La Casa degli Spiriti

ll Cognac fra eccellenza e nuove frontiere

“Vorrei un caffè corretto con un po’ di cognac, più cognac che caffè…anzi, giacché si trova, mi porti solo una tazza di cognac, e non se ne parla più”.
Il politico francese Charles-Maurice de Talleyrand (teorizzatore di una sorta di rigoroso cerimoniale di degustazione del Cognac), sarebbe probabilmente inorridito di fronte a questo scenario; ma non si può crocifiggere più di tanto il grande Totò (dal film “Totò terzo uomo”), pensando al fatto che pure sir Winston Churchill era solito sorseggiare questo meraviglioso distillato dalla teiera…Piccole e innocenti variazioni sul tema, che nulla possono togliere alla magia del Cognac, fra i più illustri alfieri dell’eccellenza francese. Un distillato dai tratti unici e inconfondibili, anch’esso alle prese con una sfida cruciale per la categoria intera: intercettare nuove modalità e occasioni di consumo, nonché una platea sempre più vasta di appassionati, partendo da un’immagine talora austera ed elitaria.

Approfondiamo l’argomento col prezioso contributo del Cognac Educator Luca Di Francia. 

Nato a Napoli nel 1973, Luca Di Francia vanta un’esperienza di oltre trent’anni nel settore turistico-alberghiero di lusso; dal 1997, è primo barman dello storico Orum Bar, situato all’interno dell’Hotel WESTIN EXCELSIOR di Roma. Ha sempre affiancato (e affianca tuttora) all’attività professionale percorsi di formazione e approfondimento, che spaziano dalla farmacopea, alle arti erboristiche e galeniche (approfondite all’Accademia delle Arti Erboristiche di Roma), a svariati aspetti del mondo della miscelazione e del bartending. Divenuto Sommelier professionista AIS nel 2013, ha poi messo a disposizione le sue numerose competenze nell’ambito della scrittura e della docenza di settore: autore ed editore del libro “Io e il bar”, collaboratore di diverse riviste, formatore AIBES (Associazione Italiana Barmen e Sostenitori, per cui ha anche contribuito alla stesura del manuale), docente all’ente professionale CIOFS FP Lazio. Ha conseguito diversi premi e riconoscimenti, nazionali e internazionali, nell’ambito del bartending, nonché l’onorificenza Order of Merit per la carriera nel mondo dell’ospitalità. Soprattutto, ha ottenuto nel 2019, presso il Bureau National Interprofessionnel du Cognac, il riconoscimento di Cognac Educator (unico in Italia).
Questa qualifica gli permette di essere un riferimento, nel nostro Paese, per questo distillato, divulgandone con competenza e professionalità la conoscenza con presentazioni, educational e master class.
Si definisce un attento osservatore e ottimo ascoltatore, dai modi garbati e gentili, affascinato dall’eleganza e attratto dal bello. Tra le passioni legate al meraviglioso mondo del bartending, annovera il collezionismo di shaker antichi, una ricerca instancabile nell’ambito della liquid history, e di tutto ciò che riguarda il mondo del nobile e maestoso Cognac.

La Francia è sempre stata all’avanguardia per quanto concerne la protezione delle proprie eccellenze. In che misura l’essere inquadrato, e tutelato, in una AOC (equivalente alla nostra DOP) ha contribuito a salvaguardare l’immagine e la qualità del Cognac dai vari tentativi di usurpazione e contaminazione? 

In misura decisamente determinante. Ci sono state, nel corso della storia del Cognac, dopo la crisi filosserica (che devastò e decimò interi vigneti, basti pensare che si passò da 280.000 ettari nel 1877 a poco più di 42,581 ettari vitati, intorno al 1895) alcune date molto importanti. Il 1 maggio 1909 fu decretata la delimitazione della zona di produzione geografica, e, a partire dal 1936, Cognac acquisì la “Denominazione di Origine Controllata “; nel 1938, vi fu infine la definizione delle zone di produzione all’interno della Regione, una sorta di suddivisione in cru. Nella mia esperienza personale, in passato mi sono imbattuto in bottiglie che riportavano in etichetta “Cognac”, ma prodotte in Italia; di una di esse, prodotta ad Agrigento, conservo ancora un ricordo nitido, per la bellezza ed eleganza dell’etichetta.

Al di là della tutela legislativa, cosa contribuisce in maniera determinante a rendere il Cognac non replicabile altrove?

Terroir, know-how e processi controllati, ricerca scientifica e tecnica: costituiscono, in sinergia fra loro, un mix di ingredienti che conferisce al Cognac unicità e qualità, impossibili da replicare.

Fra le sei sotto-zone in cui è stata suddivisa la AOC Cognac, la Grande Champagne è, storicamente e indiscutibilmente, quella in grado di conferire maggior pregio al distillato. Quali sono le caratteristiche peculiari di questa zona, che maggiormente hanno portato a distinguerla in termini di qualità e prestigio?

In realtà, ogni zona esprime una sua espressione qualitativa. L’area della Grande Champagne ricopre circa 14.500 ettari vitati, ed i Cognac provenienti da questa zona, sono distillati di alta qualità, con un bouquet ricco e prevalentemente floreale e fruttato, che richiedono un lungo invecchiamento in botti di rovere per raggiungere la piena maturità. La posizione geografica della Grande Champagne è determinante, dato che gode di un clima mite, e presenta un terreno poco profondo, argilloso e calcareo, sulla parte superiore di gesso morbido risalente al Cretaceo. Questo substrato è dotato di ottima capacità di conservare l’umidità negli strati profondi, agendo come una spugna nei periodi estivi o di siccità, ed è ricco di sedimenti marini oltre che di gesso.

L’intero comparto delle bevande alcoliche si trova ad affrontare la sfida della penetrazione in nuovi mercati, sia dal punto di vista geografico, che da quello generazionale e delle modalità di consumo. Come si pone il Cognac relativamente a questi significativi cambiamenti in atto?

Il Cognac è un distillato cosmopolita, viene consumato in quasi 160 paesi nel mondo, in modi differenti. Agli inglesi piace puro e nei cocktail, i francesi lo stanno riscoprendo come aperitivo ed utilizzato nei long drinks. È la bevanda preferita dai rapper, ampiamente e storicamente acclamato dalla comunità afroamericana. Negli Stati Uniti, il Cognac viene consumato principalmente nelle versioni più giovani (VS e VSOP rappresentavano il 97% delle esportazioni negli Stati Uniti nel 2018), liscio, nei cocktail o nei long drink. La sua legittimità storica nella mixology americana gli conferisce un posto d’elite, in un paese dove la cultura dei cocktail e degli alcolici è molto diffusa E’ molto apprezzato anche dalle altre comunità ispaniche e asiatiche.
I cinesi, invece, sono soliti pasteggiare con i distillati, ed apprezzano il carattere eccezionale del Cognac, la cui immagine è associata ad una forma di successo economico e sociale, simbolo di qualità e garanzia di sicurezza. La cultura del cocktail ha preso piede nei bar e nel karaoke, e il Cognac sta beneficiando dell’accesa di questi nuovi consumatori, esponenti di un’influente classe media che apporta milioni di nuovi clienti ogni anno (inclusi Millenials e Trendsetter).
La sua originalità è richiesta anche in mercati di recente comparsa, come il Sudafrica e l’Oceania. 

La mixology è l’ambito in cui i distillati possono giocarsi nuove carte, per intercettare una platea sempre più ampia di consumatori. Che contributo può dare il Cognac a questa innovativa frontiera di consumo?

Grazie alla miscelazione, Cognac e cocktail hanno condiviso una storia in comune sin dai secoli scorsi. Il Cognac mostra una rara eleganza, conferendo ai cocktail un’incredibile personalità. Oggi vi è una vera riscoperta di cocktail classici a base di Cognac, basti pensare al Sazerac, preparato con l’originale ricetta a base di Cognac, oppure il Vieux Carrè, lo Stinger, il Sidecar. Oggi stiamo rivivendo “una seconda giovinezza” dei distillati di origine viticola, supportati da una miscelazione che ricerca gusti puliti, nitidi, morbidi e di giusta struttura, con decorazioni minimal, e dove si dà molta importanza al contenuto ed alla persistenza gustativa. Sono certo che nei prossimi anni, in Italia, assisteremo ad un impennata dei consumi di Cognac in miscelazione.

Come conciliare proposte di consumo più innovative senza scalfire l’aura di nobiltà (quasi di sacralità) che tradizionalmente accompagna il Cognac?

Non è difficile, dato che, come tutto ciò che rappresenta in qualche modo la qualità, non necessita di maquillage. La mia filosofia è: Less is more.  Ritengo sia fondamentale abbinare pochi prodotti, ma di ottima qualità, evitando inutili sovrascritture….
È altresì importante non creare stravolgimenti, ma apportare migliorie attraverso degli abbinamenti appropriati che ne esaltino la qualità, dando delle percezioni palatali che rendono il consumatore entusiasta, riscoprendo nuove sensazioni e facendo nuove esperienze. Grazie alle sue caratteristiche, il Cognac è molto versatile, e può risultare un ottimo alleato degli chef per fare dei pairing sartoriali vincenti, oppure proposte di cocktails a base di Cognac in abbinamento con il cibo. Tutt’oggi, assisto ad abbinamenti consueti, utilizzando cioccolato oppure preparazioni dolci, mentre il Cognac (soprattutto alcune tipologie) si abbina egregiamente a piatti di pesce o piatti sapidi. L’umami è l’alleato universale del cognac. Questo quinto sapore (dopo il dolce, il salato, l’acido e l’amaro) è descritto come una sensazione di ipergola, o gusto salato. Interessante l’utilizzo di VS Frozen Cognac, ossia Cognac serviti freddi, tirati fuori dal congelatore a -18°C (che presentano una texture completamente differente, più oleosa e con assenza di percezione alcolica, dettata dalla bassa temperatura), ottimi da abbinare con le ostriche o piatti di pesce. come scampi alle verdure, oppure con il caviale.
In conclusione, il Cognac può diventare un importante veicolo per arrivare a nuove frontiere di esperienze gustative.  

Qual è la corretta tecnica di degustazione di un grande Cognac?

Per apprezzare appieno il Cognac, suggerisco di servirlo liscio in un bicchiere a tulipano, o in un calice. La forma leggermente chiusa del calice blocca gli aromi, che poi si svelano gradualmente durante la degustazione. Ruotare delicatamente il bicchiere, e osservare la limpidezza ed il colore.
Inclinare il bicchiere, e valutarne la viscosità: acquosa, sciropposa o oleosa. Poi va osservato il colore, che varierà dal chiaro all’ambra scuro, a seconda dell’età, dell’origine e del tipo di quercia utilizzata. La prima volta che alzerete il calice al naso, noterete gli aromi più volatili, conosciuti come il “primo naso”.
Ruotate delicatamente il bicchiere per rilevare le caratteristiche olfattive chiave del Cognac, altrimenti noto come il suo “secondo naso”. Questo spesso rivela note floreali o fruttate, come fiori di tiglio essiccati, fiori di vite, uva appena pigiata, violetta o vaniglia.
Bevete un piccolo sorso di Cognac, masticatelo, poi prendete un po’ d’aria per rivelarne il carattere unico ed inimitabile. A contatto con la lingua ed il palato, il Cognac inizierà a stimolare i recettori e le papille gustative, concedendo sensazioni di rotondità, morbidezza, ricchezza, finezza, leggerezza e tanto altro ancora. Assaporate le sensazioni mentre “viaggiano” dalla punta della lingua al retro della bocca, rivelando una serie di percezioni che si esprimeranno in termini di eleganza e complessità aromatica.

Matteo Bassetti

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Sara Comastri
Un passato da bancaria alle spalle, trascorso aggrappandomi alle mie numerose passioni, quali ancore di salvezza in un tumultuoso mare di numeri e budget. In particolare, il vino e i distillati mi hanno premurosamente accolto sulla riva dopo un’ondata tanto impetuosa quanto provvidenziale, risvegliando l’anelito della conoscenza, e facendo riemergere velleità sopite e inclinazioni rinnegate. Una nuova rotta intrapresa con entusiasmo, passata la soglia fatidica dei quaranta.

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