Titane: fenomenologia di un capolavoro sbagliato
L’ho scritto altrove e lo ripeto ora: non mi impressiono facilmente.
Ho visto praticamente di tutto in fasi della vita in cui manco avrei dovuto vedere film vietati ai minori di 14 anni. Non ne vado fiero. È un fatto.
Così come è un fatto che, ora che ho abbondantemente superato i trent’anni, non vengo colpito da praticamente nessuna immagine perturbante, o presunta tale, che mi viene propinata.
C’è qualche film che in giovinezza mi ha disturbato e che adesso guardo quanto meno con sospetto, ma poca roba.
Figuratevi lo stupore quando, dopo molti anni, un film è riuscito a mettermi a disagio.
Eh sì, perché Titane è stato uno dei rari FILM capace di farmi stramazzare dalla sedia lasciandomi senza parole per almeno venti minuti buoni, finita la proiezione.
Partiamo dall’inizio: che io ricordi non mi sovviene nessun altro film visto al cinema con la censura ai minori di 18 anni.
A ciò aggiungiamo che i primi minuti sono da dentro o fuori: la protagonista balla sopra un’auto, all’interno di un salone espositivo, come stesse avendo un rapporto con la stessa (evento che poi accadrà, divenendo il fulcro del film).
Tutto è racchiuso in quella sequenza: la fisicità, l’ambiguità, la perversità sono anticipate in quelle poche immagini. Prendere o lasciare. Perché da lì si potrà solo sprofondare.
E difatti si sprofonda nella corporeità più esplicita e disturbante.
Potremmo riassumere Titane con una ricetta di un cocktail:
Ingredienti:
30% cinema di DAVID CRONENBERG
30% cinema di SHINYA TSUKAMOTO
20% cinema di formazione, anche generico
10% cinema di NICOLAS WINDING REFN
10% anarchia
Composizione:
Mischiate in parti uguali il cinema di Cronenberg e il cinema di Tsukamoto, e lasciate decantare per il primo atto. Poi aggiungete il cinema di formazione, con particolare attenzione alle dinamiche padre/figlio, e inserite di quando in quando delle sequenze al neon prese dal cinema di Refn. Infine agitate il tutto e servite in un bicchiere troppo piccolo, facendo tracimare il contenuto e obbligando lo spettatore ad avvicinarsi con la bocca per lappare il composto.
Risultato:
il prodotto più vicino al concetto di “capolavoro” che abbia assaggiato nel 2021.
Titane ti prende a sberle dalla prima all’ultima sequenza, e lo fa con un’intelligenza e un senso dell’equilibrio talmente ben calibrati da evitare il ridicolo anche nel mostrare un coito con un’auto.
Bodyhorror, SLASHER, dramma, commedia, c’è tutto. Un caleidoscopio talmente eterodosso che non ti lascia scampo.
Cronenberg come modello iniziale, tanto nel concetto di mutazione della carne quanto in quello di re-invenzione di se stessi. M Butterly non evidente ma ben presente, in una parte centrale in cui si esplicita il senso complessivo del film: indagare le relazioni con noi stessi e con gli altri, per garantire una definizione di chi siamo e di chi vogliamo essere.
L’identità biologica come mero dato di partenza, seguita da una più precisa analisi dell’apporto mentale nella costruzione del nostro io psichico/relazionale, con in chiusura una rinascita figlia della fusione (letterale) con la tecnologia.
Il tutto immerso in un bagno di sangue, olio motore, fluidi corporei vari, perché l’uomo è oramai appendice della tecnologia, non il contrario.
Un film talmente denso ed estremo da risultare a tratti insostenibile nella sua coerenza. E appunto per questo un capolavoro sbagliato.
...segui Gianpietro.
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