Primo Piano

Boiling Point

Dissolversi e (non) ritrovarsi

Boiling Point ovvero Punto di ebollizione: stato termodinamico che dà vita al fenomeno di vaporizzazione. Vaporizzare, perdere consistenza, trasformarsi da solido a gassoso, disperdersi.

Il titolo del film – Boiling Point – non poteva essere più adeguato.

La serata di Andy al Jones & Sons non è una semplice fotografia della vita quotidiana all’interno di un ristorante; quella di Andy è una vera e propria discesa all’inferno.
La scelta di riprendere la vicenda con un unico piano sequenza poteva dar seguito a critiche formali, basate sullo sfoggio di una tecnica fine a se stessa. Il rischio c’era, esempi come 1917 sono lì a dimostrarlo. Eppure Philip Barantini supera l’ostacolo con agilità e intelligenza, utilizzando l’approccio “dal di dentro” garantito dalla tecnica, per scandagliare lo stato d’animo del suo anti-eroe.
Andy è un personaggio tormentato e irrisolto. Dai primi minuti, con l’arrivo in ritardo al ristorante mentre, al telefono, tenta di scusarsi con la compagna, capiamo a cosa andrà incontro. Mdp a mano, concitazione, discorsi che si contraddicono, mancanza di lucidità. Andy è sul punto di scoppiare. Il resto del film è la personale discesa all’inferno di un uomo che, prima di tutto, è vittima di se stesso.
La bellezza del film risiede nella capacità di trasformare il ristorante in un organismo vivo e mobile, un corpo pulsante e vitale, formato da piccoli tasselli che si incastrano l’uno con l’altro per infondere energia e movimento a un tutt’uno altrimenti statico.
Coi piani sequenza il montaggio è interno. Non più stacchi di inquadratura ma passaggi da un luogo a un altro o aggiunta o sottrazione di attori all’interno del set.
Il protagonista è Andy, tuttavia la mdp non gli sta sempre addosso, si muove dalla cucina al retro, dai tavoli al bar, dall’ingresso al magazzino. Oltre a conferire un preciso ritmo narrativo, la scelta dipinge le specifiche del mondo in cui è inserito il capo-cuoco. E il ritratto che ne esce è desolante.

Il glamour lascia spazio all’oblio, la gioia alla frustrazione, le competenze all’invidia. In meno di un’ora e mezza viene ripresa l’umanità a 360°, capace di slanci e idealizzazioni come di cadute e meschinità.

Andy si rivela perno e riflesso di ciò che vediamo: incapace di darsi una direzione, impossibilitato nel darsi una linea che lo indirizzi verso un obiettivo, Andy vaga di sala in sala, senza scopo, iniziando decine di operazione senza terminarne una, delegando la responsabilità del proprio ruolo a persone inesperte e fragili, per certi aspetti pericolose – la scena dell’olio di noci è devastante.

Oltre ai movimenti di macchina, capaci di rendere con precisione l’inquietudine di Andy, ci si mette anche la successione degli eventi, orchestrata con un climax ascendente teso alla dissoluzione; il punto di ebollizione.
Andy scompare, assorbito dal peso degli eventi: l’incapacità di gestire lo staff, i problemi coi clienti, le superficialità burocratiche, il collega ora star televisiva verso il quale ha 200.000 sterline di debito, tutto concorre a martoriare il protagonista che, semplicemente, cede.
Difficile descrivere il senso di sconfitta che si respira di fronte alla sequenza finale: Andy si rifugia in magazzino dopo il disastro della serata, beve, sniffa, si pente, vomita, cerca redenzione con la compagna, esce e crolla. Le voci fuori campo, sul nero dello schermo, tentano di rianimarlo. Non sappiamo se lo svenimento preannunci la dipartita o meno.

Il dubbio non è semplificazione ma introspezione.

La cucina del Jones & Sons è eponima del mondo nel quale ogni essere umano tenta di trovare un posto, un equilibrio per definire se stesso in relazione con gli altri.

Mancando la capacità di percepire innanzitutto chi sei tu per te stesso, e poi di riflesso verso il mondo, come puoi proseguire a schiena dritta? Non puoi, difatti cedi.
Andy crolla, cade in balia degli eventi che lo circondano incapace di chiarire chi vuole essere nel momento in cui esiste. La fluidità delle immagini ci immerge in questo turbinio auto-sabotante dai contorni inesorabili e letali, dove non si salva nessuno.
La finzione di certo mondo della cucina mainstream è solo la superficie di una più radicata analisi interiore focalizzata, sempre e comunque, sulla persona.
E che persona è Andy?
Una Ur-persona al centro del mondo, succube dello stesso e consapevole della propria inconsapevolezza.

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Gianpietro Miolato
Formazione letteraria, passione per buon cinema e buona cucina di cui scrive su riviste del settore e su PassioneGourmet, ha trovato nella settima arte la scuola di vita che la vita stessa non gli aveva fornito. Un legame sanguigno, con alti e bassi, spesso cinico, mai enfatico. In una parola: onesto.

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