Il Naturale
Pensateci.
Credete che sia un caso che questa smania per i vini naturali ci abbia investito proprio in questo momento storico?
E credete sia un caso ch’essa riguardi, nei suoi esiti, più le nuove che le vecchie generazioni?
Ma non mi si fraintenda, che diamine, non parlo di “giovani” anagraficamente, bensì di giovani bevitori, ché tali si può essere anche a settant’anni; parlo di gente per cui il vino è cosa nuova: di amatori implumi, immemori delle annate, ignari della filologia imposta dal “territorio” come immemori sono, a tal proposito, anche i vini ch’essi bevono troppo impegnati come sono a scambiare il fine – ovvero il vino stesso che del territorio dovrebbe essere la più esatta e nobile sublimazione – col mezzo – ovvero il suo metodo.
In questo senso, i sostenitori del vino naturale sono più burocrati di quelli che, invece, bevono per edonismo e sono fanatici perché agitati da una strumentalizzazione – ogni strumentalizzazione è una strumentalizzazione politica – che fa credere loro di bere meglio e, quindi, più legittimamente.
Chiaramente, le insidie di questo modo fazioso di bere ledono il mondo intero.
In primo luogo ledono loro stessi che, bevendo non col proprio palato ma per partito preso, rinunciano alla costruzione di un loro gusto e, di conseguenza, a una delle poche occasioni di costituirsi come individui liberi che ci resta.
In secondo luogo ledono il mondo del vino che, per compiacerli – a loro, che sono pur sempre nuovi consumatori – cederà alla superstizione del metodo – che invece è cosa sterile sempre, sia che si tratti di temperatura controllata in acciaio inox che di macerazioni, fermentazioni spontanee, vitigni autoctoni e così via – eretto a garante di qualità certa.
E di certo in barba al vino stesso che, così facendo, scompare, obnubilato da ragioni politiche e pertanto implicitamente antitetiche al concetto stesso che tanto difendono: quello di natura.
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