Primo Piano

The Equalizer 3 – Senza Tregua

E senza vergogna, purtroppo

L’ho scritto altrove e lo ribadisco qui: demolire un film brutto è tempo perso.
Tempo perso perché è come sparare sulla croce rossa. L’unica utilità che si può trarre dal demolire un film brutto consiste nel definire gli elementi che danno ragione della bruttezza, così da imparare per contrasto come realizzare un film che brutto non sia – un film bello è un’altra cosa.

Tuttavia ci sono delle eccezioni eThe Equalizer 3 ne è meritevole, purtroppo.

Dipaniamo un nodo: il primo capitolo della saga mi era piaciuto parecchio; il secondo mi era risultato insipido. Non, però, per la trama in sé. Quando un film di serie B viene realizzato con mezzi da serie A, mi emoziono. Motivo: l’onestà. Reputo il cinema di serie B onesto spesso molto più di certi prodotti autoriali che si rivelano delle ciofeche.
Quando si guarda un B-movie (consapevole di esserlo) si riafferma quel famoso piacere della riconferma di cui ho scritto più di una volta. È appagante, sostanzialmente perché il bisogno di spensieratezza è fondamentale nel guardare un film. Poi può subentrare altro, ma di base deve esserci il piacere della visione.
Però tutto ha un limite.
Perché posso accettare che The Equalizer 3 sia ambientato in un’Italia composta solo da paesini calabresi a strapiombo sul mare; posso accettare che Denzel Washington venga aiutato da carabinieri, medici locali, popolazione varia, senza che nessuno chieda chi sia, si sinceri di cosa abbia fatto (giusto una strage di mafiosi in una tenuta di campagna sicula), accontentandosi di un semplice “sei un uomo buono contro i cattivi”; posso accettare che “gli uomini cattivi” siano usciti da Gomorra, siano tutti vestiti di neri, parlino in dialetto e in inglese come niente fosse e facciano brutto ai carabinieri come fossero degli allocchi; posso accettare che lo Stato non esista, che tutto si risolva in solidarietà spiccia, così come la vendetta, e che qualsiasi azione non abbia conseguenze; posso accettare che Washington sia un super-eroe capace di ammazzare chiunque senza riportare danni o ferite invalidanti; posso accettare che Dakota Fanning sia un’agente della CIA che si lascia abbindolare dai funzionari corrotti italiani come fosse una turista; posso accettare che la Fanning scopra l’identità di Washington ma decida di non arrestarlo, senza che nessuno dei superiori le chieda di fare il proprio lavoro.

Posso accettare qualsiasi stupidaggine inverosimile mi venga propinata. Ma non posso sorvolare sul kebab.

Perché mi va bene tutto se lo scopo è farmi divertire (accetterò sempre più qualcosa di “figo e inverosimile” a qualcosa di “noioso e verosimile”) ma non mi si può mostrare una sequenza con la gentil donzella di turno invaghita di Denzel, che gli propone di mangiare la vera cucina italiana (come se una varietà regionale fosse emblema della cucina italiana tutta, ma vabbè), e lo porta a mangiare… un kebab.

Qui l’asino, già caduto, si è rialzato e si è lanciato da uno strapiombo.

Sono i dettagli a fare la differenza. Se sposi un registro stereotipato devi essere coerente. È fondamentale. Non puoi scegliere la coerenza dei luoghi comuni italiani e poi cadere sul kebab. Perché si concretizzano l’errore e la mancanza di rispetto più gravi che tu possa avere verso lo spettatore: la pigrizia.
E vedendo un prodotto realizzato con pigrizia, io che pago il biglietto mi risento, non reputo corretto accettare una cosa del genere. Perché poi tutti i difetti sui quali avevo sorvolato tornano col doppio della loro gravità.
Quindi The Equalizer 3 mostra la propria vacuità divenendo un prodotto dozzinale e scorretto, diviso in un due parti delle quali la prima è di una noia smisurata, mentre la seconda fornisce il minimo sindacale in termini di azione e sangue, senza nulla che ne renda meritevole la visione.
Un peccato veniale che diventa capitale al netto del fruitore ultimo.
Non lo nego: davanti alla sequenza del famigerato kebab mi sono sentito come Annie Wilkes quando redarguisce Paul Sheldon per l’inizio incoerente del nuovo libro di Misery. Ecco, accetto l’inverosimiglianza, accetto la grana grossa, ma se il patto è condiviso. Se mi freghi con la pigrizia si rompe l’accordo. E se si rompe l’accordo si rompe la fiducia.

Per assurdo The Equalizer 3  è un film da vedere; per capire cosa non guardare.

Detto tutto.
...segui Gianpietro.

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Gianpietro Miolato
Formazione letteraria, passione per buon cinema e buona cucina di cui scrive su riviste del settore e su PassioneGourmet, ha trovato nella settima arte la scuola di vita che la vita stessa non gli aveva fornito. Un legame sanguigno, con alti e bassi, spesso cinico, mai enfatico. In una parola: onesto.

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