Sconfitti in partenza per ko tecnico
Avete presente quei video nei quali le persone tentano di effettuare un salto da un luogo a un altro, spesso l’argine di un fiume o un rampa e, dopo aver spiccato il balzo, incespicano su loro stesse e cadono?
Cosa scatenata la risata nei video sopracitati? La convinzione.
Chi salta si carica di una sicumera e di una grinta che, da sole, dovrebbero garantire la riuscita della prova, quando invece evidenziano l’inconsapevolezza del fallimento.
Creed 3 è esattamente questo.
MICHAEL B. JORDAN, qui assurto al ruolo di regista, si gonfia (letteralmente) per spiccare il salto, per emancipare la saga di Adonis Creed da quella di Rocky Balboa, compie un balzo convinto di farcela, sicuro che la dose massiccia di hybris basti da sola per portare a termine l’impresa, e fallisce.
Ma, prima di sparare sulla croce rossa, salviamo il salvabile.
Un’idea di messa in scena (raccordi di montaggio, durata delle inquadrature, movimento della mdp) Jordan anche ce l’ha e gli incontri, per quanto lontani da quelli della saga di Rocky, ma anche solo dal piano sequenza del primo Creed, non sono da buttar via. Il rischio del ridicolo è sempre dietro l’angolo, vedi il match finale ai limiti del surrealismo/onirismo da spot pubblicitario, ma va almeno dato atto all’esordiente regista di averci provato, di aver seguito una strada personale, per quanto bislacca.
La vera disfatta è tutto il resto.
Creed 3 è un mix della saga di Stallone, in particolare del terzo episodio, il che non sarebbe nemmeno sbagliato; ma lo è nel mondo più superficiale e banale.
L’errore fondamentale compiuto da Jordan (regista) consiste nel prendere gli esiti dei conflitti che stanno alla base dei sei film di Rocky, togliendo il motivo per cui si è arrivati a quell’esito.
Un grande collage di redenzione e affermazione senza che vi siano colpe e desiderio di rivalsa a legittimarlo.
Adonis non deve riappacificarsi col suo passato, non deve dimostrare di essere ancora un campione per sé e la sua famiglia, né deve vendicare un amico ucciso. Adonis è chiamato solo a fermare un bullo che fa il bullo. Che Dame sia un suo amico e sia finito in galera per salvarlo è un dettaglio irrilevante per il film in quanto non c’è nessuno sviluppo drammaturgico che lo sostenga.
E qui casca l’asino: Jordan (attore) non sa recitare.
C’è poco da fare: quando non deve mostrare un pettorale pompato, Jordan ha la stessa espressività di uno Steven Seagal da dtv del cestone delle offerte. E stendo un velo pietoso sulla profonda serietà del litigio familiare tra lui e la moglie che sveglia la figlia… sorda. Sì, avete letto bene.
Un pochino ci si imbarazza per Jordan quando deve mettersi in scena mentre soffre per la morte della madre. Siamo ai limiti del ridicolo involontario. Si può dire tutto ciò che si vuole ma non che Stallone non sappia recitare. Certo, non sarà Laurence Oliver, ma la semplice interpretazione in Rocky Balboa (aka Rocky 6) vale da sola un’intera filmografia di Jordan (attore).
E qui casca l’asino per la seconda volta: Jordan (regista) non è nemmeno l’ombra di Stallone (regista).
Se è vero che Jordan una qualche idea di messa in scena ce l’ha, soprattutto considerato che è un esordiente, è pur vero che ha completamente cannato il senso più ampio dei film di Rocky nei quali Stallone era anche regista (ovvero i capitoli 2, 3, 4, 6).
Stallone si è sempre rivolto a Rocky nei momenti più delicati della sua carriera, fossero essi per lanciarla (Rocky 1) o per rilanciarla (tutti i sequel). Una sorta di porto sicuro, un personaggio alter ego del suo autore a cui fare riferimento per esprimere qualcosa di sé con uno strumento abile da maneggiare.
Così facendo Stallone, da autore a tutto tondo quale è (tutti i film di Rocky li ha scritti e interpretati da solo), non si è dimenticato del pubblico. Per quanto Rocky sia una proiezione di ciò che Stallone vorrebbe essere, e di ciò che in parte è, i film del pugile di Filadelfia non sono mai caduti nell’autoreferenzialità spicciola ma hanno guardato al pubblico cui erano destinati. Nel fare ciò Stallone (regista) ha sposato gli stili delle epoche nelle quali si trovava a riprendere in mano la storia di Rocky.
Guardate Rocky 2 (1979), figlio degli ultimi vagiti autoriali della New Hollywood, e Rocky 4 (1985), modello e riferimento dell’estetica patinata, musicale e da spot televisivo degli anni ’80.
Jordan (regista) non prende nemmeno in considerazione quest’assunto e costruisce una storia che, nel tentativo di acquisire autonomia, risulta del tutto priva di identità. Se non sapessimo che Creed 3 è inserito nell’universo di Rocky, cosa lo distinguerebbe da un Southpaw (2015) qualsiasi?
C’è più autorialità e sincera eredità stalloniana in Warrior (2011) che in questa maldestra costola a firma di Jordan (regista).
Però gli incassi stanno andando forte e il nostro eroe ha già in mente come ampliare l’universo di Adonis.
Speriamo con maggiore cognizione di causa e umiltà.
...segui Gianpietro.
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