Pierre-Olivier Bonhomme & Thierry Puzelat
Utopia del bicchiere della staffa

L’utopia del bicchiere della staffa può non essere tale?

Quando si decide di bere un ultimo bicchiere viene coinvolto il lato sia razionale che emotivo

Non sempre si è coscienti del fatidico ultimo calice.

Può, infatti, capitare che ci venga imposto da altre persone e in modo repentino. Una “violenza” a fin di bene alla quale non eravamo preparati ma che è talvolta necessaria ad evitarci spiacevoli nottatacce o momenti imbarazzanti dei quali può anche accadere che non se ne serbi il ricordo il giorno successivo.

A decretare che sia il nostro ultimo bicchiere può anche essere una telefonata improvvisa o un messaggio. Può anche capitare che sia la propria voce della coscienza, intorpidita dall’alcol, ma ancora in grado di suggerirci che faremmo meglio a fermarci e restare in quel giusto equilibrio tra l’euforico e il vagamente savio.

Ad ogni modo, sarebbe bello poter continuare a gioire dei piaceri enoici senza che questi ci costino momenti bui o si sconfini oltre il normale senso del pudore; oltre le capacità fisiche del nostro corpo di assorbire alcol; oltre, per il nostro cervello impegnato nella degustazione sensoriale; oltre, per permettere ai nostri pensieri di fluire leggeri.

Il lato sensoriale viene sollecitato permettendoci di trarre emozioni dal vino in una sorta di catarsi emotiva.

La degustazione richiama alla nostra mente, tramite i profumi e i sapori del vino, momenti, luoghi, persone o situazioni, che ricordiamo con affetto. Qualche volta riesce a suscitare (raramente, ne convengo) emozioni esso stesso, bevendo per la prima volta quel vino si viene rapiti in un viaggio personale che forse non si comprende fino in fondo ma ci fa commuovere lo stesso, scatenando suggestioni delle quali non eravamo coscienti e alle quali non eravamo preparati.

Per questa ragione mi è venuto in mente un vino che ho assaggiato per la prima volta e ha richiamato ricordi ancestrali, affatto legati al momento che stavo vivendo.

Siamo in Touraine, Loira dove, antiche testimonianze, parlano del Pineau d’Aunis già nel 1183. Una diatriba ancora in atto riguarda la provenienza del nome: chi lo associa a un convento in Saumur chi preferisce pensare che prenda il nome da un piccolo feudo, appartenuto al ducato d’Aquitania. Negli anni si è erroneamente pensato che fosse una variazione del più famoso Chenin Blanc, ma l’esame del dna ha smentito categoricamente quest’ipotesi. Vitigno autoctono di queste zone, ha subito il colpo dell’espiantazione della vite a favore dei meleti e solo negli ultimi anni ha visto ricrescere l’interesse nei suoi confronti.

Puzelat-Bonhomme coltiva in biologico da oltre 20 anni e ci regala La Tesnière 2015*, uno splendido esempio di Pineau d’Aunis che passa in legno di secondo e terzo passaggio. Il colore rosso rubino con riflessi corallo è estremamente affascinante. Al naso individuiamo sentori di cioccolato, oliva nera, frutti di bosco, ciliegia sotto spirito e, in alcuni momenti, un delicato ed elegante sostrato di sottobosco. In bocca è fresco, sapido, con una buona struttura retta su queste due spalle. La bocca è soavemente seducente ed appagante, mai pesante, con un’eleganza introversa.

Un vino rosso insolito, ma da provare.

* su Tannico e Les Caves de Pyrene

Roberta Bruzzone

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Alessia Cattarin
Dicono di me: ironica e auto-ironica, granitica sulle posizioni lavorative e personali, ma malleabile se necessario. Socievole. Pessimista cosmica, ma in grado di illuminarsi davanti ad una bollicina. Senza mezzi termini, la diplomazia sembra proprio non riguardarmi. Capace, tenace e professionale, in uno strano modo persino paziente. I complimenti per ultimi: qualcuno ama definirmi Puntigliosa! Di me penso: sono un’irrimediabile sognatrice, una metallara, una fenice, un avvocato delle cause perse, una che non tollera sopraffazioni e ingiustizie. Cinica, per sopravvivere in un mondo concepito con sadismo.

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