Vertigini

“…ma la brava gente è di più”

Non vogliamo salutare Gianni Mura coi suoi “cattivi – ma sempre sagaci – (ultimi) pensieri” usciti su Repubblica lo scorso 15 marzo.

Piuttosto la sua dipartita, affrontata a modo suo, ovvero senza alcun nesso col presente momento storico ci fa pensare al senso del giornalismo quale massima forma di autonomia del pensiero e, di conseguenza, dell’individuo, anche di fronte alla morte. Non si muore quando si deve, ma quando si può diceva qualcuno in “Cent’anni di solitudine” ed è esemplare – e finanche confortante – che anche di fronte alla morte il giornalista Mura abbia imposto il suo punto di vista. 

Un punto di vista sempre severo, sempre critico ma non polemico, attenzione: che la differenza è sottile benché abissale, perché laddove il polemico guarda solo all’altro per dissimulare la mancanza di sé il critico invece quel suo sé l’ha scrutato al punto da poterlo orientare – e con legittimità, si deve dire – anche altrove.

Eppure, si diceva, anche in questo universo di emancipazione del pensiero che, mediante il lavoro di scrittura, da personale diventa collettivo, esistono delle costanti, delle concordanze misteriose come quella che vede la cronaca (critica) sportiva andare a braccetto con la passione, e la cultura, per l’enogastronomia.

E Mura non fece eccezione perché oltre a diventare un maestro del giornalismo sportivo italiano fu anche l’erede della tradizione inaugurata da Gianni Brera e Luigi Veronelli e, come tale, dal 1991 a oggi ha firmato, di concerto con la moglie Paola, nella rubrica del Venerdì di Repubblica “Mangia & Bevi”, alcuni dei ritratti più calzanti dell’enogastronomia contemporanea.

È in ciascuno di questi ritratti e, in particolare, nella cura verso la caratterizzazione dei personaggi fossero essi osti, cuochi, camerieri e così via, che si ritrova tutto l’impianto critico, ovvero etico, del Mura dei “Cattivi pensieri” che poi veramente cattivi, alla fine, non lo erano mai.

All’inferno ci va chi ci crede

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