Fumoir

Fumare non è peccato

Prelati, nunzi apostolici, cardinali, papi e anche Santi… la Chiesa di Roma non è del tutto estranea al tabacco, anzi! 

 Ho sempre avuto chiara l’idea che la diffusione del tabacco in Italia fosse stata “aiutata” dalle azioni di alcuni alti prelati: la conferma, oltre che nelle storie che qua e là vengono “a galla”, la si ottiene attraverso la ricostruzione dei primi anni di diffusione del tabacco: siamo tra il XVI ed il XVII secolo. 

La Chiesa prima ne vietò l’uso e poi ne sfruttò le potenzialità per battere cassa.

Alcuni scritti – tra cui il primo e il più importante è opera di tale Don Benedetto Stella da Civita Castellana – non sono solo un trattato sul tabacco dedicato al Cardinale Virginio Orsini, ma veri e propri inviti all’uso. 
 A dire il vero, il tabacco annovera, agli albori del suo consumo, anche un Santo come San Giuseppe da Copertino, che ne faceva uso per resistere alle tentazioni della carne: d’altronde diversi papi della “prise” ne avevano fatto un rito quotidiano. È nota la grande passione per il “fiuto” da parte di Pio IX, ma invece che approfondire ciò, quello che ci interessa ora è il ruolo di alcune famiglie che furono coinvolte nella promozione e nella diffusione del tabacco, poiché sfruttandone la coltivazione e la trasformazione producevano fondamentalmente reddito.  

I nomi degli alti prelati che spesso si fanno sono due.

Il Cardinale Prospero Santacroce, nunzio apostolico in Portogallo, che ne fece dono a Caterina de Medici, la regina (da qui uno dei primi nomi “erba della regina”). A sua volta la regina ne fece largo uso per sopire il mal di testa e le emicranie di cui pare soffrisse e concesse a Prospero, come riconoscenza, l’amministrazione apostolica della città di Arles. Lo stesso Cardinale ne fece dono a Papa Pio IV. Appena possibile, iniziò a coltivarlo nei propri tenimenti, tanto che Uno dei nomi del tabacco fu proprio “erba santa”. 
Il secondo è il cardinale Niccolò Tornabuoni, vescovo di Borgo San Sepolcro: fu anch’egli ambasciatore alla corte di Francia. Introdusse per primo in Toscana la coltivazione del tabacco, che si chiamò anche erba tornabuona. I Tornabuoni erano in un certo qual modo legati agli Orsini attraverso la famiglia dei Medici: infatti, la mamma di Lorenzo il Magnifico era Lucrezia Tornabuoni moglie di Piero de Medici e scelse quale sposa per Lorenzo proprio una Orsini, Clarice Orsini, nipote del cardinale Rinaldo Orsini.  
Le famiglie si legarono strettamente e, tra Orsini e Medici, i papi in famiglia furono Leone X, nato Giovanni, figlio di Lorenzo il Magnifico e Clarice Orsini, papa dal 1513 al 1521; Clemente VII, nato Giulio, figlio di Giuliano de’ Medici (fratello di Lorenzo il Magnifico), papa dal 1523; Celestino III, ovvero Giacinto di Bobone Orsini; Niccolò III, ovvero Giovanni Gaetano Orsini; Benedetto XIII, nato Pietro Francesco Orsini. 
Vorrei poi parlarvi di Fra Vincenzo Maria (nato Pietro Francesco) successivamente Papa Benedetto XIV, 245mo Papa che modificò il nome in Benedetto XIII causa un predecessore con lo stesso nome da considerare antipapa; fu un Orsini di Gravina che rinunziò a favore del fratello al titolo di Duca e divenne dominicano, cardinale suo malgrado a soli 23 anni e obbligato da Papa Clemente X ad accettare la carica. Fu arcivescovo di Manfredonia, poi di Cesena e infine di Benevento nel 1701: optò per la sede di Frascati da Cardinale Vescovo. 
Nella sua vita partecipò a sei conclavi: era un fervente cattolico molto impegnato nella “moralizzazione” della Chiesa e di lui non dubitò mai nessuno. Del suo segretario invece, tale Francesco Coscia, sì: alla sua morte fu processato e liberato solo da quel Cardinale Lambertini che, assurto al soglio di Pietro con il nome di Papa Benedetto XIV, lo fece liberare purché rinunziasse a ogni suo diritto, ed era lo stesso papa che giustificò e difese San Giuseppe da Copertino, accusato di essere incappato nella debolezza dell’uso del tabacco.
Papa Lambertini detiene il record del conclave più lungo dell’era moderna: ben 181 giorni durante i quali 4 cardinali elettori morirono (all’epoca nessuna limitazione di età vigeva). 
Torniamo ora a Benedetto XIII: egli aveva un solo “vizio” ovvero faceva uso del tabacco. A dire il vero, nel territorio del suo “arcivescovado” mai abbandonato – il beneventano – coltivava tabacco e lo faceva attraverso il suo amministratore Coscia che si arricchì alle sue spalle e in suo nome.  
Fra Vincenzo Maria aveva un legame strettissimo con la terra e i contadini tanto da spingere e fare adottare,  fondandolo, un monte frumentario a Benevento, quando era a capo della curia arcivescovile, per aiutare nella coltivazione i coltivatori bisognosi di sementi: da questo monte quindi si imprestavano i semi per poi restituirli alla fine del raccolto. Questa era solo una delle tante  opere di beneficenza adempiute verso i bisognosi.  
Quando poi fu eletto Papa nel 1724 con il nome di Benedetto XIII, ordinò a tutti i vescovi dell’Italia centro-meridionale di imitare la sua iniziativa a Benevento e aprire monti frumentari, stabilendone le regole, tra cui spiccava una “remunerazione del monte al solo il 5/% ed all’utilizzo dello stesso per sfamare i poveri”. 
Sollecitato da più parti, continuò l’opera di legalizzazione dell’uso del tabacco: del resto si era assistito ad aperture dopo le “scomuniche” di Urbano VII. Con papa Alessandro VII della famiglia Chigi, infatti, si creò il primo monopolio italiano concedendo a una famiglia romana di Trastevere, i Michilli, la produzione: ne aveva poi autorizzato la vendita e aveva tassato il prodotto. Del resto, è tutto comprensibile se ci si sofferma sulla circostanza, non trascurabile, che egli proveniva da una famiglia di banchieri toscani… guarda caso una delle prime regioni dove si iniziò a coltivare tabacco. 

Papa Benedetto XIII poi, per evitare che ci si assentasse dalla messa, ammise l’uso del tabacco anche in chiesa purché fatto con moderazione: tutto ciò lo fece motu propriu

 Quindi, dal 1725 in chiesa di poteva assumere tabacco nel coro, nella sacrestia, nel portico e nell’oratorio della basilica vaticana. Ma a tale concessione fece seguire anche la riduzione delle tasse sui generi di prima necessità come pane, vino e carne. Papa Pio IX poi fece costruire un grande manifattura a Roma nel 1860. 
Certo, si disquisisce molto sulla liceità per un prelato o porporato di assumere tabacco o fumare, ed è noto l’aneddoto riferito a Pio IX il quale, a un cardinale che aveva rifiutato un “pizzico” di tabacco dicendo di non avere quel vizio, lo stesso aveva replicato dicendo “eminenza se fosse un vizio lei lo avrebbe di sicuro”.          
Ma torniamo allo scritto del frate Stella che analizza l’uso dello stesso, le reazioni e le controindicazioni, ma ne esalta le proprietà curative inclusa quella relativa all’uso che ne fece il Santo salentino Giuseppe da Copertino come rimedio per sopire i “bollori della carne”. 

Ricapitolando: San Giuseppe e San Giovanni XXIII fumavano, Pio IX e San Pio fiutavano tabacco. 

A metà del secolo XVIII Papa Benedetto XIV, quello della difesa di San Giuseppe e della liberazione di Coscia, fece costruire una nuova fabbrica pontificia di tabacco su progetto del Vanvitelli, più noto per la reggia di Caserta. 

Ma alla fine, per la Chiesa di Roma, è un peccato fumare? La risposta è no! 

È un peccato avere un “vizio” o la dipendenza da una sostanza: infatti a proposito del comandamento “non uccidere” si consiglia di evitare eccessi e abusi di cibo, alcool, tabacco e medicinali.  
Guardiamo ora questa rarissima foto che ritrae San Giovanni XXIII con la sigaretta in mano: la versione ufficiale racconta che “non era un fumatore ma uno di quelli “occasionali”, e questo sebbene una foto ai tempi del suo incarico di nunzio apostolico nella capitale francese lo immortala a fumare una sigaretta. Ovviamente, a scusante, si racconta che usasse mettere a loro agio gli ospiti fumatori offrendo delle sigarette e accendendone una per primo. Del resto, non è forse vero che Garibaldi fu salvato proprio ad un sigaro offerto a Bismark il quale, quando stava trattando le condizioni di resa con i francesi dopo la caduta della terza Repubblica nel 1871,al netto rifiuto di consegnare Garibaldi per processarlo e farlo sfilare prigioniero nelle strade di Vienna rispose “fumiamo”?! 
Voci non confermate raccontano che alla fine di ogni conclave i cardinali francesi offrono del cognac e gli spagnoli portano i sigari, così come si attribuisce a un papa appena eletto la frase “Mi raccomando se proprio dovete fumare che il “fumo sia bianco”. 
Dal 2018 nello Stato del Vaticano è vietato vendere sigarette e sigari. In definitiva quindi fumare non è peccato, ma avere il vizio del fumo sì. 

Quindi un buon sigaro con un cognac nel fumoir non ci può essere negato  rimanendo, laddove credenti, in linea con la catechesi e le leggi della Chiesa.  

In conclusione? È bene fumare meno, smettere del tutto è meglio, non cominciare affatto è meglio ancora. Il fumo è una dipendenza insidiosa, statene alla larga il più possibile per essere sempre più liberi di crescere umanamente e nella vita spirituale. Noi da peccatori impenitenti accendiamo un buon avana anche con il benestare di alcuni Santi.

Laura Lombardi

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Nicola Pileggi
Avvocato, mezzosangue calabrese, sampietrano emigrato a nord, S.Vito dei Normanni città della fortuna in tutti i sensi: moglie, figlie,... Fumatore appassionato di avana, curioso dicono “vulcanico”, fondatore di Alto Salento Cigar Club, un consesso di fumatori che da un paese della Puglia arriva a la Habana, il fil rouge… il sigaro, un socio e tanta passione. Trentasei anni di storie di fumo iniziate nella capitale dell’europeismo da stagiaire con un Monte A e tanto fumo, un vissuto di fumo alle spalle fino al format di Habanos World Challenge. Scritti solo di diritto, cariche… onorarie pure, molto fumo, tante incontri, tante occasioni, moltissimi ricordi. Un solo motto: il meglio non è per tutti!

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