Delicatessen

Cioccolata a Venezia

Giunsi con largo anticipo all’appuntamento in piazza San Babila a Milano. Non avendo intenzione di tornare a casa per colmare l’attesa, decisi di coccolarmi con una tazza di Earl Grey in una caffetteria-pasticceria in zona. Mentre la signora che mi accolse mi accompagnava attraverso la sala, non potei non avvertire un avvolgente profumo di cioccolata provenire dal tavolino di due giovani signore, direi della borghesia milanese, che si godevano, apparentemente soddisfatte, la loro bevanda calda.

Il profumo rassicurante, ricomponente, mi suggerì di ordinarla a mia volta in luogo del mio tè.

Mentre aspettavo, il profumo della cioccolata risvegliò ricordi che non pensavo di avere ancora così vividi: prima della mia infanzia poi, soprattutto, di Venezia.
Non avevo ancora trent’anni e, a Milano, mi incontravo spesso con Milly, una ragazza poco più giovane di me.  Alta, boccoli neri, labbra carnose e un sorriso che sapeva illuminare la stanza, era un concentrato di energia e di positività. Eravamo, come si direbbe a Parigi, amis-amants.
Mi affascinava per il suo entusiasmo contagioso, la sua positività e l’energia che metteva in tutto ciò che faceva. In quegli anni andavo spesso a Venezia, soprattutto nei mesi in cui il turismo era meno aggressivo, e quando Milly mi comunicò che vi si sarebbe trasferita trovai un motivo in più per intensificare le mie visite.
La sua casa, situata a breve distanza da Ca’ Rezzonico, disponeva di una stanza per gli ospiti, riservata inizialmente alla madre che, almeno nelle intenzioni, avrebbe dovuto andarla a trovare di tanto in tanto. Milly mi invitò a soggiornarvi ogni volta che lo desiderassi assicurandomi che quella stanza sarebbe stata sempre disponibile per me, anche durante i suoi impegni.
La calle su cui si affacciava la casa era tanto silenziosa che a volte la mattina mi svegliavano il rumore dei passi e il vociare sommesso dei primi passanti.
A Milano, invece, frequentavo Oliver, di Birmingham, insegnante d’inglese con la passione per l’arte. Il suo filone artistico era assimilabile alla Pop Art di Andy Warhol: colori vivaci, immagini audaci, energia traboccante. La sua casa, nel cuore della città, era un crocevia perlopiù di artisti e di intellettuali. Durante una delle sue cene, mi ritrovai a chiacchierare con un docente della vicina Università Statale; un’altra volta con un gruppo di attori appena usciti dal Teatro Gerolamo in piazza Beccaria, una minuscola e deliziosa Scala in miniatura. Oliver organizzava spesso cene che consistevano in una spaghettata De Cecco – all’epoca un must –con un sugo di pomodoro che faceva cuocere per ore, ricetta di un’amica calabrese. Alla pasta faceva seguire un plateau, che vorrei definire Royal, di formaggi. Ad accompagnare le portate Vermentino e Ciliegiolo che acquistava in Toscana e imbottigliava lui stesso. Per chiudere, una grande insalatiera colma di daiquiri, con tanto di mestolo per servirsi come in un punch.
Fu proprio in una di quelle cene che conobbi Miriam: elegante signora sulla cinquantina, docente a Ca’ Foscari, portava con grazia i suoi capelli scuri e lisci che le sfioravano le spalle. Il rossetto rosso cupo che indossava dava risalto alle sue labbra sottili. Compiaciuta per il mio interesse per Venezia mi raccontò che la ricchezza commerciale della città, nel Medioevo risiedeva anche nel commercio delle droghe importate dall’Asia, non solo intese come spezie, ma vere e proprie sostanze, che aveva reso ricca la Serenissima. Parlando di cucina mi spiegò che la tecnica di cottura dei “risi” veneti è mediorientale in quanto si tratta di pilaf cucinati sul fornello. E poi arrivò al punto. In epoca post colombiana approdò a Venezia il cacao: la cioccolata divenne la bevanda della nobiltà così come del popolo e a testimoniarne l’importanza, nel Settecento Goldoni non mancò di introdurla in alcuno sue commedie. In origine era bevuta soprattutto la mattina a colazione, ma non sempre considerato che Casanova, ritenendola bevanda afrodisiaca, la offriva alle sue amiche anche in altri momenti della giornata.

Vedendomi incuriosito e sapendo che ero spesso a Venezia mi invitò a bere la “sua” cioccolata. Invito che onorai.

La casa d’epoca rivelava l’origine aristocratica di Miriam e la sala in cui mi ricevette era decorata con stucchi con il soffitto affrescato; la cameriera ci servì la cioccolata, e io ne avvertii il sapore intenso, denso e avvolgente, di grande piacevolezza.
Iniziai a frequentare Miriam, scoprendo in lei una donna dotata di cultura cosmopolita e apprezzandone il fascino innato. Con lei esplorai una Venezia meno conosciuta, fatta di angoli nascosti e scorci poetici. Mi portò a Torcello, dove mi fece ammirare i mosaici della Basilica di Santa Maria Assunta, raccontandomi la loro storia con la passione di chi vive ogni dettaglio come un tesoro da condividere.
Tra noi si creò, quasi naturalmente, un rapporto privo di coinvolgimenti affettivi o di ulteriori implicazioni. Era una relazione basata su un tacito accordo, una connessione intellettuale e umana che trovava il suo fulcro nella reciproca stima. Ogni volta che la visitavo, era quasi un rito: Miriam faceva preparare per me la sua ormai famosa cioccolata servita in tazze e cioccolatiera di porcellana.

Mi spiegò che il segreto della sua unicità stava nell’aggiunta di cioccolato fondente e panna fresca agli ingredienti tradizionali, rendendola straordinariamente cremosa e, come amava dire lei, “più cioccolatosa.”

Devo a Miriam un tramonto indimenticabile. Eravamo sull’altana di casa, la tiepida aria primaverile invitava ad aspettare la sera all’aperto. Il sole, all’orizzonte, cominciava a virare verso tinte rosseggianti. I suoi raggi si riflettevano scintillanti sui tetti e sulle facciate degli edifici, poi mentre i colori del cielo si incupivano le case diventavano sagome scure che disegnavano il profilo della città.
Fu proprio durante la salita sull’altana che, in un pomeriggio, Miriam scivolò. In un attimo la ritrovai tra le mie braccia. I nostri visi erano così vicini che percepivo il profumo del suo rossetto, mentre le sue labbra mi apparivano semplicemente irresistibili. Forse fu l’impulso della mia giovane età o l’istinto del momento, ma, nonostante il timore di compromettere il nostro rapporto, con dolcezza quasi devota, la baciai, bacio che lei accolse.
Poi, senza una parola, proseguimmo verso l’altana. Quel bacio non sembrò cambiare nulla nel nostro legame: continuammo a frequentarci come prima. Eppure, quel pomeriggio lasciai Miriam con un senso di inadeguatezza che mi accompagnò fino a casa dove tornai un po’ scontento e insoddisfatto. Milly era in cucina con un calice di vino in mano. Le dissi, forse distrattamente, che non era una buona idea bere da soli. Lei sorrise ironica: “hai ragione, ma se chi potrebbe condividere un aperitivo con me è impegnato a bere tazze di cioccolata, allora…”.
Al che le andai incontro, mi sorrideva divertita poi mi guardò con attenzione la bocca e passatomi un tovagliolino di carta sulle labbra mi mostrò la traccia di rossetto che aveva lasciato. “Ma non è cioccolata” constatò ironica e con finta aria rivendicativa aggiunse “ora dovrai portarmi fuori a cena”. Si avvicinò ancora di più a me e a bassa voce soggiunse “ma prima” e mentre attendevo che concludesse la frase sentii le sue agili mani che mi…
la sua cioccolata,” annunciò la cameriera riportandomi al presente in un viaggio spazio temporale durato un attimo. Poi bevvi un sorso, lasciando che il calore della bevanda mi riportasse definitivamente al qui e ora, mentre ricordi di donne e di Venezia svanivano con il vapore della cioccolata.
...segui Fabiano.

Conclave

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Fabiano Guatteri
Milanese, laureato in Lettere e Filosofia (vecchio ordinamento), iscritto all’Ordine dei Giornalisti dal 1993. Direttore editoriale della testata giornalistica online CityLightsNews ha insegnato Gastronomia sperimentale (Corso di Scienze e tecniche delle preparazioni alimentari) presso il Dipartimento di Chimica Farmaceutica dell’Università di Pavia. Collabora con la Guida I Ristoranti d’Italia de l’Espresso. Ha scritto numerosi libri su cibi e vini, anche da un punto di vista scientifico, tra cui, con Gualtiero Marchesi, l’Almanacco in cucina (Rizzoli) e, per ultimo, La Cucina Milanese (Hoepli).

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