L’immersione nella distruzione
Gareth Evans è un gran regista.
Con The Raid ha ridefinito il senso del film action moderno e chiunque sia appassionato al genere, o ne sia anche solo interessato, può trovare con facilità le decine di influenze che il film del 2011 ha avuto fino a oggi.
Però c’è un però: Evans è un regista che ha chiaro in mente di non voler essere (e di non essere in sé e per sé) solo un abile mestierante; EVANS sa cosa vuole e ciò che vuole è prima di tutto creare e narrare una storia dalle coordinate precise.
Per quanto alcuni personaggi dei suoi film sembrino bidimensionali in realtà Evans punta a raccontare le loro storie dando importanza alle vicende umane in primis e all’azione di conseguenza.
Sembra una contraddizione per un regista divenuto famoso per come dirige le sequenze d’azione ma è proprio per lo stile adottato in quei fotogrammi che si deduce che c’è altro.
Havoc, dalla produzione travagliatissima e uscito direttamente su NETFLIX dopo anni di gestazione, ne è forse la conferma più eclatante, anche più di The Raid 2 (2014).
Innanzitutto non siamo di fronte a un action propriamente detto ma a un noir, nello specifico un hard boiled. L’azione, dunque, è sì presente ma subordinata ad altro, o meglio integrata col resto.
Non c’è una sola sequenza che risulti scollegata dalla trama o che la sovrasti.
Evans riesce nella magia di mantenere un equilibrio lungo tutto il film che renda automatico far scattare picchi di violenza la cui presenza è di una nitidezza sconvolgente e ammaliante, tanto è precisa.
Perché, con la macchia da presa sempre mobile e puntata sui personaggi, a partire da un Tom Hardy in versione detective allo sbaraglio morale, incastrato in conseguenze di scelte sbagliate ma inevitabili, si crea un ritmo generale che accompagna lo spettatore in una trama di per sé telefonata ma appassionante e senza un minuto di pausa.
Attenzione però: il film non lesina in digressioni, dialoghi e (ri)flessioni. Hardy parla molto più di quanto ci si aspetterebbe da un personaggio come il suo, spesso con battute al vetriolo che ribaltano gli standard dialogici di tanti film simili a Havoc, ma il tutto è tenuto in piedi con una tale abilità che, nella sua classicità, permette al film di puntare verso qualcosa di più profondo.
L’azione è frenetica ma chiara. Ogni singola sequenza risulta nitida, trasparente, priva del fastidioso montaggio frenetico che prevede uno stacco a ogni colpo inferto per confondere l’esasperazione con l’intrattenimento.
Gareth Evans vuole intrattenerti facendoti capire che le scene d’azione servono a definire i personaggi, la loro psicologia, non il contrario.
Dunque l’immagine si appiccica ai protagonisti, entra nella rissa e non perde di vista per un solo secondo gli interessati così che tu che guardi comprenda che la concitazione è innanzi tutto delle personalità dei protagonisti stessi e poi delle loro azioni.
Se ne esce quindi storditi ma sorprendentemente appagati, consapevoli che si è assistito a una storia di (possibile) redenzione violenta nella messa in scena perché violenta è la natura in sé che la compone.
In tutto questo Evans mantiene un approccio umile e non intellettualoide, grazie al quale viene soddisfatto il piacere più immediato di intrattenimento dando elementi riflessivi più stratificati ma senza imporre allo spettatore spiaggiato sul divano di ritagliarsi due ore di sano svago.
È un doppio servizio fornito allo spettatore sintetico e/o analitico.
Gareth Evans è un gran regista.
Ne abbiamo avuto un’ulteriore conferma in questo piccolo ma grande film.
...segui Gianpietro.
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