Erano le sette di sera e rincasando acquistai una retina di vongole da cucinare con gli spaghetti.
Arrivato al portone di casa mi trovai a pensare che anni prima non avrei mai comprato le vongole per un consumo immediato, dovendole depurare in acqua e sale per diverso tempo prima di poterle cucinare. Invece ora, da lì a poco, avrei preparato per me e per mia moglie uno dei nostri piatti preferiti.
In realtà avrei potuto decidere molto prima di rinunciare al bagnetto del conchigliame, ma a volte ci facciamo condizionare dagli stereotipi e fatichiamo a uscirne.
Mi tornò alla mente un libro, Lo Zen e l’arte della manutenzione della motocicletta, di Rober M. Pirsing, piacevole lettura anche per chi non ha mai avuto a che fare con le moto. Ciò perché, oltre a essere un libro avventuroso che narra di un viaggio dal Minnesota al Pacifico che in qualche modo si rivelerà catartico, lascia trasparire un aspetto che trovo congruente con il tema delle vongole. Di fronte a un motore che non funziona, rinunciamo a priori a capire quale sia il motivo, ossia deleghiamo al meccanico, anche se potremmo notare che si è semplicemente staccato un filo, e che pertanto saremmo pienamente in grado di riavviarlo. Ciò per dire che talvolta rinunciamo a priori alle nostre capacità, alla logica. E questo succede anche in cucina. Una mia amica giornalista sosteneva che persone “intelligenti” si “lobotomizzano” di fronte ai fornelli non applicando le facoltà cerebrali come in altri campi. Nel mio caso decisi di non mettere più le vongole in ammollo quando i miei emisferi cerebrali, almeno per un attimo, si interfacciarono.
Ma per spiegarmi devo tornare indietro nel tempo.
Nell’isola caraibica Margarita, vi è una spiaggia chiamata Playa Guacuco, per il numero incredibile di guacuco, sorta di vongole, che entrando nell’acqua si avvertono sotto i piedi. Ne mangiai più volte, crudi sulla spiaggia o spadellati a casa, ma mai mi capitò, negli anni che rimasi sull’isola, di trovare un solo granello di sabbia nel guscio. Del resto in Italia nell’acquistare i tartufi di mare, i fasolari o altri frutti di mare che vivono insabbiati, mai mi è venuto in mente di metterli in acqua e sale, e mai trovai sabbia nei loro gusci… eppure continuavo ad ammollare le vongole, mantenendo i due insiemi, quello dei frutti di mare e quello delle vongole, separati, ossia corroborando, sia pur involontariamente, ciò che sosteneva la mia amica giornalista.
Poi il Satori. A Noli, località ligure, in una piccola pescheria gestita da tre donne, una signora anziana con le figlie, dopo aver acquistato una retina di vongole chiesi alla signora quanto tempo dovessero rimanere in acqua e sale. E lei, di lunga esperienza professionale, che conosceva molto bene ciò che vendeva, mi disse, continuando a sfilettate un branzino, che era perfettamente inutile farlo. E in quel preciso istante scoccò la scintilla, il lampo, tra un emisfero e l’altro del mio cervello. E connessione fu: le vongole entrarono a far parte dell’insieme degli altri frutti di mare, e come gli altri da lì in poi le avrei trattate. Non intendo con questo affermare che sia corretto evitare di immergere le vongole in acqua salata, né mi permetterei di sottintendere che ammollarle sia sbagliato. Semplicemente mi sento se non figlio, quantomeno pronipote dell’illuminismo, ossia del movimento filosofico che ebbe il merito di lasciarsi alle spalle superstizioni secolari, e che fu l’incipit, congresso di Vienna permettendo, della nostra età contemporanea. Pertanto da post illuminista, pur rispettando non solo l’ammollo delle vongole, ma anche l’immersione per un tot di volte del polpo nell’acqua prima di bollirlo, la sigillatura dei “pori” della bistecca in padella, e più in generale pur rispettando qualsiasi rito tribale, non per questo ne divento proselito.
Ciò che rovina il sauté o la zuppa è il guscio di vongola chiuso pieno di sabbia che nonostante l’ammollo, ha voluto cocciutamente persiste nel suo stato desistendo solo in cottura. Nei ricettari fa pendant con l’ammollo l’indicazione di eliminare dopo la cottura le vongole rimaste chiuse. In realtà queste spesso sono le più forti e resistenti, quelle gastronomicamente migliori e pertanto meglio prolungarne la cottura, prima di eliminarle.
Rispetto alla spaghettata… non voglio annoiare con una ricetta chi probabilmente ne sa più di me, ma tre consigli mi sento di suggerirli:
sciacquo con cura i gusci per eliminare eventuali granelli di sabbia ed esamino quelli chiusi, ossia quelli da cui non spuntano i sifoni, per verificare che non siano vuoti; cuocio gli spaghetti in acqua bollente non salata e quando si sono ammorbiditi così da poterli piegare li scolo e ne proseguo la cottura nel liquido delle vongole precedentemente fatte aprire: ho provato a cuocerli nel solo liquido, ma risultano troppo salati; per base aromatica, utilizzo aglio e burro anziché olio, perché grazie alla dolcezza, ammorbidisce le note salate del piatto mentre l’olio extra vergine d’oliva oltre ad aggiungere note erbacee, spesso è amarognolo e il sale potenzia l’amaro.
E poi, l’abbinamento aglio-burro è impagabile…
In base a queste indicazioni quella sera preparai gli spaghetti con le vongole appena acquistate, che completai, per compiacere mia moglie, con un trito di prezzemolo (solo le foglie).
...segui Fabiano.
Commenti