Il senso del dovere

Sebastiano Favero

Alpini patrimonio italiano

Sebastiano Favero guida un’armata (disarmata) di 322 mila persone

Mettendo insieme Esercito, Marina e Aeronautica, le forze di difesa italiane arrivano a 160 mila: la metà circa. Nessun paese al mondo può vantare un’associazione d’arma con un simile patrimonio, umano e operativo.
Nessuno può vantare un’Adunata nazionale in cui si riuniscono in una città dalle 200 alle 400 mila persone, di cui 90 mila sfilano la domenica ininterrottamente per dieci ore.
Ingegnere, ufficiale di complemento del 74° corso AUC della Scuola Militare Alpina, Favero dal 2013 è presidente dell’Associazione Nazionale Alpini, fondata a Milano nel 1919. Dopo la terribile esperienza della Prima Guerra Mondiale, gli Alpini “decisero di unirsi e fare qualcosa di concreto per aiutare le famiglie dei commilitoni e non disperdere il patrimonio di solidarietà e valori umani che si era creato sulle creste e nelle trincee”, si legge nel sito ANA.IT.
Precisazione: non bisogna confondere le Truppe Alpine, corpo armato dell’Esercito, creato nel 1872, con l’A.N.A. che è un’Associazione d’arma alla quale si possono iscrivere tutti coloro che hanno prestato servizio militare nei reparti di montagna, oltre ad amici e aggregati che si riconoscono nei valori tramandati dagli Alpini.

Qual è il segreto del legame così forte che unisce gli Alpini?

«La montagna, anche se sembra difficile e quasi impenetrabile, quando uno la frequenta crea questo spirito: di appartenenza da un lato e di coesione dall’altro. Chi va in montagna sa che senza l’aiuto del compagno non si arriva in cima e quindi nasce questa sorta di fratellanza. Credo che chi ha fatto il militare nelle Truppe Alpine questo spirito pian piano lo assorba e se lo porti per tutta la vita. Il cappello, come diciamo noi, una volta che uno l’ha messo non lo smette più».

La penna è cucita in testa, insomma…

«Si crea uno spirito che definirei di condivisione: quando si fatica insieme rimane questo senso forte di appartenenza, ma anche di amicizia».

Lo stesso che continua nei Gruppi A.N.A….

«L’articolo 2 del nostro Statuto parla di difesa e valorizzazione della montagna e dell’ambiente naturale, ma anche di tradizioni, fratellanza, volontariato e Protezione Civile: il senso della solidarietà nasce proprio da questo essere insieme. In Italia abbiamo 4.300 Gruppi, raccolti in 80 Sezioni: i soci si riuniscono in genere almeno una volta alla settimana. Le loro sedi diventano luoghi di ritrovo e di amicizia, specie nelle frazioni più piccole dove tutti si conoscono. Si organizzano attività socialmente utili, ma anche ludiche per la comunità.   

L’A.N.A. ha più di cento anni di storia: come è cambiata e come vi siete adeguati alle nuove esigenze?

«Siamo sempre di più entrati nell’idea di solidarietà senza dimenticare la memoria. “Onorare i morti aiutando i vivi”, per usare uno slogan coniato da un mio predecessore. Solo le unità di Protezione Civile contano circa 13 mila volontari attivi: abbiamo colonne mobili nazionali, regionali e anche una serie di nostre strutture nei singoli comuni. Siamo dotati di un ospedale da campo avioelitrasportabile, unità cinofile di soccorso, squadre antincendio boschivo e tanto altro. Voglio anche sottolineare che gli Alpini sono tra i pochi che fanno volontariato in modo totalmente e realmente gratuito. Perché molte altre attività, come previsto dalla legge sul Terzo settore, sono retribuite».

Avete anche unità subacquee…

«Può sembrare strano, ma non dimentichiamo che in montagna ci sono i laghi. Abbiamo una componente subacquea di soccorso, ma anche di recupero reperti, per esempio in caso di terremoti o calamità».

Dall’inizio degli anni Duemila, quando è finita la naja, i vostri numeri saranno in calo: state pensando a qualche rimedio?

«Stanno diminuendo leggermente: negli ultimi dieci anni circa il 2 per cento all’anno. Ma c’è anche un recupero di persone tra i 45 e i 65 anni, Alpini che hanno fatto il servizio, ma non si erano mai iscritti. Poi ci sono amici e aggregati che, pur non potendo essere soci da Statuto, perché occorre aver prestato almeno 60 giorni di servizio nelle Truppe Alpine, ci supportano in molte attività. Ma nel lungo periodo questo problema si porrà e da alcuni anni abbiamo avviato discussioni interne per capire come gestire il problema e con quali modalità e ruoli accogliere nuove forze».

La politica si pone il problema che tra qualche anno i servizi di Protezione Civile e tutti gli altri che fornite dovranno essere gestiti… da qualcun’altro?

«Da quando sono presidente, ormai un decennio, ho avuto colloqui con le istituzioni di tutti i colori politici. A parole si dicono interessate, ma risultati concreti ancora pochi. Senza entrare troppo in dettagli tecnico-legislativi, ci sono alcuni scogli ancora da superare. Noi abbiamo fatto alcune proposte e messo a disposizione le nostre competenze, soprattutto in ambito logistico. Abbiamo tecnici, elettricisti, meccanici e altri specialisti che possono fornire un valido aiuto soprattutto nella formazione dei giovani».

Organizzate anche i campi scuola…

«Sono nati quasi vent’anni fa e vanno da fine giugno ai primi di settembre per periodi di due settimane. Incontrano molto successo quelli introdotti tre anni fa per ragazze e ragazzi dai 16 ai 25 anni e le domande superano di gran lunga i posti disponibili. È una dimostrazione che se ai ragazzi d’oggi viene data la possibilità, sono entusiasti di impegnarsi. Questo è uno dei miei punti di forza quando vado a parlare con i politici di un ritorno a una forma di servizio obbligatorio».

A vostro parere come potrebbe essere organizzato?

«Il servizio di leva com’era in passato non è ormai più realizzabile, ma si potrebbe pensare a un servizio di un certo numero di mesi a favore della collettività. Ne avevamo discusso all’Adunata nazionale di Pordenone con l’allora Presidente del Consiglio Matteo Renzi e con la ministra della Difesa Pinotti, ma poi la legge sul Terzo settore ha avuto un iter travagliato, soprattutto per quanto riguarda l’uso o meno delle armi. Un’ipotesi potrebbe essere la creazione di una sorta di Guardia Nazionale sul modello degli Stati Uniti impiegabile in diversi ambiti: pensiamo solo a una funzione di supporto alle forze dell’ordine o all’operazione Strade sicure».

Chi finanzia l’A.N.A.? Ci sono contributi pubblici?

«I nostri soci pagano un’iscrizione annuale di 19 euro, una parte resta alle Sezioni e circa 10,50 euro arrivano alla sede nazionale. Lo Stato ci dà un contributo annuo di 50 mila euro, anche se noi da soli rappresentiamo il 50 per cento di tutte le altre associazioni. L’A.n.p.i. (Associazione nazionale partigiani d’Italia, ndr), per fare un esempio, prende molto più. Poi abbiamo dei contributi specifici specie dalle regioni su singoli progetti e per la Protezione civile».

I vostri Gruppi sono in tutta Italia?

«Sì, anche se tradizionalmente il bacino più consistente è sempre stato quello delle regioni del Nord. La leva alpina era reclutata in quelle zone e in Abruzzo. Il forte legame derivava anche dal fatto che spesso ci si conosceva e si veniva dallo stesso paese: si era amici prima del militare e lo si rimaneva dopo.».

Cosa è per lei senso del dovere e come si trasmette?

«Intanto si insegna con i fatti e con il comportamento: noi siamo uomini del fare più che del dire. Prima vengono i doveri, poi si possono anche accampare diritti. Forse andiamo controcorrente perché la nostra società parla solo di diritti, noi invece continuiamo a dare».

La più grande soddisfazione della Presidenza A.N.A.?

«Vedere i miei soci e i miei Alpini che ogni volta che mi vedono dicono grazie».

Torniamo all’Adunata nazionale: finita una si comincia a organizzare la successiva; come mai richiede così tanto tempo?

«In realtà, un anno e mezzo prima. Il carico burocratico e fiscale è aumentato, bisogna certificare e assicurare tutto e quindi dal 2008, all’Adunata di Bassano del Grappa, la competenza di fatto è passata sotto diretto controllo della direzione nazionale. Abbiamo ripartito i compiti tra una Fondazione che si occupa di protezione civile e volontariato e la Servizi ANA che si occupa delle attività più commerciali come sponsor, vendita di gadget e gestione dei contributi della Regione e del Comune che ospita l’evento».

Montanelli, dopo l’Adunata del ‘92, titolò “Gli alpini lasciano Milano pulita” e in effetti il lunedì mattina le città sono meglio di prima: come fate?

«I nostri sanno che devono lasciare tutto in ordine, ma dato che i partecipanti non sono solo alpini stipuliamo un accordo con le società che gestiscono le pulizie per il Comune. Da qualche anno abbiamo previsto anche l’affitto dei bagni chimici, che incide molto come costi, ma è indispensabile. Le voglio citare un episodio: a Milano nel 2019 il questore mi telefonò chiedendo che il parco Sempione non fosse occupato dalle tende, ma io non avevo potere di impedirlo. La soddisfazione è stata che il lunedì lo stesso questore mi ha richiamato per ringraziare perché il parco era più pulito di prima».

L’Adunata di Rimini ha lasciato dietro di sé alcune polemiche su comportamenti sessisti e inopportuni: voi avete un codice di comportamento e un servizio d’ordine che controlla il regolare svolgimento, ci sono altre iniziative?

«Purtroppo, questo tipo di atteggiamento non riguarda gli Alpini, ma i maschi in generale. La nostra società ne ha preso coscienza ed è giusto: abbiamo fatto diversi incontri, anche con esperti del settore, per affrontare concretamente il problema, perché gli Alpini come sempre vogliono essere d’esempio. Abbiamo preparato un “decalogo” (che in realtà è in otto punti) per suggerire una riflessione corretta sul tema, unica realtà associativa ad averlo fatto, un sito (CONTROLEMOLESTIE.IT) per essere parte attiva di questo cambiamento culturale. Però rigettiamo con forza l’equazione Alpini=molestatori: purtroppo a Rimini la campagna denigratoria era iniziata già alcuni giorni prima del nostro arrivo. Gli Alpini erano stati scelti polemicamente come obiettivo eclatante per sollevare un problema concreto. In questi tre anni abbiamo anche promosso una serie di convenzioni con le commissioni Pari Opportunità di molte regioni, le cui componenti sono tutte donne, che ci hanno riconosciuto l’impegno e in alcune Adunate hanno sfilato con noi con lo striscione “Le donne con gli Alpini contro la violenza”».
...leggi gli altri articoli di Carlo Bocchialini.

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Carlo Bocchialini
Giornalista con un breve passato da avvocato, per le riviste del gruppo Rizzoli – Corriere della Sera, ha realizzato servizi e reportage in Italia e nel mondo per poi approdare a Parigi come corrispondente durante la presidenza Sarkozy. Ha collaborato anche con vari periodici e quotidiani nazionali. È stato professore a contratto di “Linguaggio del giornalismo” all’Università di Parma e si è diplomato in Terrorismo Internazionale all’Università di St. Andrews in Scozia. Appassionato di arti marziali da più di trent’anni, insegna Krav Maga, disciplina israeliana di difesa personale, di cui è cintura nera 2° dan e istruttore federale. (La foto è merito di Gio’ Rossi.)

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