Delicatessen

Ricci di mare

In pescheria acquistai una dozzina di profumati e vibranti ricci di mare, che avrei proposto la sera alla mia compagna. Dovevo solo decidere come.
Sono sostanzialmente tre i modi in cui i ricci mi soddisfano maggiormente, forse perché associati a piacevoli esperienze. Piacevoli non solo per il palato, ma anche per le situazioni in cui si verificarono, l’ambiente, le persone, il mio stato d’animo.

E, di ciascuna di queste, ricordo la prima volta o quella più significativa.

UNO

Studente universitario ero in vacanza a Palinuro, sulla Costiera Cilentana, per esplorare in apnea i suggestivi fondali. Qui conobbi alcuni ragazzi appassionati di immersioni e mi unii a loro. Eravamo in quattro e in barca percorrevamo tratti di costa non raggiungibili a piedi e lì ci immergevamo. A pochissimi metri dalla superficie si apriva un paesaggio subacqueo che in altre regioni si trova a profondità maggiori. Mi piaceva vedere da vicino pesciolini colorati entrare e uscire dagli anfratti, per nulla intimoriti dalla mia presenza. Dei miei nuovi amici, Patrizia, brevetto sub, era molto rassicurante. Un giorno decidemmo di raccogliere qualche riccio.
Vi sono ricci neri e appuntiti e altri rossicci e più piatti, e sono questi ultimi che vanno scelti. Dopo l’ultima immersione, buttai nella barca maschera e retina con i ricci, per poi issarmi. In bilico, metà dentro e metà fuori, mi trovai con la testa a pochi centimetri dalle gambe di Patrizia. Sperando che vedendomi si spostasse, per un attimo indugiai. Ma lei, pensandomi in difficoltà, mi aiutò a risalire così che rovinammo sul fondo della barca e per un istante, che si dilatò in un lungo momento, rimanemmo una sull’altro, prima di rialzarci ridendo.
Fu molto piacevole degustare i ricci appena raccolti perché alla loro bontà si aggiungeva la situazione, ossia essere in vacanza in barca al mare, il senso di benessere che davano le endorfine generate dalle immersioni, la pelle bagnata, l’idea di nutrirci di un cibo appena pescato, e oltretutto da noi. Tenendoli sul bordo della barca li spaccavamo con un colpo di coltello da sub, in modo da eliminare la parte piatta, per poi mangiarli staccando gli spicchi con le dita, non avendo nessuno di noi pensato di portare un cucchiaino.

Per estensione, in mancanza di mare e di barca, un primo modo in cui mi piace degustare i ricci è al naturale, senza altra aggiunta se non un calice di vino.

DUE

Ero in Sicilia, diretto a Scopello, nel Trapanese, località nota per i faraglioni. Anziché procedere da Messina direttamente verso Palermo viaggiai alla volta di Catania perché volevo passare a trovare alcuni amici in vacanza in una località marittima poco distante dall’Etna.
Conoscendo la mia passione per i ricci di mare, ne acquistarono una cassetta da un pescatore di Aci Trezza. Aprirli fu un lavoro di squadra: se in barca si usa il coltello, in cucina si utilizzano le forbici. Si afferra il riccio con una mano protetta da un canovaccio tenendolo con la parte piatta rivolta verso l’alto; con l’altra mano si infila la lama più appuntita di una forbice nell’opercolo posto nel centro, si taglia il guscio tracciando un raggio nella parte piatta, quindi si segue la circonferenza.
Raccogliemmo gli spicchi in una ciotola per una grande, memorabile, spaghettata che onorammo la sera sulla terrazza vista mare, brindando con i generosi vini bianchi siciliani.
All’epoca, però, non sapevo ancora che a dare il sapore alla pasta, come mi spiegò un grande cuoco, è il liquido dei ricci che in genere si butta. E da allora, una volta aperti, filtro il liquido con un colino per poi emulsionarlo con olio extravergine d’oliva. Condisco con salsa ottenuta gli spaghetti. Impiatto e unisco direttamente sulla pasta i coralli… e questo è il secondo modo.

TRE

Conobbi Sissi una sera in un wine bar a un tavolo di amici, mentre festeggiava il suo ventiseiesimo compleanno. Alta, atletica, capelli biondi corti a cresta e orecchie inanellate da numerosi piercing… da quella sera cominciammo a frequentarci. Sissi mi piaceva perché positiva, sorridente, ironica.
Notai presto la sua divertita attenzione al mio comportamento quando lo riteneva inconsueto. Una sera, per esempio, nel delizioso dehors di un ristorantino in zona Monforte, al momento del dolce guardai la carta dei vini da dessert. Oggi sono svariate le etichette abbinabili al cioccolato, mentre allora, eravamo già in età digitale, molto più rigorosi, si contavano sulle dita e tra queste eccelleva il Banyuls, vino rosso molto trendy. Vedendolo in carta ne ordinai mezza bottiglia e chiesi di portarci per accompagnamento una tavoletta di cioccolato fondente, senz’altro presente in cucina, e Sissi sorrideva divertita per la mia richiesta. In un’altra circostanza, ordinando un calice di Lagrein, chiesi al cameriere di rinfrescare la bottiglia. Lui mi rispose che no, non poteva in quanto ai clienti piaceva il vino caldo (non disse proprio così) al che gli chiesi un secchiello con poco ghiaccio e vi rinfrescai il mio calice mentre la mia giovane amica mi osservava divertita. Era l’epoca in cui pretendere il secchiello del ghiaccio per portare a temperatura un vino rosso servito a oltre 20 °C provocava espressioni turbate da parte del cameriere. Ma ciò che divertiva la mia amica erano per me, in realtà, necessarie procedure di sopravvivenza.
Ma veniamo ai ricci.
Frequentavamo un ristorante di pesce ben fornito di frutti di mare. Era un loft con un ampio cocktail bar all’ingresso con divani e poltrone di pelle, mentre il ristorante disponeva di un grande soppalco e a sinistra di una sala più piccola dove solitamente prenotavo il nostro tavolo. All’estero in alcuni locali è prassi ordinare i piatti al bar mentre si beve l’aperitivo, per poi essere chiamati dal cameriere in sala quando la portata sta per essere servita. Ma lì no, non era possibile.
Così una sera mentre al bar preparavano due Bloody Mary, accedemmo al ristorante, ordinammo un Plateau Royal e, chiesto al cameriere di avvisarci quando pronto, tornammo ai nostri aperitivi. Sissi sembrava eccitata, e mi parlava divertita mentre centellinavamo i nostri drink. Quando il cameriere ci chiamò non li avevamo ancora finiti per cui li portammo al tavolo e lì, con un cucchiaino, cominciai a scalzare i coralli di un riccio facendoli cadere nel mio tumbler. Sissi sorrideva divertita trattenendo il riso e osservava attentamente: lo spicchio di riccio dal cucchiaino entrava dolcemente nel bloody per inabissarsi e precipitare sul fondo del bicchiere dove, dopo un immaginario impercettibile rimbalzo di assestamento, si depositava. Seguirono altri spicchi dello stesso e di altri ricci, quindi mescolai. Condivisi con lei il Bloody Mary così arricchito e alla fine con il cucchiaino la imboccai con i coralli che nel frattempo si erano marinati. Sissi sembrava in estasi mentre, mi accarezzava con il suo sguardo complice e ammaliante.

Il terzo modo in cui mi piace degustare i ricci di mare è, quindi, in cocktail.

Anche con il Margarita si ottengono risultati soddisfacenti.
Ma i ricci non li servo unicamente crudi. Talvolta li cucino per preparare una salsa provenzale da accompagnare al pesce poché. Si chiama oursinade (da oursins, ovvero ricci di mare) che realizzo lavorando in un piccolo tegame dal fondo spesso, 30 g di burro e tre tuorli come per preparare una salsa olandese, poi verso 2 dl di fumetto di pesce o di bisque e continuo la cottura sino a ottenere una consistenza omogenea; unisco allora i coralli dei ricci, mescolo dolcemente e proseguo la cottura, a bagnomaria, per qualche minuto.
Tornando dalla pescheria, non so perché non so per come, mi trovai a canticchiare “Cara”, canzone di Lucio Dalla che mi riportò a Sissi, a quando condividemmo la nostra variante di Bloody Mary, al suo sguardo seducente.
E, allora, un po’ divertito, decisi che a casa, quella sera, buona parte dei ricci di mare appena acquistati sarebbe finita nello stesso modo… senza stare troppo a spiegare alla mia compagna perché.
...segui Fabiano.

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Fabiano Guatteri
Di poche parole, scrittore e giornalista, direttore editoriale della testata Good-Mood (www.good-mood.it), collaboro con la Guida I Ristoranti d’Italia de l’Espresso. Ho insegnato Gastronomia Sperimentale presso il Dipartimento di Chimica Farmaceutica dell’Università di Pavia. C’è dell’altro, ma basta così.

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