E-cig
Ludovico Stianigo aprì gli occhi.
Il rumore lo aveva svegliato mentre sognava di camminare lungo una strada che lo avrebbe condotto in un negozio specializzato nella vendita di tavole da surf. Ci era passato davanti un anno prima dell’incidente e aveva notato che non c’erano scivoli per i disabili.
Si girò lentamente, tossendo e asciugandosi la bava con la mano. La sveglia segnava le 03:41.
Ludovico sapeva perché era stato svegliato. Lui voleva che perdesse il sonno e che l’indomani non fosse in forze.
Nell’oscurità della stanza, dove a brillare c’era solo la luce azzurra della sveglia digitale, Ludovico sentiva il proprio respiro inframezzato a dei piccoli colpi di tosse che stavano accompagnando il risveglio precedente. Prese la sigaretta elettronica dal comodino, aiutandosi con la memoria delle mani, e fece un paio di tiri. La lucina verde posta sulla parte superiore della sigaretta in plastica lanciò un lieve luccichio nella stanza.
Ludovico fece un tiro più profondo, per dilatare il tempo di illuminazione. Non vide nessuno. Ma sapeva che lui era lì e che lo stava osservando.
Posò la sigaretta, prese la sveglia digitale e premette il tasto di accensione. Una luce bianca, accecante per uno sguardo non allenato a causa del buio, lo colpì al viso. Direzionò la luce nella stanza. Nulla. Non voleva accendere la luce principale della stanza, non gli avrebbe dato questa soddisfazione.
Lui lo aveva svegliato, vero, ma Ludovico non gli avrebbe dato la soddisfazione di incrociare il suo sguardo alla luce della lampada, cogliendo nei suoi occhi la soddisfazione di avergli arrecato anche per quella notte un fastidio. Era una tattica meschina, la privazione del sonno. Ludovico lo sapeva. E lo sapeva anche lui. Per questo la utilizzava. Ma non avrebbe funzionato. Non quella notte. Incrociare il suo sguardo e sapere che c’era pura soddisfazione per il sadismo inferto, non sarebbe stato sostenibile. Ludovico non si sarebbe fatto umiliare un’altra volta. Non per la quinta notte di fila.
Si mise supino e pensò da dove fosse potuto arrivare il rumore. Forse lui aveva fatto cadere qualcosa in cucina, forse in corridoio. Ludovico non riusciva a capirlo. Era stato troppo concentrato in quello stupido sogno, con quel dannato desiderio di comprarsi la tavola. Lui aveva studiato i suoi cicli notturni e aveva intuito quando Ludovico entrava in fase REM. Non ne aveva le prove ma ne era sicuro. Così come era certo che quella sarebbe stata l’ultima volta in cui lui gli avrebbe dato il tormento di notte. Lo sentiva.
La guerra era stata dichiarata una settimana prima, quando aveva capovolto a Ludovico il vassoio con sopra il suo piatto preferito, pasta alla gricia, mentre Ludovico si era bell’e sistemato davanti alla tv, in salotto. Glielo aveva letto negli occhi, nel fondo delle pupille nere che lo avevano fissato prima che Ludovico tornasse a fatica in cucina per trovare qualcos’altro da mangiare e, varcata nuovamente la soglia del salotto, lui era fuggito con la bocca ancora sporca dei residui di cibo rimasti a terra. Ogni volta che Ludovico si preparava la gricia, gli diceva che era la sua pasta preferita. All’inizio per incentivare la gioia personale nel prepararsi quel piatto; negli ultimi mesi per sottolineare la gerarchia di comando che vigeva in casa.
Ludovico pensò per cinque minuti alla natura di quel rumore, si alzò sui gomiti e rimase in ascolto. Non udiva nulla. Trattenne il respiro. Sentì un suono, simile a quello di un battito cardiaco, ma non capì dove provenisse. Riprese la sveglia digitale e, sempre senza respirare, illuminò nuovamente la stanza. Nulla, di nuovo.
Ripose la sveglia e tornò a respirare normalmente. Sentì montargli un sentimento misto di rabbia e insoddisfazione. Avrebbe voluto indagare e fargli sapere che, se pensava di averlo scosso con quel dispetto, non aveva capito con chi aveva a che fare. Ma non poteva permetterselo. Non quella notte. Ludovico doveva dormire, altrimenti l’indomani non sarebbe stato reattivo a sufficienza per gestire la situazione.
Un altro rumore destò la sua attenzione. Questa volta fu chiaro e preciso: erano dei graffi e provenivano da sotto al letto.
Ludovico si girò di lato verso l’interruttore, allungò la mano, ma appena toccò il bottone lui uscì da sotto il letto e scappò. Ludovico mosse la mano al buio per colpirlo ma lo mancò. Un rumore scomposto simile a quello di posate cadute a terra invase la stanza. Ludovico ne sentì le frequenze acute fino alla base dei timpani.
L’adrenalina per lo spavento calò poco dopo e Ludovico fu in grado di prendere di nuovo il controllo sui propri movimenti.
Accese la luce. La carrozzina era a terra.
In fondo al corridoio, in penombra, Dante lo stava osservando. Ludovico lo fissò con odio. Era certo che quel maledetto animale avrebbe scodinzolato dalla gioia, se avesse avuto ancora la coda.
Poco dopo aver incrociato lo sguardo di Ludovico, Dante se ne andò.
Ludovico guardò un’ultima volta la sua carrozzina e tornò a stendersi, tenendosi la mano sugli occhi.
Spense la luce solo quando la ruota della sedia a rotelle smise di girare.
...segui Gianpietro.
Commenti