L’età repubblicana
L’esordio dell’Italia repubblicana tra le cucine e i banchetti del Quirinale non fu così facile, complici i tempi di una ricostruzione dalle macerie della guerra ma anche per l’arrivo al soglio presidenziale di una figura riservata quale Enrico De Nicola, che non era un particolare amante della convivialità.
Di quei tempi esistono rare tracce di menù ufficiali, con alcune note di colore.
In un pranzo a Venezia la lista offriva il Prosciutto di Parma, i carciofi alla romana e financo il pollo alla valdostana, ma nessuna memoria delle sarde in saor o delle seppie in umido e anche il Prosecco era, ancora, un carneade della vigna.
Poco tempo dopo si replica a Firenze. Stavolta le vigne toscane onorano i calici ma giusto per accompagnare i ravioli alla genovese o i petti di pollo alla parigina. La linea austera prosegue con Luigi Einaudi, piemontese di Carrù, con tenute a Dogliani. I libretti del menù erano limitati al minimo indispensabile, stemma della Repubblica compreso. Divertente, il contrasto tra i discreti raviolini in brodo e una pollanca del Valdarno alla luculliana. Sui vini, le Langhe in giusta evidenza, mentre il convivio spesso terminava con cestini di frutta tanto che fu celebre l’episodio in cui il Presidente stesso, dopo aver tagliato a metà la sua mela, chiese, molto cortesemente, e molto sportivamente, chi gli volesse fargli da spalla.
Con l’arrivo del pisano Giovanni Gronchi l’Italia uscì dagli anni dell’emergenza e si aprirono diverse occasioni di incontri ufficiali.
Ad accompagnare la visita di Soraya di Persia uno splendido servizio di ceramiche di Meissen con un menù coordinato da motivi floreali. Ma l’Italia venne onorata in tutte le sue bellezze anche dalla grafica del menù predisposto, a Londra, dalla regina Elisabetta, con tanto di invito a replicare i gran tour dell’età romantica.
In questo periodo, anche la cucina nazionale va alla riscossa: ambasciatrice l’aragosta che viene servita in bellavista a Charles De Gaulle; in gelatina al presidente del Perù, Manuel Prado, e in spuma alla Regina d’Inghilterra.
Con Antonio Segni l’attenzione si focalizzò nel coordinare la grafica dei menù con il servizio in tavola. Ecco allora dei cartoncini bianchi, filettati in oro, che ben si accompagnavano al servizio tardo ottocentesco di Richard Ginori mentre l’altro, incorniciato con ghirlande di fiori, era ben abbinato agli “uccelli e insetti” della manifattura di Meissen e ai “fiori policromi” realizzati a Berlino. In alternativa alla storica etichetta dei brindisi finali, Ruinart, arriva Möet et Chandon.
Giuseppe Saragat, da buon piemontese, preferiva i ravioli e le trote, meglio se valdostane. Alla regina Giuliana d’Olanda vennero così servite una vellutatina di pollo alla reale e un misterioso spumone arlecchino.
Con Harold Wilson, invece, il menù Italia recitava uova alla genovese e fagiano tartufato. Fu l’occasione in cui, allo stappo delle bollicine per il brindisi finale, venne il turno di un altro marchio storico, affidato alla maison Krug. Si andò poi oltre con Giovanni Leone, che sdoganò finalmente lo spumante anche se la cosa curiosa è che, tra gli eleganti menù decorati da motivi floreali, quasi mai apparvero piatti napoletani.
Sandro Pertini era tenuto costantemente a dieta dai suoi archiatri presidenziali, ma divennero famose le sue esternazioni fuori spartito, e difatti ogni tanto si divertiva a stupire il cerimoniale con qualche comanda corsara di piatti dal bollino rosso. Uno su tutti, il babà allo zabaione. Fu alla sua tavola che il premio Nobel Carlo Rubbia ebbe l’onore di un evento dedicato così come, con Elisabetta d’Inghilterra, ospiti d’onore ambasciatori italiani di grande talento quali Riccardo Muti (al tempo Direttore della Filarmonica di Londra) e il pittore Pietro Annigoni, fresco di nomina quale pittore di corte. Per festeggiare vol au vent all’ammiraglia e tacchino novello ripieno.
Fu con Pertini, peraltro, che il cerimoniale si arricchisce di un significativo ventaglio di novità.
Dei cordoncini colorati che non solo servivano a tenere assieme i fogli del menù ma, essendo doppi, uno aveva i colori della Repubblica, l’altro quello della bandiera dello stato ospite. Francesco Cossiga, che si sentiva sì italiano ma, soprattutto, sardo, era un goloso picconatore di bottarga e altre squisitezze dell’isola, come ricorda Pietro Catzola, chef dell’Amerigo Vespucci, arruolato seduta stante ai fornelli del Quirinale dopo che il Presidente in persona aveva assaggiato un suo intrigante maialetto, durante un evento a Cagliari.
Marianna Scalfaro, figlia del Presidente Oscar Luigi, fu una importante innovatrice.
Volle si creassero degli orti a Castel Porziano, residenza estiva, quali risorsa per la fornitura delle cucine presidenziali che rinnovò con il meglio della tecnologia moderna. Non solo, ma diede luogo a una nuova e inedita serie di menù che riproducevano in copertina importanti arazzi e affreschi del Quirinale. La copertina dagli angoli arrotondati portò a trasferire i nomi degli ospiti all’interno e, fatto del tutto inedito, il menù fu scritto in doppia lingua: italiano e quella del paese ospite.
Si iniziò con il presidente finlandese Martti Athisaari, il 26 gennaio del 1997, con cui si passò a tre portate per un tempo di servizio complessivo di quarantacinque minuti, in modo da permettere il regolare svolgimento del complesso protocollo ufficiale tra i saluti iniziali nella sala del Brustolon, da cui ogni anno il Presidente registrava gli auguri al Paese. La presentazione degli ospiti avveniva invece nella Sala dei Corazzieri, dove si svolgevano anche i saluti finali, accompagnati da un buon caffè.
Tradizione, quella dei menù artistici, proseguita sotto la presidenza di Carlo Azeglio Ciampi con una simpatica sinergia, quella tra la signora Franca e il già citato cuoco Catzola. L’una, emiliana, a insegnare lui i segreti della pasta fresca tirata al mattarello e del caciucco livornese, omaggio all’illustre consorte; l’altro, a ricambiare con fregula e maccarones de busa (pasta tipica dell’Ogliastra). Una cucina frugale, quella dei coniugi Ciampi, che però seppe dare la zampata del leone proprio a Londra, nell’Ambasciata italiana, ospite di nuovo la Regina Elisabetta. Da un risotto mantecato con ragù di crostacei a un carré di vitello marinato agli agrumi, una pera aromatizzata alla cannella con zabaione al Marsala.
Giorgio Napolitano è ricordato da tutto lo staff come uno dei Presidenti più sensibili a valorizzare questa preziosa risorsa del nostro paese, che passa per la sua cucina e il servizio di sala.
Mentre la moglie Clio emulò Franca Ciampi trasmettendo i segreti del cardone (una zuppa di cardo), il Presidente è stato un estimatore di piatti semplici quali gli spaghetti al pomodoro o la lasagna napoletana, ma pure curioso, autorizzando la cucina a proporre un piatto di prova alla settimana, ma sempre nel segno della tradizione italiana.
Infine, l’attuale presidente Sergio Mattarella, siciliano dai gusti estremamente semplici, quelli di una cucina quotidiana che passa per le zuppe di legumi e verdure, timballi, polpettine al pomodoro o involtini di carne.
Un lungo viaggio, quindi, tra la storia della cucina del Quirinale, che si può ammirare, anche senza essere invitati in tenuta da gran soirée, visitando i locali di una residenza che ha moltissimo da far vedere, a partire dalle sale delle Vaselle, dove sono custoditi ed esposti tutti gli arredi che hanno allietato i pranzi dei potenti della terra posto che, oramai da anni, tutto quello che fa parte del servizio di sala è copia perfetta degli originali, custoditi al riparo dagli insulti del tempo.
Infine fa piacere ricordare anche un altro aspetto, che potrebbe sembrare inusuale per un luogo di tale eccellenza, tanto che, come ricorda Fabrizio Boca, altro chef del Quirinale, le porte delle sue cucine si sono aperte a stage di formazione di giovane studenti di cucina nonché a programmi di sostegno verso ragazzi con disabilità, ben felici di essere utili in molti lavori di supporto alla cucina.
* In copertina, il Quirinale.
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