Forse per questo siamo così affini. Francesco Fenech la produce in regime biologico, la vendemmia tardiva avviene dopo il 20 settembre e le uve maturano al sole prima della spremitura. La Malvasia delle Lipari, unita a un 5% di Corinto Nero, nella versione 2018 presenta il suo carattere aromatico con una tessitura fitta di richiami. Il primo, naturalmente, è quello del frutto. Dolce e carnoso, come si conviene per un vino passito di queste zone, ma non tanto quanto ci si aspetterebbe. Nel cesto della frutta, accanto all’albicocca, abbiamo una mela croccante e una pesca a pasta gialla.
La seconda direttrice è quella del mare, dove le note iodate “pizzicano” il sorso a intermittenza, creando movimento e allontanando il vino da un’impostazione totalmente poggiata sulla dolcezza. La trama dinamica del passito di Fenech trae la sua forza anche da una gradazione moderata: 13,5%, che per un passito è un tenore alcolico decisamente contenuto. E lo stesso vale per gli zuccheri totali, che si attestano intorno alla metà rispetto a molti vini della stessa zona e tipologia. Libera da eccessive morbidezze, questa Malvasia delle Lipari si libra in volo esplorando una miriade di altri orizzonti. L’intensità sottile e verde dei capperi, altre note vegetali che sfumano calde verso il fieno, i profumi profondi della macchia mediterranea e la ghiotta fragranza del croccante di mandorle. E poi ci sono i sentori della veranda, quelli della vegetazione intorno portati dal vento, del bucato steso poco lontano, o della ricetta dei vicini che stanno cucinando.
In questo luogo che non è né dentro né fuori, né casa né giardino, anche il tempo sembra sospeso. Invece piano piano la luce cambia, il bicchiere si svuota e da lontano si sente la voce di qualcuno che sta per arrivare. “Cosa fai qui da solo? Non ti trovavamo più”.
La domanda è sempre la stessa, le risposte cambiano ogni volta. Ero stanco, aspettavo una mail di lavoro, dovevo andare in bagno. Una cosa è certa: nessuno saprà mai come fuggo dalla spiaggia e i segreti del mio saluto all’inglese. Quando, senza dire niente a nessuno, prendo e scivolo via come un’ombra verso la veranda.
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