Il rispetto per lo sporco
Ho un profondo rispetto per Maniac (1980) di William Lustig.
Non esclusivamente per una questione di gusti ma per come è stato girato e per gli approdi che ha raggiunto.
In pochissimi casi mi è capitato di vedere una metropoli così cupa e priva di redenzione. Se da una parte influisce la presenza di Spinell nell’interpretare il maniaco (figura quella di Spinell che per prestanza e presenza antiestetica incarna perfettamente la psicopatia di Frank Zito), dall’altra contribuisce la messa in scena diretta e minimale che non spreca tempo nell’introdurre i perché e i per come dell’azione, estremizzando il concetto di in medias res con un truculento duplice omicidio nei primi due minuti e mezzo.
Ho rivisto il film la scorsa settimana per scriverne queste righe e l’effetto è stato lo stesso di quando lo vidi per la prima volta quindici anni fa. Con delle varianti.
Se il grand guignol mi ha ancora impressionato per realismo (nella testa esplosa di Disco boy il truccatore Tom Savini aveva inserito vere cervella animali), e la messa in scena in “stile guerriglia” – cioè con troupe ridotta all’osso, pochi soldi di budget e riprese in vere location senza permessi o protezioni – mi è parsa assai potente per immediatezza (non dimenticando che Lustig esordiva ufficialmente con questo film nel cinema mainstream dopo la realizzazione di due porno), sono rimasto colpito dall’indeterminatezza complessiva del film.
Terminata la visione non sapevo con precisione quanto di ciò a cui avevo assistito fosse davvero attendibile. Ma andiamo per ordine.
Ci sono numerose sequenze che paiono incongruenti se non del tutto folli: l’omicidio dell’infermiera in una metro deserta; l’assassinio dei giovani amanti a pochi metri da un’autostrada trafficata senza che nessuno se ne accorga; lo strangolamento privo di conseguenze della prostituta nel sudicio albergo. E di per sé parrebbe corretto giudicarle come tali se non fosse per il finale.
Nella sequenza al cimitero il ferimento di Frank è considerabile quale elemento conclusivo del canone slasher che voleva nella sopravvivenza della final girl (in questo caso una splendida Caroline Munro) a scapito del maniaco il clou narrativo. Ma proprio quando l’azione sembra terminare vediamo Frank venire afferrato dal cadavere della madre e da lì prende vita una parte conclusiva che ci fa precipitare nel delirio del protagonista, con smembramento finale. La normalità potrebbe essere ristabilita dall’arrivo dei poliziotti ma gli occhi che ci fissano nell’ultima immagine riaprono i giochi.
A cosa abbiamo assistito? Ad una storia narrata dal pdv di un maniaco, non c’è dubbio. Ma in che posizione eravamo noi spettatori? Esterna, interna, parzialmente interna?
Fino alla sequenza del cimitero si potrebbe dire vedessimo le vicissitudini di Frank dalla sua prospettiva, ma con una precisa distanza e con una precisa concezione delle incongruenze di cui sopra. Il delirio finale rimescola tutto.
Non mi pare illegittimo considerare l’intero film come una successione di immagini filtrate dalla sensibilità del protagonista. Noi spettatori siamo illusi d’essere in una posizione neutra sebbene seguiamo la vita di Frank Zito; in realtà seguiamo la vita di Frank Zito con lo sguardo di Frank Zito.
Non c’è distacco, così come non c’è un’attendibilità diegetica che non sia quella prevista dal pdv del protagonista.
In questo senso la componente tecnica accentua e completa la prospettiva, e le ristrettezze economiche esaltano la chiusura mentale del protagonista. Basti considerare l’appartamento di Frank: tra manichini con parrucche fatte da scalpi, luci soffuse e manette a sancire gli unici legami costruibili dall’uomo ci troviamo in un micro-mondo indipendente e malsano, in cui ascoltiamo i monologhi del maniaco rivolti a se stesso e, forse, a noi. E questo dà la misura della visione esterna che Frank ha del mondo e che noi adottiamo assistendo al film: un mondo non abitato da esseri umani ma da prede da cacciare.
Così facendo il contesto umano si annulla e tutto si riduce ad una proiezione solipsistica del reale in cui esistono solo il cacciatore (Frank), la preda (le donne da scalpare) e il luogo di attacco – che può essere coerentemente deserto, sebbene sia una metro.
Maniac si rivela dunque un film più stratificato e disturbante di quanto possa sembrare. E questo andando assai oltre la componente horror.
Curiosità 1: Maniac è il primo dei due unici film in cui Spinell ha un ruolo da protagonista (l’altro è The Undertaker del 1988 di Franco Steffanino, film uscito solo in dvd nel 2010). Oltre che interprete principale Spinell è ideatore del soggetto, co-sceneggiatore e co-produttore esecutivo di Maniac. A seguito dello stato di cult acquisito dal film dopo l’uscita nel 1980, Spinell ha interpretato nel 1986 un cortometraggio con cui intendeva trovare i fondi per realizzare il sequel di Maniac. Dopo tre anni i fondi furono trovati e la produzione del seguito sarebbe dovuta partire a marzo del 1989, ma la morte improvvisa di Spinell avvenuta il 13 gennaio dello stesso anno cancellò ogni piano. Il cortometraggio del 1986 si intitola Maniac 2: Mr. Robbie ed è stato diretto da Buddy Giovinazzo. È reperibile su YouTube.
Curiosità 2: nel 2012 è uscito un omonimo remake per la regia di Franck Khalfoun, con Elijah Wood nei panni di Frank Zito. Il film è interessante in quanto è girato quasi interamente in soggettiva col pdv del protagonista.
...segui Gianpietro.
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