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Il Corvo di Rupert Sanders

Il Corvo (2024): come lo fai tu, ma più in grande

Avete presente quell’amico che, quando raccontato un evento che vi ha coinvolti, sostiene che a lui è capitato ma più in grande? Avete mangiato una fiorentina da un chilo e mezzo? Lui ne ha mangiato una da tre chili, da solo. Avete bevuto sette gin tonic senza vomitare? Lui ne ha bevuti nove. Avete racimolato l’autografo di Jerry Calà? Lui ha conosciuto personalmente Calà, ne è diventato fraterno amico e passa regolarmente almeno una settimana in sua compagnia durante l’estate.
Dettagli che non ci siano prove a sostenere le posizioni del vostro amico e che le date dei fantomatici eventi o incontri non combacino con la sua età anagrafica.
Lui ha fatto tutto ciò che avete, o avreste, fatto voi. Ma più in grande.

Per approcciarsi a Il Corvo (2024) basta essere consapevoli che Rupert Sanders, regista di questo reboot, è quell’amico.

Inutili e fuori luogo possibili paragoni con la mitologia del fumetto e di tutti i prodotti a essa correlati, compresi quelli non realizzati (trovate centinaia di informazioni sull’internet). Sanders conosce quello che sapete voi ma lui lo conosce più in grande e, soprattutto, conosce come realizzare un reboot facendo tutto che avreste fatto voi ma più in grande.
Poi, però, come per le disavventure propinate in altre contesti, qualcosa non vi torna, la puzza di pesce marcio comincia a salire e vi rendete conto che, vabbè, che gli vuoi dire, è fatto così, è un amico.
L’aspetto straordinario di questo reboot è che è messo in scena con un’arroganza e una sicumera degna dei registi agli esordi senza un soldo – cosa che comunque Sanders non è, poiché i film che ha diretto lui prima di questo sono più grandi, ve lo aveva già detto – e riesce nell’incredibile triplo salto mortale di sbagliare tutto lo sbagliabile.
Sbaglia il cast, lasciando sulle spalle di un rassegnato Bill Skarsgård l’onere di portare avanti il film, riciclando una versione per famiglie di Pennywise.
Sbaglia il cast una seconda volta, dando a FKA twigs il ruolo cardine di Shelly, motore dell’azione, senza che la medesima abbia la benché minima idea di come recitare un’espressione impaurita e una divertita.
Sbaglia il look del film, alternando inquadrature controluce nelle scene di corredo e sequenze di pioggia in quelle narrative senza che vi sia una minima continuità logica tra le medesime.
Sbaglia il tono, optando per una presenza fantasy predominante che non si concretizza mai in una visione completa del film all’interna di questa chiave di lettura, relegando il tutto alla presenza di un limbo dalle fattezze di una stazione dei treni abbandonata (sic!) nel quale un altrettanto spaesato Sami Bouajila, nei panni di Kronos, funge da ipotetico Caronte/Virgilio utile a fornire degli spiegoni sul film che manco spiegano quello che accade.
Sbaglia la storia, andando dritto per una narrazione lineare che sacrifica il meccanismo a flashback dei precedenti film allungando la durata a due improbabili ore di cui la prima spesa (sprecata?) a mostrare l’amore tra Eric e Shelly per farci legare emotivamente ai personaggi.
Sbaglia la chiave di lettura, spostando l’asticella dalla vendetta all’amore mettendo però al centro della stessa due ragazzi uniti da pastiglie e feste, oltreché dalla fuga dai cattivi di turno, avvolgendo la seconda parte del film di un’ambiguità che sposta la lente di ingrandimento da un amore ideale a un amore tossico (letteralmente).
Ma soprattutto sbaglia l’approccio, poiché nelle intenzioni ti dice che lui, Sanders, avrebbe fatto il suo film, fregandosene di tutto e tutti, imponendo la propria visione della storia, ma lascia ogni intenzione sulla carta e non sviluppa in profondità nulla di quanto premesso, a cominciare dagli antagonisti le cui origini e ragioni d’azione sono incomprensibili.
E non è mettendo in bocca ai protagonisti che si ameranno per sempre, facendoli però stare insieme in tre scene due delle quali gli stessi sono fatti e annebbiati, che si crede alla bontà delle loro parole e a quelle di chi li ha fatti recitare così.
In sintesi: Sanders fa tutto quello che avreste fatto voi, errori compresi, ma più in grande.

...segui Gianpietro.

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Gianpietro Miolato
Formazione letteraria, passione per buon cinema e buona cucina di cui scrive su riviste del settore e su PassioneGourmet, ha trovato nella settima arte la scuola di vita che la vita stessa non gli aveva fornito. Un legame sanguigno, con alti e bassi, spesso cinico, mai enfatico. In una parola: onesto.

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