Delicatessen

La Brandade

Settimana scorsa ero ai fornelli alle prese con la brandade. 

La lavorazione è lunga: occorre mescolare il baccalà, mentre cuoce, per almeno tre quarti d’ora, sino a ridurlo quasi a crema. La fatica è però ampiamente compensata dalla bontà della preparazione. E mentre rimestavo ricordai che il primo incontro con la brandade non fu amore.

Mi trovavo vicino a Usèz, nell’avignonese; le pescherie del Midi vendevano, e vendono, la brandade in lattina; incuriosito da questa specialità ne acquistai una e all’assaggio rimasi francamente deluso.

Lo dissi a Sylvie, la mia vicina, la quale mi promise che entro breve mi avrebbe fatto ricredere.

Abitavo in un paesino di poche case di pietra arroccate. Per arrivare alla mia abitazione occorreva percorrere un sentiero in forte pendenza che separava la casa dal suo ampio terrazzo affacciato sulla brughiera. Sylvie viveva poco più in basso dove il terreno è pianeggiante in una dimora padronale con annessa una piccola scuderia.

Sylvie mantenne la promessa e pochi giorni dopo preparammo la brandade nella sua ampia cucina riscaldata da un grande camino.

Dispose in una casseruola un filetto di baccalà ammollato, lo coprì a filo d’acqua, al primo bollore lo sgocciolò e lo spezzettò in un tegame.
A parte scaldò latte e olio d’oliva. Lei mescolava mentre io versavo, alternandoli, latte e olio; involontariamente le sfiorai con il viso i capelli e ne avvertii il profumo che inizialmente stentai a riconoscere, ma poi si delineò: mi ricordava la fragranza delicata delle pannocchie di mais, o meglio, dei filamenti che le ricoprono, dolce rievocazione di furti campestri pre-adolescenziali.
Quando la preparazione divenne cremosa, ma non perfettamente perché deve essere un po’ “ruvida”, spenta la fiamma mi propose di onorare la brandade il giorno successivo perché preferiva che la gustassi fredda.
Così organizzammo un aperitivo all’ora di pranzo sulla mia terrazza, nonostante fosse novembre, grazie a un sole ancor caldo.
il terrazzo della casa, separato dall’appartamento

La mattina successiva, era sabato, andai al mercato settimanale di Usèz dove acquistai qualche dozzina di ostriche e un tartufo nero.

All’ora di pranzo, mentre aprivo le ultime ostriche sul terrazzo, arrivò Sylvie con la “nostra” brandade, suo marito ostentava una bottiglia di Pinot Noir Crémant d’Alsace e la mia compagna portò un vassoio di fettine di baguette appena sfornate.

Mentre il marito di Sylvie stappava la bottiglia e la mia compagna gli portava i calici, spalmai uno strato di brandade su un fettina di pane caldo, con il dorso del cucchiaio formai un incavo dove vi feci scivolare un’ostrica e terminai con qualche lamella di tartufo.

Sylvie mi stava osservando.

Mi avvicinai a lei, le porsi la tartina, lei la prese, la guardò, mi guardò, mi sorrise e sussurrò “tu es fou” e non si riferiva alla tartina, ma… ma il Maestro mi diceva sempre che quando si cucina non si deve pensare ad altro e, aggiunsi io, né alla Francia né alle donne, anche perché la fase conclusiva  in cui ero ormai arrivato richiedeva la mia attenzione. 

Infatti, per stabilire se la brandade è pronta  oltre alla vista utilizzo l’olfatto: inizialmente gli odori di latte, di olio e di baccalà sono separati e distinti, poi iniziano a mescolarsi, quindi si fondono in un unico profumo ed è solo allora che l’opera può ritenersi compiuta.

Ma il momento magico, l’attimo fuggente che decreta la fine della cottura con precisione cronometrica, arriva quando colgo un lieve, quanto fugace, ma incredibilmente piacevole profumo che mi ricorda le pannocchie di mais, o meglio, i filamenti che le ricoprono.

Le dosi:
500 g di baccalà ammollato;
3 dl di olio extra vergine d’oliva;
1,5 dl di latte intero 
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Sir Thomas Sean, Sean Connery

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Fabiano Guatteri
Di poche parole, scrittore e giornalista, direttore editoriale della testata Good-Mood (www.good-mood.it), collaboro con la Guida I Ristoranti d’Italia de l’Espresso. Ho insegnato Gastronomia Sperimentale presso il Dipartimento di Chimica Farmaceutica dell’Università di Pavia. C’è dell’altro, ma basta così.

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