XXXV Time in Jazz, Berchidda & dintorni
Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto. Con i suoi inconfondibili titoli, Lina Wertmüller nel 1974 ci raccontava di un’assurda disavventura, con Mariangela Melato e Giancarlo Giannini, splendidi interpreti in una splendida location (come si dice oggi), apparentemente esotica, ma che altro non era che Cala Luna, nel Golfo di Orosei, fra i comuni di Dorgali e Baunei, nella costa orientale della Sardegna, in provincia di Nuoro, raggiungibile da Cala Gonone.
Quella stessa Sardegna che ho potuto scoprire da ragazzino, proprio in quegli anni. Era ancora poco frequentata, talvolta quasi selvaggia, prima che le più rinomate località turistiche di oggi divenissero tali. Ma non è questa la Sardegna che oggi desidero raccontarvi. Ci dedicheremo a un mondo che parte dal passato, fatto di pastorizie e tradizione e che arriva fino a noi, fra i produttori di pecorino e le cantine del Vermentino di Gallura. Ma che senza sorprendersi più di tanto, è anche una Sardegna Jazz. La Sardegna Jazz di Paolo Fresu.
Quando ero piccolo, con mio padre, ero fierissimo di andare a conferire il latte delle pecore appena munto.
Con l’avvento della XXXV edizione di TIME IN JAZZ (7-16 agosto 2022), il festival voluto da Paolo Fresu nel lontano 1988, possiamo per un momento accantonare queste piacevoli nostalgie, perché oggi l’evento culturale di Berchidda, secondo uno studio di Confcommercio, rappresenta un indotto netto sul territorio di 3 milioni di Euro (dati pre-Covid). Ed è costituito da tante realtà che si sovrappongono, fra musica, letteratura, cinema e arte nel senso più allargato e sociale. Un lungo cammino che passa attraverso la nascita dell’associazione omonima Time in Jazz, nel 1997, costituita da professionisti e volontari che hanno reso possibile il festival. E poi dai cittadini di Berchidda che diventano soci e contribuiscono attivamente agli eventi che oggi includono altri 20 comuni limitrofi, dal palco principale in paese, fino ai tanti luoghi di interesse, alla scoperta del territorio, in una sorta di migrazione del pubblico coinvolto. Ruotano attorno al festival, attività collaterali come Shortime, La prima rondine in cui la musica Jazz incontra il Pop, P.A.V. (Progetto Arti Visive), CasArte, solo per citarne alcune, ma anche iniziative di respiro nazionale, come Jazz Rail, I luoghi del Jazz, JazzIsland for Unesco che vede Paolo Fresu in veste di ambasciatore del Comitato Giovani Unesco.
E abbiamo iniziato una ventina di anni fa, a fare anche le bottiglie.
Liberamente tratto da ciò che Paolo Fresu ha incontrato durante alcuni tour francesci, anche a Berchidda già da molti anni sono state introdotte le bottiglie celebrative del festival, in collaborazione con la cantina di Giovantinu e le atre aziende vitivinicole sorte nei decenni sul territorio. Allora visto che siamo in tema, introduco una bottiglia di metodo classico, nel nostro incontro milanese, all’indomani di uno splendido concerto al Blue Note del Paolo Fresu Quintet.
È il FRANCIACORTA BOSIO Pas Dosé Riserva “Girolamo Bosio” DOCG dalla lunga sosta sui lieviti. Unitamente a un’immancabile punta di Parmigiano Reggiano di 48 mesi, selezione Nonno Contadino (Reggio Emilia). E iniziamo proprio da lì, dal quintetto Jazz più longevo d’Italia. Anzi d’Europa. Sicuramente. Roberto Cipelli al pianoforte, Tino Tracanna al Sax, Attilio Zanchi al Contrabbasso ed Ettore Fioravanti alla batteria, sono assieme ufficialmente dal 1984, quando la loro unione fu sancita dal primo disco, Ostinato.
Non è mai cambiato il gruppo. Siamo cambiati noi, ovviamente. Siamo maturati. Adesso registreremo un nuovo disco che uscirà nel 2024, sempre con la stessa formazione, per festeggiare i 40 anni.
In questo progetto verranno però coinvolti anche i mebri dell’altra formazione con cui Fresu ha percorso tanta strada, il Devil Quartet di Bebo Ferra, Paolino Dalla Porta, Stefano Bagnoli. Sarà un disco doppio in cui entreranno in studio tutti assieme, lavorando su due repertori diversi, ma poi ci saranno degli scambi.
Dei “travasi” di persone, quindi Bagnoli farà un pezzo col quintetto, magari con due batterie, Tino Tracanna farà l’ospite in un brano dei Devil, Bebo Ferra farà l’ospite…
All’indietro, Paolo Fresu (classe 1961), ha iniziato la sua carriera a Siena, prima come allievo, nel 1980, subito dopo come docente. Attorno ai seminari di Jazz ruotavano grandissimi nomi, ma il caso vuole che non ci fosse un trombettista. Potremmo considerarla proprio una sorta di carenza d’organico italiana, di quel periodo lì. Sì, certo, c’era Enrico Rava, ma lui stava sull’Olimpo. E in ogni caso appartiene a un periodo precedente.
Partivo dalla Sardegna giovanissimo, in Sardegna non c’era nulla per il Jazz. Ho preso il treno, la nave, il treno… e sono arrivato a Siena.
Un insieme di innumerevoli incontri, di tante strade (e treni e navi) che si incrociano, di tanti nomi e luoghi. Una difficile trama che si srotola, che poi rende possibile, anno dopo anno, una vita artistica così intensa. Provare quindi a condensare in queste poche righe l’universo musicale di Paolo Fresu, forse non ha molto senso.
Sorseggiamo. E godiamo della profonda complessità del Parmigiano-Reggiano che si fonde con le bollicine e ci aiuta a trovare una chiave di lettura. Credo dunque che per una volta, per un incontro così straordinario, sia più significativo cercare l’essenza, quel luogo dei punti, se fosse un concetto matematico, che fa confluire tutto in un unico fulcro energetico.
Riprendiamo così a modello il pianeta del quintetto. E lo definisco pianeta per esaltare l’iperbole geografica che lo caratterizza. Uno di loro è di Roma, l’altro di Bergamo; uno di Cremona, uno di Milano. E poi Paolo Fresu, dal cuore della Sardegna.
Per me, una volta arrivato in Continente, il mondo era tutto uguale e tutto vicino, per cui non era un problema, cinque musicisti che arrivavano da diverse parti.
Al di là delle doti individuali, quello che ha determinato tutta la vitalità e la longevità del Quintet è soprattutto una grande capacità umana, che poi traspare dal vivo. Mi pare, in una parola sola, che si tratti davvero di Sychronicity e innesto una contaminazione Pop, citando il quinto ed ultimo disco dei Police, del 1983, con i testi a tratti criptici di Sting:
Synchronicity
A connecting principle
Linked to the invisible
Almost imperceptible
Something inexpressible
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