La citazione è di mia mamma, e difatti il rapporto che lega me, come tanti altri catanesi, a Sant’Agata è personale, intimo, profondo, segreto, certamente viscerale; sicuramente alla santuzza mi lega il mio essere catanese 100%.
La devozione è forte, è un amore eterno che brilla dentro. Il 4 e 5 febbraio e il 17 agosto sono delle date scolpite nel mio cuore e in quella dei catanesi devoti, perché quello con Sant’Agata è un appuntamento al quale non si può mancare. Lei non ci abbandona mai, ci aspetta e si aspetta che noi siamo lì quando esce dalla sua cameretta. Arriviamo da tutto il mondo, ma per noi catanesi la vicinanza alla Santa non conosce limiti né temporali, né spaziali e si fa di tutto per esserci.
Poiché quest’anno non potrò incontrarmi con la Santa, per gli ovvi motivi sociali, non mi resta che scriverne.
Catania è una città levantina, all’avanguardia, ma l’innovazione non ha intaccato la tradizione e ogni anno dal 3 al 6 febbraio mattina, celebra la sua patrona. Le celebrazioni si ripetono da secoli fra esplosioni di fede, coinvolgimento mistico e festeggiamenti di piazza, è un misto di sacro e profano, tra fede e superstizione, tipico esempio di cultura popolare.
È uno dei momenti più attesi dell’anno, forse il più atteso: è la festa delle feste, la devozione a Sant’Agata è totale, fede assoluta, senza distinzione di genere, di età, di colore e di status sociale.
L’approssimarsi della festa è un’emozione ogni anno più forte che unisce tutti I catanesi alla santa con un sentimenti di devozione differenti, e attraverso la festa il popolo catanese esprime la propria identità, è il momento in cui ognuno esce dalla condizione di singolo individuo per trasformarsi in comunità, cosa che non succeede quasi mai, tranne quando gioca il Catania.
È la terza festa religiosa al mondo per partecipazione popolare, circa 1 milione di persone, tra locali, catanesi espatriati e turisti arrivati da tutto il mondo.
L’evento è secondo solo alla festa di Santa Rosa a Lima in Perù e alla “Semana Santa” di Siviglia in Spagna.
La vita di Sant’Agata
Agata, nata a Catania e vissuta nel III secolo dopo Cristo, era una giovane bella e bionda di nobile famiglia. Il console romano Quinziano, governatore della città, si invaghì di lei per la straordinaria bellezza ma fu respinto poiché Agata era consacrata a Gesù. Quinziano non accettò di essere respinto e ordinò di arrestarla in quanto cristiana. Fu quindi costretta a subire la persecuzione dei Romani: prima fu mandata in un postribolo, dove conservò miracolosamente intatta la propria verginità, poi fu incarcerata e torturata. Quinziano, adirato dalla serenità con cui la ragazza affrontava ogni angheria, la fece legare a testa in giù e ordinò che le fossero recisi con una tenaglia i seni; di notte le apparve in visione San Pietro che glieli fece ricrescere. Questo miracolo le costò ulteriori torture e fu costretta a camminare su cocci di vetro e carboni ardenti, ma durante il supplizio, l’Etna cominciò a eruttare e la città fu scossa da un terremoto che fece crollare una parte dell’edificio, tanto che alcuni dei carnefici morirono sotto le macerie. Quinziano, temendo l’insurrezione dei catanesi, ordinò di ricondurla, ormai morente, nel carcere dove, dopo una preghiera a Dio, Agata spirò.
Era mercoledì 5 febbraio dell’anno 251 d. C.
Sant’Agata è una Santa, Vergine e Martire miracolosa.
Infiniti I miracoli di Sant’Agata e tanti proprio per salvare la città dalla peste, da terremoti, da tsunami e dal magma dell’Etna; proprio in uno di questi casi in cui la lava stava per invadere la città, i catanesi presero il velo che aveva avvolto il corpo della martire e lo portarono davanti al fronte magmatico che si fermò e il velo di color bianco diventò rosso.
I dolci della festa richiamano il martirio
Le cassatine, dolci di pasta frolla ripieni di ricotta, canditi e cioccolato, ricoperte da una glassa bianca sormontate da una ciliegia candita, chiamate le “minne di Sant’Agata”, e simili al seno femminile, dolce classico della festa richiamano il martirio, mentre l’altro dolce caratteristico, legato al culto della Santa, sono le olivette di Sant’Agata, dolci di pasta martorana di colore verde, ispirati dalla tradizione che vuole sia spuntato un ulivo selvatico sulla piazza dove Agata si chinò per allacciarsi un calzare, sulla via del martirio.
La storia delle reliquie
Nel 1040 dopo 2 secoli di dominazione araba, i Bizantini comandati dal generale Giorgio Maniace tentarono di riconquistare la Sicilia, ma la loro vittoria fu temporanea poiché Stefano, il responsabile della flotta bizantina, commise l’errore di farsi sfuggire il capo militare arabo Abd Allah, e per questa ragione il generale Maniace gli inflisse una severa punizione, ignaro che l’ammiraglio fosse un membro della casa Imperiale di Costantinopoli. Per sanare l’incidente diplomatico e recuperare la stima dei sovrani che gli avevano ordinate il rientro in patria, Maniace decise di donare alla casa regnante le preziose reliquie della catanese Sant’Agata e della siracusana Santa Lucia, già conosciute e venerate nel mondo cristiano. La tradizione racconta che una tempesta marina impedì la partenza della nave per 3 giorni, poiché Sant’Agata non voleva abbandonare la propria città.
Alla fine I catanesi addolorati videro allontanarsi a bordo della nave bizantina le preziose reliquie della loro patrona.
Il 17 agosto 1126 Agata ritorna a casa.
Dovettero passare 86 anni prima che le reliquie di Sant’Agata tornassero in patria. Si dice che fosse stata la stessa Santa a volerlo, richiedendolo espressamente a militari a lei devoti, il provenzale Gisliberto e il pugliese Goselmo. Più volte la Santa apparve loro in sogno finché una notte i due decisero di sottrarre le sacre spoglie della Chiesa di Costantinopoli, dove erano venerate. Per sfuggire più facilmente ai controlli dovettero sezionare il corpo della Santa in 5 parti, le nascosero dentro le feretre in cui normalmente si riponevano le frecce, e le ricoprirono con petali di rosa profumati. I 2 militari presero una nave e si diressero in Sicilia, ma prima si fermarono in Puglia, regione in cui era nato Goselmo e per suo desiderio vi lasciarono una preziosa reliquia, una mammella, ancora oggi venerata nella Chiesa di Santa Caterina d’Alessandria d’Egitto a Galatina (Lecce).
Quando giunsero vicino ad Aci castello alle porte di Catania avvertirono il vescovo Maurizio, che le reliquie di Sant’Agata erano finalmente tornate in patria. Era il 17 agosto 1126. Il popolo catanese svegliato durante la notte da uno scampanio a festa, si riversò in strada come si trovava, anche a piedi nudi e in camicia da notte per accogliere le reliquie.
I catanesi furono così riconoscenti ai due soldati che li elessero cittadini onorari e li vollero eterni custodi delle reliquie della Santa e le loro spoglie riposano in Cattedrale.
La festa
Il 3 febbraio è il giorno in cui si entra nel vivo dei festeggiamenti con la processione per l’offerta della cera, dalla Chiesa di Sant’Agata la Fornace fino alla Cattedrale in Piazza Duomo, protagoniste le 11 candelore, che pesano dai 500 ai 700 chili, e vengono portate a spalla da 8 /12 uomini e intitolate ai mestieri tradizionali.
Il 3 sera in piazza Duomo vi sono i famosi fuochi, il più bello spettacolo pirotecnico del mondo, a suon di musica. La tradizione popolare vuole che i fuochi siano sparati per svegliare Sant’Agata che si prepara ad uscire dopo mesi di letargo.
Il 4 mattina all’alba tutti i devoti aspettano l’uscita del Busto Reliquiario di Sant’Agata dalla Cameretta, che viene poi posto sull’altare del Duomo per la messa dell’aurora.
La cameretta, chiamata in catanese “A cammaredda” si apre all’interno della cappella di sant’Agata alla destra dell’altare maggiore, inaccessibile così come la cappella protetta da una grata bronzea, ed è stata ricavata all’interno di uno spazio stretto che metteva in comunicazione la Cattedrale con un ambiente riservato al diaconato, lì riposa durante l’anno il busto reliquiario della Santa, e lì avviene all’alba del 4 febbraio di ogni anno il commovente incontro con i suoi devoti che con trepidazione l’aspettano per portarla in trionfo per due giorni, fra le strade della città. Sono momenti di forte pathos, ognuno cerca di indirizzare lo sguardo dritto negli occhi dell’adorata Agata.
Ognuno manifesta la propria commozione e devozione in maniera diversa ma il mantra è sempre lo stesso:
“Semu tutti devoti tutti? Cittadina evviva Sant’Agata”
la città di catania
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