Utopia del bicchiere della staffa

Il bicchiere della staffa: stagno del proprio malessere

Mai bevuto per tristezza o per rabbia? 

Penso lo si possa ammettere serenamente, l’alcol è un amplificatore delle proprie emozioni, e quando queste non sono allegre, iniziano i guai. 

Forse è più usuale per solitudine, in ogni caso cercare la soluzione nel fondo di un bicchiere non è un buon modo per fronteggiare i propri problemi, angosce e difficoltà, anzi. Molto è legato alle aspettative che si hanno rispetto all’assunzione dell’alcolico, nel breve periodo è vero che inducono rilassamento ed euforia, ma col passare del nuomero dei bicchieri si amplifica lo stato di malessere che si aveva in partenza, e la situazione può precipitare. Le bevande alcoliche possono renderci più irritabili, e se si è già di malumore è facile che le cose prendano una piega poco piacevole. A volte si cerca di bere per procurarsi una gaiezza tutta d’apparenza che ci metta al riparo dal rivelare il nostro reale umore.

Troppo spesso però viene usato per coprire intenzioni che erano radicate in un agoletto profondo e oscuro dentro di noi, la scusa dell’”ero ubriaca/o” non regge fino in fondo, per me vale sempre il detto in vino veritas.

Uno studio ci svela che chi beve superalcolici si sente più sexy, ma anche più irrequito e aggressivo. Chi beve vino si sente pieno di energie, col vino rosso alla fine però ci si sente più stanchi. Come al solito con le ricerche è vero tutto e il contrario di tutto. Una cosa si può affermare, come detto all’inizio e ribadito dalla ricerca, il superalcolico sembra essere la bevanda per antonomasia che amplifica le emozioni che si stanno provando, e proprio per questo è quello che getta le basi per una abuso ripetuto nel tempo che può portare ad una dipendenza.

Per come la vedo io, una delle ragioni per cui si beve quando si sta male è per associare ad un malessere interiore un malessere fisico. Più facile da individuare, credo lo si faccia anche per autopunirsi e per rendere chiaro al mondo intero quanto si stia soffrendo.

In questo caso il bicchiere della staffa è la goccia che fa traboccare il vaso, quello che non avremmo dovuto ingerire e quello che ci fa maledire il momento in cui l’abbiamo fatto. Il bicchiere della staffa può essere il responsabile del black out: momento buio di cui si perde traccia nei propri ricordi, in cui il corpo agisce e la mente rimuove. Parentesi spazio-temporale in cui accadono cose di cui non abbiamo memoria e non riusciamo a ricostruire.

Per evitare l’associazione superalcolico/irascibilità ci concentriamo sulla birra acida.

Una sour ale alle pesche nettarine tutta italiana: Ca’ del Brado, un nome, una filosofia. Ca’ sta ad indicare la cantina dove maturano le birre, in tini di legno, anche differenti. Brado, invece, ha due accezioni: quella legata all’etimologia greca, che indica la lentezza delle fermentazioni e affinamenti, e l’espressione “allo stato brado”, per l’utilizzo dei lieviti non selezionati.
Il birrificio è sito a Rastignano, in provincia di Bologna. La cuvée de Pesga è ottenuta dalla macerazione delle nettarine a pasta gialla in botti precedentemente affinate con brettanomyces Bruxellensis. Birra dorata, fragrante gradevolmente acida, con ovviamente note di pesca e frutta gialla acerba. La botte leviga e nobilita l’acidità di questa birra, rendendola meno aggressiva al palato. Meravigliosa come aperitivo o per una chiacchierata in estate, davvero rinfrescante. 7,8 il volume, annata 2016, prezzo dal sito 8,50 euro. Ideale per chi si approccia per la prima volta a questa tipologia di birre. 

Sicuramente esiste, e non lo metto in dubbio, ma non conosco nessuno che sia riuscito a ubriacarsi di sole birre acide.

Non amo fare la paternale, e se anche penso che sia inutile bere per risolvere i propri problemi e soprattutto sprecare dell’ottimo alcol per un tale motivo, non posso però nascondere come all’animo umano a volte giovi il peggioramento del proprio stato psico-fisico per tornare poi, passata la burrasca, a uno stato di equilibrio. Con questo non voglio dire che sia una pratica sana, tutt’altro.  

Ma è bene ricordare che ciascuno è responsabile delle proprie azioni, e che queste azioni hanno delle conseguenze.

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Alessia Cattarin
Dicono di me: ironica e auto-ironica, granitica sulle posizioni lavorative e personali, ma malleabile se necessario. Socievole. Pessimista cosmica, ma in grado di illuminarsi davanti ad una bollicina. Senza mezzi termini, la diplomazia sembra proprio non riguardarmi. Capace, tenace e professionale, in uno strano modo persino paziente. I complimenti per ultimi: qualcuno ama definirmi Puntigliosa! Di me penso: sono un’irrimediabile sognatrice, una metallara, una fenice, un avvocato delle cause perse, una che non tollera sopraffazioni e ingiustizie. Cinica, per sopravvivere in un mondo concepito con sadismo.

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