C’è un mistero che aleggia sospeso oltre l’atmosfera terrestre, tra i satelliti silenziosi e le struggenti stelle lontane. Non lo si può vedere né sfiorare, eppure chi è stato lassù lo racconta con parole precise e spesso incredule: “lo spazio ha un odore”.
Nonostante il vuoto cosmico sia privo d’aria – e dunque tecnicamente inodore – molti astronauti, al rientro da una passeggiata fuori dalla navicella, giurano di aver percepito qualcosa di inconfondibile e indimenticabile. È un odore che rimane appiccicato al cuore, alle tute, agli strumenti, e che si rivela solo una volta fatto ritorno nei moduli pressurizzati e asettici della stazione spaziale.
Le testimonianze olfattive si somigliano un po’ tutte, narrano di ferro arroventato, fumo da saldatura, polvere da sparo, carne bruciata, petricore e ozono – di cui abbiamo già scritto QUI – dopo un temporale.
È un profumo che sa di energia e trasformazione, come se ogni molecola avesse attraversato una forgiatura stellare. Non è l’aroma di qualcosa di vivo e pulsante, ma piuttosto il sentore di ciò che è appena stato, acceso, bruciato e trasformato.
La scienza ne offre una spiegazione: gli oggetti esposti allo spazio profondo vengono colpiti da raggi ultravioletti, radiazioni e particelle solari. Questo bombardamento invisibile fa germinare molecole complesse, simili a quelle che qui sulla Terra si sprigionano da un motore acceso o da un ceppo ardente nel camino. E quando queste molecole si incontrano con l’aria della navicella, è proprio lì che si appalesa l’odore dello spazio!
Ma c’è anche dell’altro. Perché quando un astronauta afferma che il cosmo sa di metallo bruciato, in fondo, ci sta raccontando la sua memoria olfattiva, un’associazione profonda tra un odore e un’emozione grande, immensa. È l’olfatto – quell’organo di senso primordiale e antico, legato ai ricordi più istintivi – a dare un volto sensoriale all’universo. In assenza di suoni, di vento, di profumi come noi li conosciamo, persino un odore diventa racconto, diventa casa.
Come abbiamo poi già dissertato, negli ultimi anni, questo fascino ha ispirato molteplici Maestri Profumieri. Esistono svariate fragranze create per imitare quell’idea di aroma dello spazio, nate dalle testimonianze di chi, lassù, c’è stato davvero; come a voler imbottigliare un frammento di infinito eterno.
Pensiamo anche a Eau de Space, creata da STEVE PEARCE per la NASA nel 2020, il cui Jus è un cocktail di tocchi ozonici, metallici, di polvere da sparo e di bistecca ben cotta.
Poi a Dancing Light, la fragranza lanciata nel 2022 da OLFACTIVE STUDIOS e formulata da Sidonie Lancesseur, ispirata al meraviglioso balletto delle luci ipnotiche dell’Aurora Boreale, denso di note di menta glaciale e aghi di pino siberiano che portano un alito freddo e verde, intiepidito successivamente da un bouquet di fiori bianchi e legno di Sandalo.
Ed infine a Météore by Louis Vuitton, creata dal Maître Parfumeur Jacques Cavallier Belletrud, che coniuga elementi di cielo e terra, rivelando magie emozionali cosmiche senza pari.
E così, il profumo dello spazio – quell’insieme di metallo e memoria, di fuoco, di attesa e di silenzio – ci ricorda che, anche nel vuoto più profondo, l’essere umano riesce a sentire qualcosa, cullandolo con sé, come un segreto inciso nella tuta, tra le pieghe del casco ma, soprattutto nell’animo.
...segui Alessandra.
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