Il senso del dovere

Nave scuola Amerigo Vespucci

Immaginate di andare a una festa con lo smoking di vostro nonno, fatto da Caraceni ai tempi che furono. Il taglio non sarà attualissimo e il tessuto un po’ pesante, ma c’è un mondo in quell’abito e il fatto di indossarlo vi farà provare un brivido di compiacimento e appartenenza a una Storia. Non avete alcun merito personale, ma in qualche modo quell’oggetto fa parte di voi.

Adesso moltiplicate la sensazione alcune decine di volte, conditela con Rebel Rebel, e comincerete a capire perché prendere il largo sull’”Amerigo Vespucci”, sfiora la lacrima di orgoglio nazionale.

Certo, è già un piacere salire a visitarla, ferma in porto, ma l’emozione più grande è essere in mezzo all’equipaggio che “danza” in perfetta sincronia sui ponti per solcare le onde condite dal tramonto.

Gestire 36 chilometri di cavi e cime (drizze, bracci, scotte, mure: nomi che evocano mari e avventure) e 2.635 metri quadrati di vele non è alla portata dei primi sprovveduti: sbagli qualche passaggio ed è un attimo trovarsi arenato sulle secche. 

La “nave più bella del mondo” (come la definì il comandante della portaerei USS Independence incrociando la Vespucci nel 1962) «profuma di antico», dice il Capo di Stato Maggiore della Marina Militare, l’Ammiraglio di Squadra Giuseppe Cavo Dragone, che rimpiange quell’estate del 1977 in cui per la prima volta salì la passerella da allievo ufficiale.

Perché nulla è più moderno della tradizione per insegnare a navigare ai cadetti dell’Accademia Navale di Livorno.

Bussola, sestante, venti e stelle sono i compagni di viaggio di un’esperienza unica, in cui si impara che sono veramente pochi quelli che -come si dice in gergo- possono dare del tu al mare e di questi nessuno osa farlo.

Non c’è ufficiale di Marina che non sia passato su questi ponti: finiti gli esami del primo anno, sono stati 104 i giovani aspiranti imbarcati a luglio 2021, 73 maschi e 31 femmine, più 14 stranieri, mandati dai loro Paesi a frequentare il corso italiano. E solo dopo aver appreso queste basi tradizionali, durante i tre mesi circa di campagna di istruzione in giro per il mondo (Mediterraneo, Americhe, Nord Europa, nel 2003 persino in Nuova Zelanda per affiancare l’America’s Cup), si passa sulle “navi grigie”, quelle moderne, armate e tecnologiche con cui si proteggono le nostre coste, si fanno le missioni internazionali antipirateria o si va in supporto alle truppe o ai connazionali all’estero in difficoltà.  

Novant’anni giusti (era il 1931 quando fu varato dal Regio Cantiere Navale di Castellamare di Stabia) nonostante progressivi ammodernamenti e riallestimenti, questo tre alberi di 101 metri e 4.300 tonnellate di dislocamento conserva il fascino di legni cigolanti, ottoni e cime che parlano sottovoce, senza ostentare la propria eleganza. Persino la parità di genere è stata rispettata dagli esordi: è femminile quando si parla della “nave Vespucci”, maschile quando è semplicemente “il Vespucci”.

Dal 2013 al 2016 presso l’Arsenale di La Spezia è stato fatto il cosiddetto “ammodernamento di mezza vita”: un lavoro di manutenzione straordinaria in cui, tra le altre cose, è stato installato un nuovo sistema di propulsione elettrico (più ecologico), adeguati gli impianti, restaurato il teak di coperta, i locali dell’equipaggio, le cucine, la carena e migliorati i sistemi di sicurezza del personale di bordo. L’aspetto esterno, con i fascioni bianchi e neri che ricordano le linee dei cannoni dei vecchi vascelli da guerra, i fregi dorati e la polena raffigurante il navigatore Amerigo Vespucci, è stato rifatto senza alcuna modifica.

A bordo tutto è grande con discrezione: trinchetto, maestro e mezzana sono gli alberi caratteristici della nave, di altezze variabili tra i 43 e i 54 metri, cui si aggiunge il bompresso che sporge di 18 metri dalla prua. 

“Non chi comincia ma quel che persevera” è il motto del Vespucci, perché la vita di bordo non è facile, ancor più durante l’emergenza Covid, in cui le discese a terra erano vietate e la convivenza ha messo l’equipaggio sotto pressione.

«Un po’ di leggerezza serve ad affrontare i momenti di cedimento che arrivano a tutti gli allievi durante il periodo di formazione», dice il Capitano di Vascello Gianfranco Bacchi, attuale comandante e 122° nella storia della nave. Forse per questo durante le manovre fa suonare David Bowie sui ponti. Un po’ di carica e di allegria, un contrasto azzeccato tra tradizione militare e modernità che ricorda la colonna sonora della “Marie Antoinette” di Sofia Coppola. 

Per apprendere la vita marinara e la gestione della nave si alternano lezioni del personale anziano, esercitazioni pratiche, attività sportiva e uso delle armi leggere: il Vespucci è pur sempre una nave militare e la sicurezza in porto è garantita da guardie armate. I locali interni sono grandi ma multi-ruolo: l’aula accademica si trasforma in mensa e poi in dormitorio, rigorosamente sulle amache che attenuano il rollio e il beccheggio dello scafo: appese la sera e riposte la mattina. «Accolgono», per usare le eloquenti parole dell’Ammiraglio Paolo Treu, ex comandante in capo della Squadra navale, «nella loro inospitale forgia, corpi esanimi che si adagerebbero anche sui chiodi».

La plancia con la timoneria storica è un altro passaggio obbligato per gli allievi: quattro ruote “a caviglia” per otto persone che, come nei tempi passati, cambiano la rotta a forza di braccia, sapendo che quattro giri completi equivalgono a un solo grado di barra. 

«Scusate, adesso devo andare a portar fuori la nave»: interrompe le domande con ironia il Sottotenente di Vascello Federico Messina che, alla faccia di sdraiati e bamboccioni, a soli 26 anni è l’ufficiale di rotta del Vespucci. Con lui altri 263 militari tra ufficiali, sottufficiali e marinai fanno parte dell’equipaggio effettivo, diviso in “servizi” a seconda degli incarichi, che spaziano dalla navigazione alla logistica, dall’amministrazione alla sanità.

Quando salgono gli allievi dell’Accademia si arriva a circa 400 persone imbarcate e solo con il loro supporto è possibile la navigazione a vela senza “distrarre” altro il personale: la manodopera serve abbondante.

Gli ordini per le manovre delle vele vengono impartiti a suon di fischi, da apprendere rapidamente perché il Vespucci ama essere ecologico e i motori si spengono appena c’è un alito di vento. Si fanno i turni di giorno e di notte, per imparare a lavorare col buio.

“Nave senza nocchiero in gran tempesta” scrive Dante nel Canto VI del Purgatorio e di nocchieri il Vespucci ne ha ben un centinaio: termine antico che indica i sottufficiali addetti ai servizi marinareschi di bordo (soprattutto timone, vele e manovra delle ancore) e tra loro il nostromo è il più anziano e con maggiore esperienza. Sono i navigatori che tramandano consigli e segreti agli allievi su come affrontare il mare.

Chissà, magari la sera raccontano anche storie di piovre e di balene… 

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Carlo Bocchialini
Giornalista con un breve passato da avvocato, per le riviste del gruppo Rizzoli – Corriere della Sera, ha realizzato servizi e reportage in Italia e nel mondo per poi approdare a Parigi come corrispondente durante la presidenza Sarkozy. Ha collaborato anche con vari periodici e quotidiani nazionali. È stato professore a contratto di “Linguaggio del giornalismo” all’Università di Parma e si è diplomato in Terrorismo Internazionale all’Università di St. Andrews in Scozia. Appassionato di arti marziali da più di trent’anni, insegna Krav Maga, disciplina israeliana di difesa personale, di cui è cintura nera 2° dan e istruttore federale. (La foto è merito di Gio’ Rossi.)

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